La cosa più notevole del film Confidence, intricato thriller su una banda di truffatori è il ritratto del boss malavitoso The King, il re, tratteggiato da Dustin Hoffman: occhiali penzolanti al collo, gesti nevrotici, parlata veloce accompagnata dal masticare di gomma, camicie a quadretti stropicciate, scarpe da ginnastica.
Incontrando l’autore del film, James Foley, il regista di Americani, ci si accorge che quando l’attore confessava di essersi ispirato proprio a lui per creare il personaggio diceva la verità. “È successo la prima volta che ci siamo incontrati nel suo studio”, racconta divertito il newyorkese Foley, cinquant’anni tondi tondi.
“Ero nervoso perché le riprese stavano iniziando e non avevamo trovato l’attore giusto per il ruolo. Lui continuava a fissarmi. Poi mi ha chiesto gli occhiali, si è fatto dare un chewingum e ha perfino indossato la mia maglietta. Lì abbiamo iniziato a costruire il personaggio di The King. Nella sceneggiatura era completamente diverso, un omone da 150 chili: abbiamo dovuto adattano alle dimensioni del mingherlino Hoffman. Il buffo è che durante le riprese ho rimosso l’episodio, e solo a film finito, in fase di montaggio, mi hanno fatto notare la somiglianza. È stato imbarazzante: in effetti quando giro tiro fuori un’altra personalità: parlo in continuazione, faccio libere associazioni, sono iperattivo, rido. Fuori dal set invece sono tranquillo e taciturno”, spiega il regista: naturalmente gesticolando, roteando gli occhi e masticando in continuazione, con ciletti paradossali.
Le gradi truffe sono tornate di moda al cinema: c’è stato Spielberg con Prova a prendermi ora il suo Confidence e Matcstick men di Ridley Scott.
“Non ho visto il film di Scott, ho trovato triste, anche se ben fatto, quello di Spielberg. Il truffatore fa presa sul pubblico perché regala un senso di libertà dall’oppressione delle regole, regole fissate da un establishment basato fondamentalmente sui soldi. Il protagonista, Edward Burns, e gli altri della banda, appartengono alla piccola borghesia e grazie alla
truffa cambiano il loro status, salgono nella scala sociale. E poi truffano criminali peggiori di loro, mica innocenti. Per loro il metter le mani sui soldi diventa perfino secondario rispetto all’avercela fatta a piazzare “la stangata”. Perciò il pubblico tifa per loro”.
Confidence, lei ha detto, è parente del suo film più famoso, Americani. In che senso?
“Si affronta una situazione simile, ma da una prospettiva completamente diversa. Ci sono un gruppo di persone che hanno obiettivi in comune e interessi individuali confliggenti, un gioco di verità e menzogne. In Americani prevaleva il lato antropologicamene più oscuro e i personaggi si cannibalizzavano a vicenda. Quelli di Confidence invece fanno fronte comune”.
In Americani ha diretto Al Pacino, stavolta è toccato a Dustin Hoffman. Due mostri sacri di Hollywood.
“Ma complessi e diversi. Pacino è evanescente, Hoffman incombente. Pacino sul set non lo vedi mai, se ne sta chiuso in camerino, può entrare solo il regista. Arriva sul set qualche minuto prima delle riprese: sembra in trance, non guarda nessuno, inizia a recitare. E tu devi andargli dietro perché è capace di cogliere le ispirazioni del momento, gesti apparentemente estranei alla scena, che poi regaleranno sfumature uniche al personaggio. Hoffman è il contrario, sul set di Confidence il tormentone era: “Ma è impossibile liberarsi di Dustin Hoffman!”. Dal primo giorno delle riprese sta lì, s’impiccia anche quando non è in scena, chiacchiera con la troupe, vuole conoscere, pignolo, ogni dettaglio. Un delizioso incubo”.
L’attore a cui resta più legato?
“Jack Lemmon. Mi ha fatto molta impressione tornare alla mostra di Venezia dopo che c’ero stato con lui per Americani, tornare negli stessi posti in cui eravamo stati insieme. È stato un onore e un piacere lavorare con lui, era un attore entusiasta e ambizioso, stanco di essere catalogato dalla macchina hollywoodiana come quello della Strana coppia cui offrire sempre lo stesso ruolo. Ricordo il giorno in cui lo premiarono con il Leone d’oro, era emozionato come fosse a inizio carriera”.
Quanto i personaggi tratteggiati in Americani sono cambiati con il tempo. E cosa sono diventati oggi?
“Non sono cambiati affatto. Io guardo Americani come un documentario sulla natura, sull’uomo come animale che lotta per la sopravvivenza del più forte, per ottenere quel che nell’era delle caverne era il cibo e, ora, sono i soldi. Non biasimo l’istinto, ma mi fanno orrore le regole che lo scatenano, la cultura dominante di Wall Street che giustifica qualsiasi modo, anche il più selvaggio, violento e distruttivo per arrivare alla ricchezza, una mentalità predatrice che si ripercuote nei rapporti tra l’America e il mondo. Per questo la leadership è importante. Clinton era un buon capo perché era intelligente abbastanza da capire che questo istinto andava controllato, incanalato. Bush e quelli che lo circondano non ci sono riusciti, e le conseguenze le abbiam.o sotto gli occhi”.
In Confidence Madonna canta Erotica, nel filmA distanza ravvicinata il tema era Live to tell, e soprattutto lei la diresse in Who’s that giri. Le piace così tanto?
“L’adoro. Mi sono indignato per la cagnara che c’è stata da parte dei media conservatori al suo recente bacio lesbico con Britney Spears su Mtv, un gesto che ha mostrato quanto sia per-versa la nevrosi dell’America rispetto al sesso. Madonna è al di sopra di tutto, anche delle star di Hollywood, perché sa gestire la macchina più potente della cultura pop, media, Li controlla e quelli non si ribellano, come invece è successo alla coppia Ben Affleck-Jennifer Lopez, che li ha usati per pubblicizzare film e ne è rimasta travolta, in una sovraesposizione autodistruttiva”.
E come spiega tutti i suoi insuccessi al cinema?
“Il motivo, a parte il discorso se abbia più o meno talento, è che Madonna è al di sopra di tutto questo, ha una personalità talmente grande che non riesce a comprimerla in personaggi piccoli. Per questo la sua interpretazione migliore resta Evita Peron, che pure dominava un paese. Nell’ultimo film, Spazzati via, il suo personaggio era di nuovo inferiore a quel che lei poteva dare, perciò non ha funzionato”.
Da Il Venerdì di Repubblica, 12 settembre 2003