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Il tema dell'emigrazione affrontato in modo inedito e nuovo

Paola Randi parla della sua opera prima Into Paradiso.
di Fiorella Taddeo

Gianfelice Imparato e Peppe Servillo in una scena del film Into Paradiso.
Gianfelice Imparato (67 anni) 9 agosto 1956, Castellammare di Stabia (Italia) - Leone. Interpreta Alfonso D'Onofrio nel film di Paola Randi Into Paradiso.

lunedì 31 gennaio 2011 - Incontri

Milanese. Ma anche palermitana. Un tocco di Venezia. E una famiglia in giro per l'Italia. Dice di avere "il viaggio e l'emigrazione nel dna" Paola Randi, regista al debutto cinematografico con Into paradiso, surreale commedia con Gianfelice Imparato e Peppe Servillo, presentata fuori concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia. E il tema che la Randi ha voluto portare sul grande schermo è proprio quello dell'emigrazione, cercando, però, di affrontarlo in modo inedito e nuovo. Location scelta il "Cavone" di Napoli, vasta zona a ridosso della centralissima Piazza Dante, dove, da anni, si è stabilita la comunità singalese. Il "paradiso" del titolo è, invece, il quartier generale dove vivono gli immigrati, in una particolare forma di integrazione con gli italiani. Il racconto è quello di una realtà anomala fatta di umanità ed integrazione, ma anche di malavita e violenza. Filo conduttore un'elegante ironia che pervade il film, rendendo sapientemente leggera una narrazione che porta alla luce questioni non ancora risolte.

Come è nata l'idea del film?
È da tempo che riflettevo sulle condizioni degli immigrati e di come vivono nel nostro paese. Passando una sera per Napoli, mi sono imbattuta in un'immagine fantastica. Piazza Dante, pieno centro della città, era divisa a metà: da un lato c'era un gruppo di ragazzi singalesi che giocavano a cricket, dall'altro un altro gruppo di ragazzini, stavolta napoletani, alle prese con una partita di calcio. Mi sono quindi trasferita a Napoli per quattro mesi per fare ricerche. Sono stata in giro per il Cavone. La comunità singalese che si è stabilita lì vive una condizione particolare: si tratta di un piccolo territorio, circoscritto, dove però è situata quella che, a tutti gli effetti, è una piccola città dello Sri Lanka. Hanno una loro tv, i loro negozi, il tempio.

Il racconto dell'immigrazione in Into Paradiso parte da una prospettiva diversa: un italiano "straniero tra gli stranieri". Come hai voluto affrontare il tema?
Volevo ribaltare i parametri classici con cui si trattano queste problematiche. Sono partita da un'idea precisa: affrontare i veri problemi dell'immigrazione nell'ambito di una coabitazione coatta. Ho deciso, allora, di mettere un italiano nelle stesse condizioni di uno straniero, magari nella stessa città. Volevo posizionare la macchina da presa "dall'altra parte" e vedere come un napoletano potesse integrarsi con una comunità di stranieri. Quale personaggio può vivere una crisi di identità come quella che può attraversare uno straniero appena arrivato nel nostro paese? Chi si può sentire letteralmente uno "straniero"? Così è nato il personaggio interpretato da Gianfelice Imparato, un ricercatore cinquantenne precario disoccupato.

Nel tuo film è evidente una certa ricerca stilistica ed una ricchezza di soluzioni registiche.
La mia intenzione era infatti quella di sperimentare. Ho provato con la manipolazione delle immagini con effetti in ripresa, perché volevo dare alla pellicola un sapore di artigianalità. Queste tecniche mi sono servite per portare sullo schermo la "magia" che ognuno di noi vive ogni giorno guardando ed interpretando la realtà. Usiamo l'immaginazione per trasfigurare la realtà stessa, perché la rielaboriamo attraverso i nostri sensi e le nostre emozioni. Le animazioni che ho voluto ricreare si prestavano, appunto, a questo tipo di racconto.

Come hai scelto il cast?
Per Gianfelice Imparato ho avuto una folgorazione, era perfetto per il personaggio di Alfredo. E anche per Peppe Servillo la scelta è stata molto spontanea: è stato straordinario nell'interpretare un personaggio così palesemente diverso da lui. Per il cast "singalese", abbiamo impiegato circa otto mesi. Saman Anthony, in particolare, lo abbiamo scovato a Lecco dove faceva l'attore di teatro e il pizzaiolo.

Una milanese in trasferta a Napoli. Come è stato il rapporto con la città?
Ho imparato a conoscerla molto bene e il rapporto è stato ottimo. Sul set, abbiamo coinvolto praticamente tutto il quartiere ed è stata un'esperienza umana straordinaria. Ho girato ogni giorno con un gruppetto di ragazzini intorno alla postazione di regia: erano curiosissimi e facevano una gran confusione. Ma bastava che dicessi "silenzio" e ammutolivano tutti.

Qualche aneddoto sulle riprese?
Una miriade. Nei mesi di riprese ho raccolto materiale per almeno altri tre film. In particolare, però, mi ricordo di una giornata di lavoro. Faceva un caldo incredibile. Noi continuavamo a girare. In un momento di pausa, una signora, dal terzo piano di un palazzo, ha calato un panierino. C'erano dei gelati per la troupe.

Non solo confusione dunque.
Altroché. Tutti dicono che Napoli è una città caotica ed incasinata. Ma è anche vitale. La vita, in fondo, fa rumore.

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