Domenico Procacci è un attore italiano, regista, produttore, produttore esecutivo, co-produttore, relatore, è nato nel 1960
Perché, dice il patron della Fandango, c'e più filosofia nelle gesta di Silver Surfer che in tanti libri. E ora la sua decennale passione per i comics (dopo aver contagiato copertine, video e veri albi) lo potrebbe portare anche in tv.
Si, va bene Moretti, Muccino, Baricco, Ligabue, Accorsi, Bentivoglio, Coen, Kiarostami, Loach, Scamarcio eccetera...: ma lui, veramente veramente, da grande voleva (vorrebbe?) essere Silver Surfer, l'argenteo araldo extraterrestre che surfa sulla sua tavola negli spazi siderali. Perché è il fumetto la vera passione di Domenico Procacci, 47 anni da Bari, per mestiere costruttore di fantasie.
Non è un caso che la sua casa di produzione cinematografica (e poi editoriale e musicale) l'abbia chiamata Fandango, nell'89, ispirandosi alla filosofia del film di Reynolds sulla fuga e la paura di diventare grandi, temi che spesso ricorrono nella filmografia di Procacci. Come il fumetto ricorre nella sua storia professionale. II primo film prodotto, ai tempi della cooperativa Vertigo vent'anni fa, si chiamava Il grande Blek esordio in regia di Giuseppe Piccioni - come il celebre personaggio dei fumetti di cui era appassionato il giovane protagonista.
Il pantheon di Procacci è popolato da Tiramolla, Nonna Abelarda, Soldino, Geppo, Diabolik, Satanik, Kriminal, Tex Wilier, Capitan Miki, Akim, l'Uomo mascherato...
«Ero praticamente onnivoro. I fumetti sono stati molto importanti, nella mia formazione: come tutto ciò che ti appassiona, alla fine lascia un segno. Da ragazzino leggevo qualsiasi cosa, poi sono entrato nell'universo dei Marvel Comics e h mi sono perso. Non ne sono più uscito. L'Uomo ragno, Devil, Thor, i Fantastici Quattro. Per tanti anni l'Uomo ragno è stato il mio supereroe preferito, poi ho incontrato Silver Surfer e li ha battuti tutti, perché è epico e romantico. C'è più filosofia in una striscia di Silver surfer che in tanti libri. Da molto tempo a questa parte il mio preferito è invece Wolverine, un mutante del cui passato si sapeva poco, finché non sono state raccontate le origini dei suoi poteri e la sua storia. Il suo scheletro in adamantio lo rende indistruttibile, è stato adoperato dai servizi segreti americani in varie guerre, è un personaggio modernissimo e molto trasgressivo».
Quando si rifugia nel fumetti?
«Di solito durante i lunghi viaggi in aereo. Mi piace passare ore nei negozi specializzati di Parigi, Los Angelse, Londra o New York. In Italia non ci sono posti così. È una passione che non ho mai abbandonato, anche se non compro albi ogni settimana. Crescendo ho imparato ad apprezzare anche la bellezza del segno: ho scoperto, ad esempio, Andrea Pazienza e la scuola bolognese degli anni 70».
Non s'è limitato a leggerli.
«Di Pazienza ho pubblicato alcuni inediti e altri ne faremo uscire quest'anno, a venti dalla sua scomparsa. Poi Tanino Liberatore, il creatore di Ranx Xerox, ha realizzato per noi la copertina del disco di Pacifico, Dolci frutti tropicali, e i bozzetti per le scenografie e i costumi di Lezione 21, il film di Baricco che uscirà quest'anno. Lorenzo Mattotti invece ha disegnato l'animazione dei titoli e dei raccordi di Eros, film a tre mani di Wong Kar Wai, Soderbergh e Antonioni, mentre Dave Mc Kean, un illustratore fantastico, ha creato titoli e locandina di Dust, il film di Manchevski con Joseph Fiennes che abbiamo prodotto».
In questa direzione va anche la collaborazione con Gianluigi Toccafondo, il cui tratto è divenuto sinonimo di Fandango, dal jingle cinematografico alle copertine dei libri.
«Gianluigi è un vero artista. Anche se la nostra produzione editoriale è notevolmente aumentata rispetto agli inizi, riesce ancora a rispettare l'idea originaria, cioè quella di leggere il libro prima e trarne ispirazione per il disegno della copertina. Nel caso di Questa storia, il libro di Baricco, eravamo così indecisi tra le sue proposte che alla fine abbiamo pubblicato il libro con quattro copertine diverse».
