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Suzuki Seijun, le sette vite del più ribelle tra gli autori

Avrebbe compiuto 94 anni a maggio il regista giapponese che ha ispirato - tra gli altri - Jim Jarmusch, Quentin Tarantino, Wong Kar-wai.
di Emanuele Sacchi

Seijun Suzuki 24 maggio 1923, Tokyo (Giappone) - 13 Febbraio 2017, Tokyo (Giappone).
mercoledì 22 febbraio 2017 - Focus

Nella sua lunga vita (avrebbe compiuto 94 anni a maggio 2017) ha combattuto in una guerra mondiale e ha assistito ai mille bouleversements, dal '68 in avanti, occorsi nel Paese del Sol Levante, quasi sempre da protagonista assoluto, discusso, amato e odiato in egual misura. Quando si vuole guardare a un autore folle, visionario e fuori dagli schemi, ma partorito dal cinema più schiettamente commerciale, uno dei primi nomi a venire in mente è sempre quello di Suzuki Seijun. Per i suoi meriti artistici e per le lotte in nome della libertà creativa, che hanno dato vita a uno dei casi più controversi di ingerenza di una produzione cinematografica nelle scelte di un regista. Una lotta per l'autonomia del regista in un Giappone rigido e imperturbabile al cambiamento. L'uso dei colori primari e la rivoluzione rappresentata dall'adattamento di una messinscena surreale a un contesto hard boiled sono la firma di un autore che ha influenzato i maggiori talenti nel campo del cinema e del fumetto dagli anni '80 in poi.

Nato dal B-movie più exploitation e divenuto un santone dei festival del cinema d'essai, tracciando una parabola destinata, dopo di lui, a fare scuola.
Emanuele Sacchi

Dopo aver combattuto nella seconda guerra mondiale e aver completato faticosamente i suoi studi di cinema, Suzuki diviene assistente alla regia per la compagnia Shochiku. Quando lo studio Nikkatsu riapre i battenti nel 1954, c'è bisogno di registi giovani e volenterosi: tra le forze nuove reclutate presso assistenti e tirapiedi di altri studios, c'è anche Suzuki, che nel 1956 si trova a girare il suo primo film, Victory is Mine, equivalente nipponico di un "musicarello". Il terzo lavoro, Satan's Town, è uno yakuza eiga, un film di gangster: la Nikkatsu - che sarà ribattezzata Nikkatsu Akushon per la prevalenza di action movie di successo girati in quegli anni - capisce di avere per le mani un talento raro per il genere e comincia a commissionare a Suzuki progetti in serie. Tra il 1956 e il 1967 Suzuki girerà 40 pellicole per la prima major giapponese, a un ritmo serrato, da catena di montaggio.


Una scena di Youth of the Beast.
Una scena di La farfalla sul mirino.
Una scena di A Tale of Sorrow and Sadness.

Youth of the Beast, del 1963, è la prima opera personale del regista, in cui le convenzioni del genere e gli script rigidi cominciano a stargli stretti. Suzuki approfitta degli interstizi tra i dialoghi, delle zone grigie delle sceneggiature, per cominciare a tessere la sua idea di cinema.

Il primo capolavoro si intitola Tokyo Drifter, anno 1966: parte bianco e nero e parte colore - un'idea di cui Frank Miller farà tesoro nel suo Sin City - con scenografie che paiono quadri di De Chirico e ospitano surreali rese dei conti a pistolettate.
Emanuele Sacchi

Il protagonista Watari Tetsuya e la canzone che dà nome al film diventano cult: Suzuki intercetta il gusto sixties e si dimostra avanti anni luce rispetto alla concorrenza interna ed esterna.
L'entusiasmo per Tokyo Drifter garantisce a Suzuki Seijun una maggiore libertà creativa, di cui il regista decide di fare pieno uso. Koroshi no rakuin (alias Branded to Kill, in Italia noto come La farfalla sul mirino) del 1967 abbandona da subito lo script di Guryu Hachiro per trasformarsi nella riflessione esistenziale di un killer, a metà tra delirio onirico e noir stilizzato. Girato in un bianco e nero elegante e suggestivo, dalla trama ai limiti dell'incomprensibile, è uno di quei titoli in cui quasi ogni sequenza è divenuta culto, anche grazie agli omaggi di grandi registi (in primis Jim Jarmusch, che in Ghost Dog omaggia un'esecuzione del killer protagonista). Iconico il protagonista Shishido Jo, habitué dei film Nikkatsu, con le sue caratteristiche guance gonfie, dovute a un'operazione di chirurgia estetica.


Una scena di Zigeunerweisen.
Una scena di Lupin III - La leggenda dell'oro di Babilonia.
Una scena di Tokyo Drifter.

La farfalla sul mirino è un insuccesso di critica e di pubblico, oltre che, secondo la Nikkatsu, un chiaro atto di insubordinazione nei confronti della compagnia. Suzuki si trova licenziato da un giorno all'altro. Falliti i tentativi di trovare un compromesso, quest'ultimo intenta una causa allo studio cinematografico, insieme a un cartello di registi, fan e attivisti in genere: diviene un'icona della controcultura e un simbolo della libertà creativa, ma la sua battaglia contro la major gli costa l'allontanamento dalla macchina da presa. Nessuno studio se la sente di assumerlo e per dieci anni Suzuki non girerà più un film. Il suo ritorno nel 1977 coinciderà con A Tale of Sorrow and Sadness, un thriller minore ambientato nel mondo del golf.

Negli anni Ottanta Suzuki ritrova la sua musa e adatta il suo stile visionario e surreale a una storia di fantasmi, Zigeunerweisen, che diverrà il primo capitolo di una trilogia.
Emanuele Sacchi

Seguiranno nel 1985 la co-regia di Lupin III - La leggenda dell'oro di Babilonia e Yumeji (1991). Intanto l'Occidente comincia a conoscerlo e a interessarsi al suo passato turbolento. Nel 2001 il regista approda alla Mostra del Cinema di Venezia con Pistol Opera, in cui Suzuki affronta i suoi demoni: il film è un quasi-sequel stilizzato del suo imperscrutabile capolavoro La farfalla sul mirino, con protagonista nuovamente Shishido Jo. Princess Raccoon del 2005 è, invece, una curiosa rielaborazione in forma di musical di un mito tradizionale: protagonista Zhang Ziyi, immersa in scenografie coloratissime. Sarà il 54esimo e ultimo film del maestro di Nihonbashi, Tokyo, che muore il 13 febbraio 2017.


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