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La pericolosa partita del sé

A Dangerous Method presenta i caratteri tipici del cinema di Cronenberg.
di Marco Chiani

Michael Fassbender e Viggo Mortensen in una scena del film A Dangerous Method di David Cronenberg.
Michael Fassbender (46 anni) 2 aprile 1977, Heidelberg (Germania) - Ariete. Interpreta Carl Jung nel film di David Cronenberg A Dangerous Method.

giovedì 29 settembre 2011 - Approfondimenti

Non credete a chi considera poco cronenberghiano A Dangerous Method. Basta riflettere su quella coda sospesa in cui Jung parla con Sabina, ormai guarita e pronta a contare solo su se stessa. Spesso, il senso di solitudine e abbandono dei finali del regista canadese deriva tanto dalla lenta emersione di una insanabile disfatta quanto da una netta frattura legata alla cancellazione del doppio: se vuole sopravvivere, l'uno deve uccidere l'altro, farlo scomparire. In maniera metaforica o reale, poco importa.

Definita poco personale dallo spettatore disattento, la nuova pellicola visualizza questo meccanismo all'ennesima potenza, servendosi di due tra le più straordinarie figure della cultura del Novecento, Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, impegnate in una sommersa eppure feroce lotta tra maestro e discepolo, padre e figlio, mentore e protetto. Ad innescare l'inevitabile rottura è Sabina Spielrein, cui spetta il compito di accelerare un micidiale processo di rispecchiamento cui non può non seguire la naturale separazione di una equivoca trinità.

Se già in Scanners (1981), il protagonista deve fondersi con il fratello, polo opposto, per poter portare avanti la battaglia e soprattutto per continuare a vivere, il bellissimo Inseparabili (1988) è un chiarissimo saggio sull'ossessione dell'altro e sulla ricerca di una morte che possa spezzare la maledizione. Poche volte altrettanto esplicito, il regista espone la sua visione del mondo e dei rapporti personali in un melodramma raffreddatissimo sull'io maschile e sulla schizofrenia, capace di esprimere a chiare lettere il cuore profondo della sua opera. Come i due fratelli ginecologi, anche i due padri della psichiatria immortalati nell'ultima pellicola vedono il naturale incrinarsi del loro rapporto nel momento in cui una donna – peraltro bisognosa di cure così come lo era Geneviève Bujold in Inseparabili – si mette tra loro, facendone vacillare le certezze.

Le macchie di Rorschach dei titoli di testa – più nette e meno materiche di quelle che aprivano Spider (2002) – evocano allora l'oscurità di ogni legame, il suo potenziale rischioso. In quei disegni ambigui per definizione, doppi e speculari, sta tutto il mondo sommerso affiorante dal trattamento di Sabina, l'attrazione/repulsione per il dolore, il rapporto con i due geni, il finale affrancamento: suo da Jung e di quest'ultimo da Freud.

Certamente meno pericoloso di quello del dottor Hal Raglan di Brood (1979), che spinge i pazienti a dare una fisicità al loro disagio con conseguenze atroci, il metodo freudiano atto a recuperare il rimosso ombreggia dunque dietro a molto Cronenberg. Prima di essere Freud, lo stesso Viggo Mortensen ha incarnato per l'autore canadese due uomini che nascondevano un altro sé – da riconoscere per poi distruggere? – nei complementari A History of Violence (2005) e La promessa dell'assassino (2007), ambigue tappe di una medesima seduta psicanalitica del genere umano.

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