Pubblicare fumetti, in Italia è uno sfizio costoso e rischioso.
«A breve pubblicheremo per la prima volta in Italia Fagin l'ebreo, un vero capolavoro di Will Eisner che è universalmente riconosciuto come (inventore del graphic novel. Vorremmo fare di più come editori di fumetti, ma da noi questa forma d'arte non ha ancora la dignità letteraria che c'è ad esempio in Francia. All'estero c'è più rispetto, mercato e considerazione nonostante da noi ci siano talenti straordinari».
Eppure sono stati fatti enormi progressi.
«Ma la strada è ancora lunga. I fumetti di oggi sono molto più complessi e raffinati di una volta: solo chi non li conosce o ne ha un ricordo lontano continua ad immaginarseli come una semplificazione».
Le piacciono le trasposizioni dei fumetti al cinema?
«In alcuni casi sì, come Sin City e 300, fedeli realizzazioni delle strisce di Frank Miller».
E lei quale personaggio porterebbe al cinema?
«Silver Surfer, che compare nefultimo film dei Fantastici Quattro, meriterebbe un film solo per sé. Su Wolverine invece lo stanno già per fare. Invece intanto mi sono assicurato i diritti di Cacciatori nelle tenebre, il libro di Gianrico Carofiglio illustrato dal fratello Francesco, basato sul personaggio dell'ispettore Tancredi. Vorremmo farne una serie tv, ora che pare esserci più interesse da parte del mezzo televisivo, almeno a parole, verso la qualità».
Nel mondo del cinema, invece, quanti fumetti ha incontrato?
«Gabriele Muccino è un fumetto vivente: gliene succedono di tutti i colori ma risorge sempre, come Paperino».
Da Il Venerdì di Repubblica, 11 gennaio 2008
Parla a voce bassa. Non fuma. Non beve nemmeno il caffè. Eppure i film che produce sbancano il botteghino e lui stesso è adorato dai fan come una star. Domenico Procacci sarà di poche parole, ma è una fucina di idee: con Fandango ha scompaginato le regole dell'industria cinematografica. E non solo.
Esterno giorno. Terrazza dell'hotel Des Bains al Lido di Venezia, durante la mostra del cinema. Domenico Procacci, 48 anni, fisico asciutto, abbigliamento sportivo, capello brizzolato e aria vagamente tenebrosa, chiacchie ra con il regista di un film in concorso. Irrompe un fan che vuole a tutti i costi una foto. Insieme a Procacci, non al regista, che anzi è pregato di scattare l'immagine.
È l'unico caso di un produttore in grado di rubare la scena persino ai protagonisti dei suoi film. Capita continuamente. Nonostante questo signore barese sia in realtà una persona estremamente riservata. Il patron della Fandango, la casa di produzione reduce dal più clamoroso successo di botteghino dell'anno con Gomorra, ha modi sommessi e parla a bassa voce. Non fuma, non beve, nemmeno il caffè, e non ama la mondanità, anche se non si tira indietro quando c'è da promuovere qualche iniziativa della ditta.
Seduti nel giardino su cui si affaccia la piscina del Des Bains, a due passi da Wim Wenders, iconico presidente della giuria di Venezia. 65 in costume e scarpe da basket, si parla di questi vent'anni di cinema e di tutto quanto è cresciuto intorno a Fandango. «A 21 anni ho lasciato Bari per andare a frequentare la scuola Gaumont a Roma. Non avevo un'idea precisa di quel che avrei potuto fare, regista, sceneggiatore… se non hai una passione particolare non pensi a fare il produttore». E in effetti lui lo è diventato per fatalità, quando la scuola. Lanciata da Renzo Rossellini venne chiusa e i ragazzi del corso - Piccioni, Luchetti, Grimaldi - si ritrovarono a realizzare un film in cooperativa. «Sono diventato il rappresentante legale più che altro perché nessun altro voleva farlo - racconta Procacci -. Avevamo ereditato dei fondi pubblici da un'altra società di produzione, ma dovevo cercare nuovi finanziamenti. Fu fondamentale l'aiuto di mio padre, che garantiva in banca per noi: è grazie a lui se siamo riusciti a portare in sala Il grande Blek di Giuseppe Piccioni». Il giovane Domenico è bravo a trovare finanziatori («Sono sempre riuscito a restituire tutto») e due anni dopo, nel 1989, fonda Fandango, che debutta con il pugliese Sergio Rubini alla regia de La stazione. Il nome della società deriva dal film di Kevin Reynolds ed è un segnale per il futuro: «Un romanzo di formazione, e noi ne avremmo fatti tanti». Nella società Procacci ha un socio, il fratello, che non si occuperà mai di cinema. Insieme con la terza sorella gestisce un villaggio turistico sul Gargano e non ha ancora visto Gomorra.
