Frank è un film astuto? Probabilmente. Ce ne importa qualcosa? No. Soprattutto, Frank ci racconta delle scelte cinematografiche che si possono fare, delle opzioni che un regista e uno sceneggiatore possiedono, dei problemi che pone filmare la creatività. Cominciamo da quest'ultimo tema. In sala in questi giorni ci sono due film, Il giovane favoloso e Il sale della Terra, che narrano di altrettanti artisti, Leopardi e Salgado. Fatte le ovvie proporzioni, entrambi i registi, Martone e Wenders, preferiscono soprassedere sull'atto creativo e concentrarsi sulla dimensione biografica. Di Leopardi non capiamo affatto il sorgere del genio, le tecniche di scrittura, le fonti di ispirazione, il momento magico della creazione: conosciamo meglio la sua vita, le sue aspirazioni, la sua cocciuta indipendenza di pensiero. Di Salgado sappiamo che è un grande viaggiatore, un testimone coraggioso di guerre e carestie, un narratore, ma ben poco ci viene detto delle sue tecniche fotografiche, dei dubbi etici nel rappresentare i cadaveri, del numero di scatti e dell'organizzazione dello spazio davanti all'obiettivo, insomma del suo lavoro creativo. Entrambi i film, invece, ci offrono i prodotti finiti: le poesie (recitate da Leopardi in persona) o le fotografie (Il sale della Terra è in fondo uno slide show di due ore).
Con Frank, che certamente non parla di un personaggio reale (o solo indirettamente) né appartiene al genere documentario, la scelta è opposta. Sappiamo poco del misterioso personaggio che si cela dietro l'enorme maschera di cartapesta che non abbandona mai, eppure ne osserviamo più e più volte la dimensione creativa, il genio un po' cialtrone, le intuizioni artistiche, le discontinuità di interpretazione. Si tratta di strategie narrative, ovviamente. Il protagonista Jon, neo assunto del gruppo, funge da osservatore esterno e interno per gli spettatori, permettendo ad Abrahamson di offrire una riflessione interessante sul rock contemporaneo e sulle nicchie. A cominciare dal fatto che questa medesima creatività deve fare i conti con le regole del mercato, con le aspettative dei fan, con la costruzione del discorso mediatico, con i social network. Così come il cinema contemporaneo, almeno quello esterno alla produzione blockbuster, non sembra riuscire a comprendere un pubblico sempre più diviso, spezzettato, travolto da offerte superiori alla sua capacità di assorbimento, così la musica indie rock si barcamena tra nicchie di mercato sempre più settorializzate e forme di consumo digitali non del tutto accettate.
Ecco allora che, nella disavventura dei Soronprfbs e del loro carismatico leader, echeggiano molti problemi irrisolti della cultura pop contemporanea e di come - dal basso - si possano creare inedite configurazioni artistiche, costruire un interesse improvviso e virale, e poi scoprire che questo stesso contesto è una piccola prigione. La maschera di Frank, oltre a costituire un divertente banco di prova per Michael Fassbender e permettergli di sfruttare ancora di più la sua fisicità, diventa dunque un oggetto tragicomico, artigianale, puro, cantautorale, ma prontissimo a diventare la "next big thing" del mercato digitale e "glocale" di oggi. Tutto il resto è semplice zingarata da rock movie, senza nemmeno troppe pretese. Ma l'intelligenza del film, come è stato notato anche altrove, si nasconde proprio nella conoscenza delle consuetudini mediali contemporanee e nella scelta di filmare la creatività della musica lasciando il resto (tranne che nell'ultima parte) nelle zone d'ombra.