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Teinosuke Kinugasa

Teinosuke Kinugasa. Data di nascita 1 gennaio 1896 a Mie Ken (Giappone) ed è morto il 26 febbraio 1982 all'età di 86 anni a Kyoto (Giappone).

Decano del cinema nipponico, vinse la Palma d'oro a Cannes nel 1954, e poi due Oscar, con la tragedia in costume e a colori Jigokumon ovvero La porta dell'inferno. Parvero i più bei colori che si fossero mai visti in un film. Il regista aveva egli stesso esordito come attore nel 1917, ma come attore-oyama cioè specializzato in ruoli femminili (cominciò interpretando la donna nel Cadavere vivente). Divenuto titolare d'una modesta società di produzione, realizzò nel 1926 Una pagina folle che, ambientato in un manicomio, fu un saggio di "caligarismo" impressionista. Ma il successivo Incroci (1928), impressionò a sua volta i critici berlinesi e quelli parigini, che lo esibirono allo Studio des Ursulines con il titolo Ombre dello Yoshiwara. Opera d'avanguardia, ma d'avanguardia giapponese, si legava all'arte grafica locale con le sue pennellate in grigio, mentre il montaggio analitico e i frequenti flashbacks esprimevano in forme nuove e cinematografiche tormenti, turbamenti, ricordi, insomma i labirinti della psiche del protagonista. L'incontro con Eisenstein raffinò e rafforzò ancora in Kinugasa le idee sul montaggio, che al ritorno in patria diffuse e applicò nei suoi film sonori. Giustamente celebre è il ritmo dinamico che riuscì a imprimere alla versione parlata, diretta alla fine del '32, dei Quarantasette ronin fedeli (i "ronin" sono i samurai declassati), mentre nel precedente e ancora muto Prima dell'alba, del 1931,, aveva dipinto con stile assai realista il destino e la rivolta di un gruppo di prostitute nel medioevo. Da allora Kinugasa non ha più abbandonato il jidai-geki o film in costume, di cui fu, per un trentennio, cultore accanito ma sempre più tradizionalista. Titoli come Gli Shinsengumi sopravvissuti (1932), Le due lanterne di pietra (1933), La battaglia d'estate di Osaka (1937), Ciò che capitò una notte a un signore (1946), e quindi il trio dei film giunti a Cannes rispettivamente nel '53, nel '54 e nel '59 - La sagra del Gran Budda, La porta dell'inferno e L'airone bianco - costituiscono le tappe principali di un perfezionamento stilistico da un lato, ma dall'altro di una marcia d'avvicinamento al calligrafismo, al ricalco delle convenzioni, al ricamo, in una parola all'accademia. Bastarono del resto i cinque anni trascorsi dalla Palma d'oro, a far capire anche a Cannes quanto Kinugasa fosse arretrato rispetto a Mizoguchi, Kurosawa o Tadashi Imai nella trattazione del jidai-geki. Forse una parola degna del suo passato Kinugasa l'aveva detta per l'ultima volta in un film del 1947, L'attrice, se è vero che questa biografia di un'emancipata interprete ibseniana suicidatasi nel 1918 era addirittura migliore di quella realizzata qualche anno prima da Mizoguchi.

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