Il mestiere del produttore richiede un talento speciale, «permette ogni volta di sperimentare un percorso nuovo. Può essere molto stimolante, ma manda in tilt chi approccia questo settore abituato a una maggiore regolarità, anche finanziaria». Servono passione e coerenza. «Non ho mai fatto un film di cui non fossi convinto. Abbiamo sbagliato, anche più
volte, anche pesantemente, ma non si è mai accolto un progetto per calcolo, pensando che ci fosse un pubblico, un mercato». Procacci sorride, pensa ai libri di Francesco Piccolo sulla gente che fa tv e non guarderebbe mai i propri programmi. «Magari il film finito non è quello che avevi in mente, ma se produrre diventa un lavoro come un altro allora è indifferente fare cinema o costruire questo tavolino bianco, che peraltro non è male». E quando è la passione a guidare la scelta dei progetti <,non è difficile avere una linea editoriale definita». C'è un filo coerente tra L'ultimo bacio, L'imbalsamatore e Gomorra: «Sono molto diversi, ma tutti film di qualità», rivendica Procacci. Che si tratti di un successo commerciale, anticipatore di un filone fortunato (cui peraltro non si partecipa, come nel caso del film di Gabriele Muccino), o di una pellicola destinata a un pubblico più sofisticato, come l'opera prima di Matteo Garrone, (approccio di Fandango non cambia. «Per me è importante coniugare le ambizioni del film con le risorse a disposizione, a volte avere troppi soldi fa persino male, bisogna saper misurare i mezzi appropriati a raccontare quella storia». Se mai la difficoltà è mantenere la coerenza quando si sconfina in altri campi. Attitudine piuttosto sviluppata in Fandango.
Già una decina di anni fa Procacci pensava a una radio. Non avendo colto l'occasione al momento giusto («ora le frequenze hanno prezzi stellari») si è dovuto accontentare, si fa per dire, di un'etichetta musicale, una casa editrice, una web tv che produce, tra (altro, il programma di Serena Dandini per Raitre, e una sorta di caffè letterario nel centro di Roma. L'attività più conosciuta è Fandango Libri, dove Procacci è riuscito a raccogliere alcuni dei nomi più interessanti dell'editoria italiana, da Alessandro Baricco a Edoardo Nesi, Sandro Veronesi e Carlo Lucarelli, tutti soci. Dopo aver ricevuto un forte impulso da Rosaria Carpinelli, catapultata nella realtà romana dalla Rizzoli Libri e mai completamente assuefatta ai ritmi della capitale, la casa editrice è da pochi giorni affidata alle cure di Mario Desiati, approdato da minimum fax. Con circa 150 titoli pubblicati in nove anni, l'attività è vicina al pareggio e di recente è stato deciso il passaggio della distribuzione alle Messaggerie. Dopo Baricco («è molto attivo, ma non è vero che decide lui i libri da pubblicare. Sono voci ingenerose, del resto evoca sempre reazioni nette, i primi tempi far capire agli amici che non è affatto antipatico come credevano per me era diventato quasi un lavoro») anche Veronesi pubblicherà i prossimi libri "in house".
