Alla faccia della pubblicità dei telefonini benedetti da Gandhi, la comunicazione con Bombay non delle migliori. Nei momenti strategici cade la linea. Per esempio, quando chiedo a Miss Rai come si pronuncia esattamente il suo nome, “Aishwarya”. Vorrei saperlo bene, in caso la ragazza diventasse una star mondiale. E l’eventualità non è da escludere. Non solo perché Ash (alla seconda telefonata, per semplificarmi la vita, mi ha detto che gli amici la chiamano così) sia bellissima e anche capace di ballare, recitare e cantare.
Il fatto è che questa attrice e modella, nata a Mangalore nel 1973, è la prima diva indiana d’esportazione. Già superstar a Bollywood, la Hollywood di Bornbay, un’industria che produce 900 film all’anno, dopo una trentina di pellicole in hindi, adesso recita in inglese in Matrimoni e pregiudizi (in Italia dal 10 dicembre).
Girato tra l’India, Londra e Los Angeles, il film è il meltingpot fatto cinema. La regista è Gurinder Chadha (Sognando Beckham), nata in Kenya, cresciuta a Londra e sposata con un nippo-americano. La produzione è parte indiana, parte inglese e parte americana. Sul set, le maestranze rivolgevano una preghiera alla cinepresa prima di iniziare, abitudine tipicamente bollywoodiana. Nell’ultima scena, fa capolino in un cameo il produttore Usa Harvey Weinstein, narcisismo tipicamente hollywoodiano.
Liberamente tratto da un classico della letteratura inglese, Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, ma ambientato ai giorni nostri, Matrimoni e pregiudizi ha molti numeri musicali, nella tradizione del cinema indiano, però riveduti e corretti secondo i gusti dell’epoca di Mtv. La stessa epoca che ha lanciato anche il rapper indiano Panjabi MC e più in generale una cospicua messe di coloratissimi e canterini spot per marchi dijeans, automobili e persino detersivi per i pavimenti: l’India è sempre più vicina.
In Matrimoni e pregiudizi, al posto di Ehzabeth Bennet, eroina in crinoline più testarda che romantica, c’è Lauta, un’indiana di oggi che contesta la mamma rompiscatole che non vede l’ora di sistemare le figlie con una serie di matrimoni combinati e propina grandi ramanzine sull’esatto posto della donna nella società (il solito focolare).
Ma le famiglie indiane sono ancora così all’antica? Come è stata educata Aishwarya? La risposta arriva preceduta da una risata. «Il film è ironico, le cose non vanno più così! E la mia vita ne èla prova!».
Riassumiamola. A 18 anni, Ash stava finendo il college e non pensava né al matrimonio né al cinema. Un professore d’inglese che, a tempo perso, faceva il fotografo, le ha scattato delle foto che sono finite su un giornale. Le hanno proposto di fare la modella, ma lei si è iscritta ad Architettura, come da programma. «Lavoravo solo nei weekend perché né io né la mia famiglia volevamo che interrompessi gli studi».
Ma poi li ha interrotti. «Sì, perché gli impegni si moltiplicavano. Pubblicità sempre più importanti, concorsi di bellezza, il cinema».
In quegli anni, Ash è stata il volto delle campagne indiane di certe bibite gassate simbolo dell’Occidente e, nel 1994, è stata eletta Miss Mondo. Felice? «Sì, ma non per vanità personale. Perché rappresentavo il mio Paese». Sarà quello che pensava Kabir Bedi quando, in Italia, è diventato famoso con Sandokan?
Chiedo ad Ash se lo conosce, ma cade la linea. Rinuncio a saperne di più sul secondo classificato dell’Isola (le/famosi e, al terzo round telefonico, mi accorgo che Ash dice del suo lavoro più o meno le stesse banalità di qualunque attrice occidentale («regista fantastica, set meraviglioso, sceneggiatura interessante»), con un’unica differenza:
lei aggiunge sempre un «Grazie a Dio!». Poi ringrazia anche la sua famiglia, a cui è legatissima. Adesso viaggia molto, ma appena può passa qualche giorno a Bombay, con il fratello maggiore Aditya e con la madre Vrinda, che l’ha accompagnata in giro per il mondo «solo i primi anni, da qualche tempo sa che per cavarmela mi basta il ricordo costante dei suoi insegnamenti, basati su valori come il rispetto e la compassione».
Come si vive, con questo equipaggiamento, nel mondo dello showbiz occidentale? «Grazie a Dio, mi trovo benissimo. Non ho alcuna esitazione a lavorare all’estero, perché so che questo fa bene anche alla mia India».
Per dimostrarlo, racconta della coincidenza per cui, nel 2003, quando è stata la prima attrice indiana invitata a far parte della giuria del Festival di Cannes, ha incontrato i signori di una multinazionale della cosmesi. L’hanno vista e l’hanno subito fatta entrare nel loro “dream team” etnicamente corretto, assieme a testimonial come Natalie Imbruglia (per Australia e Oceania), Gong Li (per la Cina e l’Estremo Oriente) e Laetitia Casta (per la vecchia Europa). Poiché anche l’occhio indiano vuole la sua parte di rossetti e belletti, adesso Ash è una celebrità al di fuori del suo Paese. Al punto che Julia Roberts ha detto di lei: «È la donna più bella del
mondo!
Non è che l’inizio. Prossima-mente Aishwarya Rai sarà co-protagonista di Chaos, un film con Meryl Streep, diretto da Colme Serreau (Tre uomini e una culla), ed è anche nel cast di Singularity di Roland Joffé. Tra i progetti annunciati in India, invece, c’è anche una Vita di Buddha, in cui Ash dovrebbe interpretare la moglie dell’Illuminato. Si dice che uno dei finanziatori del film potrebbe essere Richard Gere, star hoilywoodiana da tempo convertita alla causa buddhista e ambasciatore dell’integrazione culturale tra Oriente e Occidente. Un po’ come Aishwarya. Visto che adesso il telefono non fa capricci da un p0’, ne approfitto per chiederle se ha un fidanzato. La linea cade di nuovo. Comincio a insospettirmi.
Quando torniamo a parlare, affronto la questione delle scene di sesso. Nei film di Bollywood non si vedono neanche i baci. Come intende comportarsi Ash se le dovessero chiedere di finire a letto con un Brad Pitt qualsiasi? La comunicazione s’interrompe ancora. Insisto, ma la voce è cambiata. È l’assistente che, chiarissima, avverte che il tempo è scaduto. Sarà questo ciò che Gandhi chiamava «resistenza passiva»?
Da Vaniti Fair, 16 dicembre 2004