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La nostra vita: I sentimenti centrali finiscono in periferia

Il nuovo film di Luchetti, in concorso a cannes.
di Marianna Cappi

Fotografia di un paese
Elio Germano (43 anni) 25 settembre 1980, Roma (Italia) - Bilancia. Interpreta Claudio nel film di Daniele Luchetti La nostra vita.

domenica 9 maggio 2010 - Incontri

Fotografia di un paese
Nel titolo del nuovo film di Daniele Luchetti, La nostra vita sono contenute almeno due indicazioni. Innanzitutto che non è una storia di pura fantasia, è un soggetto originale, questo sì, concepito dal regista con Stefano Rulli e Sandro Petraglia, ma volutamente ancorato alla realtà e a uno stile che fa della verosimiglianza il suo credo; e poi che non è la storia di un uomo solo, anche se il protagonista unico e indiscusso è Elio Germano, ma piuttosto è un film che fotografa il paese, l'aria che si respira, i valori in cui crediamo, le parole che (non) diciamo.
All'anteprima per la stampa romana, che anticipa il passaggio in concorso a Cannes, Luchetti parla dei temi del film e del lavoro svolto, dalla sceneggiatura al montaggio.

Il film affronta la figura degli italiani di seconda generazione con uno sguardo particolare. Qual è il suo punto di vista?
Ho cercato di avere sui personaggi degli immigrati lo stesso sguardo che ho sui personaggi italiani. In questi ultimi 20 anni di cinema italiano il proletariato è stato guardato o dall'alto in basso –si è trattata la sua ignoranza e il suo cattivo gusto, magari esasperandolo in chiave di commedia all'italiana- oppure dal punto di vista politico, lamentandoci per l'ingiustizia del sistema. Ho cercato di raccontare questi personaggi come se loro fossimo noi, in modo paritario, senza sconti quando sono disonesti e senza celebrazioni quando tra loro scorrono i buoni sentimenti. Così ho fatto per gli italiani e ugualmente per gli stranieri, ho cercato di non usarli per dimostrare qualcosa ma semplicemente di metterli in scena.
Al centro del film c'è la figura di un padre e di quattro figli maschi. Essere padre a tua volta, come ti ha aiutato a trattare l'argomento?
Una delle idee del film è il venire a meno della figura femminile: il padre allora gestisce l'emergenza ma non parla mai veramente con i figli, li tratta come pacchi postali. Il fatto di essere padre mi ha aiutato ad entrare molto nella sofferenza del film, a non banalizzare.
Quanti ciak hai fatto per la scena del funerale?
Quattro ciak su Elio Germano, che ha avuto un culmine per quello che poi è stato scelto, che mi pare fosse il secondo. Si è preparato e autosuggestionato a lungo, tanto che non era previsto che fosse una scena così importante ma ha assunto una forza emotiva che poi ci si porta dietro per tutto il film.

Il film poteva avere un'evoluzione più tragica, invece hai deciso di chiudere con un'immagine famigliare. È un'indicazione?
Il finale è stato uno dei punti di partenza del film. Non un'indicazione morale ma un punto di partenza. Il personaggio ha rimosso il dolore, ma io spero che alla fine del film, fuori scena, sia lui che i figli soffriranno, si faranno quel pianto che non si sono ancora fatti. Al finale tragico non ho mai pensato, ma nella scena con gli operai ad un certo punto in sceneggiatura era previsto che Elio Germano venisse riempito di botte. Mi è stato fatto notare, però, che c'è un gruppo su facebook che invita a "salvare Elio Germano dalle botte", che si prende regolarmente in tutti i film, e poi io stesso ho riflettuto sul fatto che per gli operai stessi non ci sarebbe stata nessuna convenienza reale a pestarlo.
Andrei, il ragazzo rumeno, ad un certo punto dice qualcosa come "se mi capissi non saprei dirlo, se sapessi dirlo non mi capiresti" per sottolineare la mancanza delle parole e la loro sostituzione con il linguaggio universale dei soldi.
È una costante del film: alla domanda "come stai?" nessuno sa rispondere. Quando avevo 33 anni e morì mio padre mi trovai completamente impreparato: oggi nessuno sa fare più i conti con le emozioni forti della vita, per cui non sappiamo nemmeno più raccontarle. Comunque non è un caso che siano gli stranieri a mettere di fronte gli italiani al fatto che non pensano ad altro che ai soldi. La nostra qualità della vita, che è apparentemente superiore, in realtà si è molto abbassata. Si vincono le elezioni, da noi, sull'ideologia del denaro.
Il protagonista attraversa un arco narrativo che ad un certo punto lo allontana da se stesso, per poi tornare ai propri valori solo alla fine.
Il personaggio prende una scorciatoia ma non è l'unico, ormai questa è anche l'abitudine di un paese intero. Non volevo sottolineare la sconvenienza ma la naturalezza con cui queste scelte vengono fatte da tutti quotidianamente.