Il caffè Fandango, aperto poco più di un anno fa a Piazza di Pietra, è forse la miglior espressione di quel che intende Procacci quando racconta la filosofia di questi venti anni di lavoro. È una libreria, un luogo d'incontro, si beve, si mangia, si compra musica, si partecipa a incontri e dibattiti. «L importante creare dei luoghi, fisici o virtuali, dove far incrociare talenti, dove le cose possano accadere senza programmazione». Una sperimentazione continua, da cui nasce la tentazione «di far fare a persone che sono molto brave nel loro campo qualcosa di completamente diverso». L'esempio più clamoroso e riuscito è il Ligabue di Radiofreccia, ma anche la prova di Baricco con il recente Lezione 21 applaudito al festival di Locarno è stata positiva. Riportare il musicista dietro la macchina da presa è una delle «priorità assolute» e non perché l'inesperienza del regista avesse consentito un ruolo più operativo per il produttore: Procacci è spesso sul set e alcuni registi, come Muccino e Ferzan Ozpetek, ultimo acquisto Fandango per il film in concorso quest'anno a Venezia, chiedono pareri su tutto. Ma le decisioni, si affretta a precisare il produttore, vengono lasciate agli autori.
Nel complesso il gruppo Fandango oggi muove 50 milioni di euro e dà lavoro a una cinquantina di persone. Il giro di affari dell'attività cinematografica nel 2007 è stato di 40 milioni (+ 22 per cento) e il 2008 beneficierà dell'effetto Gomorra, che ha già incassato in sala più di 11 milioni.
Appassionato quando parla del proprio lavoro, Procacci diventa improvvisamente reticente se si tentano incursioni nel privato. Refrattario al matrimonio, senza figli, si definisce «abbastanza solitario». Lo sport preferito è l'arrampicata, scoperta pochi anni fa.
Così si torna a parlare di cinema. In attesa di un viaggio a Los Angeles, se Gomorra dovesse essere candidato all'Oscar come miglior film straniero, pensa ai prossimi progetti. L'opera prima di Susanna Nicchiarelli, scoperta da Nanni Moretti con I diari della Sacher, e un film con Francesca Comencini, tratto da Lo spazio bianco di Valeria Parrella. Sarà la prima volta che lavora con delle donne.
Da
Dirige la Fandango, una delle società di produzione più impegnate nel mondo e che ha sede in Italia. I film prodotti dalla Fandango si sono aggiudicati numerosi riconoscimenti in tanti festival internazionali, tra cui quelli di Cannes, Locarno, Berlino, Venezia, Rotterdam, Toronto, Seattle, Tribeca e il Sundance.
Procacci ha vinto il David di Donatello come miglior produttore per L'ultimo bacio, pellicola che ha ottenuto premi anche per il regista Gabriele Muccino, l’attrice non protagonista, il montaggio e il fonico di presa diretta. Inoltre, ha vinto lo stesso riconoscimento per Respiro. Le produzioni della Fandango La corsa dell’innocente e Come due coccodrilli hanno ottenuto delle nomination ai Golden Globe come miglior film straniero.
Tra le altre produzioni o coproduzioni della Fandango che hanno vinto o ricevuto diverse nomination ai David di Donatello e ai Nastri d’argento, figurano La stazione, Radiofreccia, L'imbalsamatore, Velocità massima e Ricordati di me. Recentemente, Le conseguenze dell'amore si è aggiudicato cinque David di Donatello, tra cui quello per il miglior film e per il miglior regista (Paolo Sorrentino) nel 2005, oltre a essere stato presentato in concorso al Festival di Cannes del 2004.
Oltre ai suoi tanti acclamati film italiani, la Fandango ha anche prodotto o coprodotto pellicole di affermati registi internazionali, tra cui Bad Boy Bubby, Epsilon, La stanza di Cloe (The Quiet Room)e Balla la mia canzone (Dance Me to My Song) di Rolf de Heer; Il soldato molto semplice Ivan Chonkin (The Life Extraordinary Adventures of Private Ivan Chonkin) di Jiri Menzel; Zona di guerra (The War Zone) di Tim Roth; Calle 54 di Fernando Trueba; Dust di Milcho Manchevski; Eros di Wong Kar-Wai, Steven Soderbergh e Michelangelo Antonioni; Tickets di Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami e Ken Loach; e Seta (Silk) di François Girard.
Recentemente, è stato impegnato con Caos calmo di Antonello Grimaldi, che vedeva la partecipazione come attore di Nanni Moretti, presentato in concorso all’ultimo Festival di Berlino e al Tribeca, così come Gomorra di Matteo Garrone, che ha vinto il gran premio della giuria al Festival di Cannes ed è il rappresentante italiano agli Oscar.
La Fandango ha anche una società editrice, la Fandango Libri, e un’etichetta discografica, Radiofandango.