La saga inverte la marcia per ritornare a quel modello narrativo e a quelle medesime situazioni che tanto successo avevano mietuto ai tempi de La maledizione della prima luna.
di Eugenio Radin, vincitore del Premio Scrivere di Cinema
Dopo un paio di capitoli decisamente deludenti e l'abbandono della ciurma, già nel 2007, da parte di Gore Verbinski, la sempre più cartoonesca saga del capitano Jack Sparrow inverte ora la marcia, per ritornare a quel modello narrativo e a quelle medesime situazioni che tanto successo avevano mietuto ai tempi de "La maledizione della prima luna". Tornano quindi le dannazioni, i velieri fantasmi, la moltitudine di non-morti che corre sulle acque sognando la vendetta verso il (sempre più) goffo protagonista: un Johnny Depp che sfrutta qui tutti i miracoli del trucco e della post-produzione per nascondere sul suo volto il passare inesorabile del tempo.
Ciò che la celebre casa di produzione americana non sembra però intuire è che il problema della sterilità di certe saghe cinematografiche, di cui Pirati dei Caraibi rappresenta solo uno dei possibili esempi, non risiede tanto in una perdita di rotta rispetto a un'azzeccata formula iniziale, ma nella caducità e nella precarietà di ogni prodotto che non sappia porsi al di là del puro e semplice intrattenimento, il quale, proprio come un giocattolo, una volta invecchiato, perde ogni capacità di far presa sul suo pubblico.
Se quei meccanismi narrativi si erano dunque rivelati ottimamente efficaci nel lontano 2003, ciò non permette a chicchessia di darne per scontata la funzionalità ancora oggi e, nonostante l'indiscutibile passo in avanti compiuto rispetto all'incagliamento che la saga aveva subito negli ultimi suoi episodi, questo La vendetta di Salazar non sembra avere alcunché da aggiungere a una storia che, se non fosse per le infinite risorse della "casa di topolino", sarebbe ormai morta da tempo.