Il film conta quasi esclusivamente scene diurne. C'è una ragione?
Avevo in mente il cinema degli anni Sessanta, che si svolge ai confini della città, dove iniziano i pratoni, i quartieri di periferia. Quei quartieri dove, come dice Marquez, "non ci muore mai nessuno". Quando sono andato a vederli ho visto quella luce, per cui non c'è un disegno in questo senso, è quello che ho visto e restituito.
Il ministro Bondi ha appena fatto sapere che diserterà Cannes in polemica contro "Draquila", il film di Sabina Guzzanti, che a suo avviso offende l'Italia. Cosa ne pensa?
Penso che "Bondi contro Draquila" sarebbe un titolo perfetto per un film di serie B. Scherzi a parte, però, lo spettacolo bello è quello degli artisti liberi, che non hanno paura di mettersi contro il potere, di criticarlo. Non è "sputare nel piatto dove si mangia" o "lavare i panni sporchi in piazza", come sostengono i detrattori. Non apprezzo un ministro che si vergogna della libertà di espressione di un artista: questo è quello che penso.
Come nasce l'idea del film?
Volevo un personaggio che fosse dentro i meccanismi del lavoro: questa è stata la prima spinta. Ho passato molto tempo nei cantieri, ho parlato con amici che ci lavorano, mi sono documentato. "Quelli di Frosinone", per esempio, gli italiani che possono permettersi di aspettare di più per essere pagati e di fatto sfruttano gli sfruttati, sono una realtà, gente che lo fa per secondo lavoro e si fa pagare molto di più, sempre in nero. Anche il fatto che gli operai non arrivino con dei camioncini sfasciati ma con dei Mercedes è vero, frutto diretto della mia osservazione.

La canzone di Vasco, "Anima Fragile", è servita da ispirazione o è stata scelta in seconda battuta?
Ho assistito una volta ad un funerale di una ragazza tossicodipendente a Ostia che aveva chiesto che alla sua morte si ascoltasse "Like a Virgin" e ricordo il pubblico che canticchiava la canzone di Madonna. Avevo quest'immagine in mente, non la canzone di Vasco in particolare.
Perché ancora Elio Germano?
Perché insieme lavoriamo bene e perché sapevo che con lui potevo avventurarmi in situazioni molto dolorose senza cadere nel ricattatorio, nella banalizzazione, nel cliché. Poi ha una ferocia comica, quando serve, sorprendente e quando improvvisa lo fa sempre nella direzione giusta, assimila così bene il copione che può anche dire altre battute ma il senso è sempre quello esatto.
E il resto del cast?
Mi piaceva l'idea di usare Raoul Bova per un personaggio apparentemente molto lontano dai suoi ruoli ma per molti versi vicino a com'è lui veramente. Poi vorrei sottolineare la scoperta del ragazzo rumeno, Marius Ignat, che è un personaggio importante perché è quasi l'analista del film, l'unico che dice la verità al protagonista, e non è un attore, è stato trovato per caso, con dei casting, ma è molto bravo ed è un ragazzo intelligente, come era necessario che fosse.

Il film è asciutto, senza fronzoli, ma il materiale di partenza era molto più ampio. Come hai lavorato al montaggio?
Penso che Mirco Garrone sia il miglior montatore italiano e forse europeo. Posso girare in questo modo solo perché posso contare su di lui. Tiro fuori dalle riprese un materiale talmente caotico, fatto di 10 ciak di una stessa scena tutti diversi per punto di vista, ma anche nei dialoghi, in tutto e per tutto. Credo che la bravura di un regista sia anche quella di circondarsi dei talenti migliori. Al montaggio abbiamo tolto tutto ciò che non era vero, che era forzato, nel tragico come nel comico, e per farlo ci voleva un occhio esterno, in grado di guardare per la prima volta il film. Il montatore è lo primo spettatore del film, quando dice "togliamo", stringi i denti ma ti devi fidare.
L'ambientazione mette al centro dello schermo quei tanti nuovi quartieri che spuntano in fretta e tutti uguali alle periferie delle città. Che idea si è fatto di questi luoghi?
L'idea che c'è una standardizzazione del benessere. Con un po' di soldi puoi avere una casa con terrazzo, garage, centro commerciale vicino, con l'unico difetto che non c'è nessun servizio culturale e la città è lontana due ore di traffico. Hai l'illusione del benessere ma di fatto sei relegato in un ghetto, in un non luogo.
Felice di andare a Cannes?
Cannes è la capitale del paese del cinema: la Francia assiste il cinema come da noi non ci si immagina neppure. Come dice Woody Allen nel finale di Hollywood Ending: menomale che ci sono i francesi.

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