Alla decima edizione degli Oscar asiatici The Assassin batte tutti i record e si aggiudica 8 statuette su 9 nomination.
di Emanuele Sacchi
Si sono conclusi a Macao gli Asian Film Awards, giunti alla decima edizione e forti di una credibilità crescente a livello internazionale. Mai come quest'anno le candidature - selezionate in parte dalla giuria presieduta da Johnnie To - sono parse curate e competenti, frutto di un attento lavoro di analisi su quanto di buono offerto da una straordinaria stagione di cinema in Asia. Non capita tutti gli anni che a competere l'uno contro l'altro siano autori del calibro di Hou Hsiao-hsien, Jia Zhang-ke e Koreeda Hirokazu, ma nonostante il livello elevatissimo non c'è stata gara.
The Assassin ha battuto ogni record della giovane manifestazione, aggiudicandosi otto statuette su nove nomination.
Un trionfo più che meritato, per un'opera che ha richiesto uno sforzo e una perizia fuori dal comune e che, come succede ai capolavori, supera ogni barriera di cinema di genere o d'autore per collocarsi al di sopra, in uno spazio a sé che non conosce etichette e definizioni.
Con un trionfo nelle categorie tecniche e in quelle artistiche, The Assassin non poteva che aggiudicarsi anche Miglior Film.
D'altronde è l'opera nel suo complesso a lasciare un segno nella storia del cinema, come solo i capolavori di Kurosawa Akira o di King Hu, mescolanza di elemento spettacolare e di riflessione etico-filosofica, sapevano fare. Non sono termini di paragone esagerati, The Assassin è un film che studieremo e ricorderemo nei decenni a venire.
Hou Hsiao-hsien va a far compagnia a Jia Zhang-ke e Koreeda Hirokazu - questa sera suoi contendenti - nel palmares degli Asian Film Awards.
Non poteva essere che così: The Assassin, oltre che un'esperienza straordinaria da un punto di vista sensoriale, è la realizzazione di un progetto folle e travagliato. Anni di lavorazione, affrontati con la meticolosa pignoleria di chi non lascia nemmeno un granello di polvere al caso. Uno dei cinque maggiori registi viventi, un premio strameritato.
Pronostico centrato anche qui, benché Lee Byung-hun, l'Alain Delon sudcoreano, avesse rivali come Donnie "Ip Man" Yen e Nagase Masatoshi, nel toccante ruolo del venditore di dorayaki con un passato da ex galeotto (Le ricette della signora Toku).
Un premio a una star, dalle doti recitative troppo spesso sottovalutate in favore di quelle estetiche: il film per cui ha vinto, Inside Men, è una storia di uomini e di vendette, tra corruzione e ambizione, in una Corea marcia fino al midollo.
Scontato forse, ma ugualmente meritevole di un applauso a scena aperta, il premio a Shu Qi per The Assassin. Non è solo un'interpretazione straordinaria per abnegazione e capacità di calarsi in un personaggio che trattiene ogni passione e che ama disperatamente, nonostante tutto.
È il compimento di una carriera cominciata sui set a luci rosse, ancora ragazzina, un percorso di riscatto che l'ha resa prima donna e poi diva. Chapeau.
Anche qui ci avevamo preso: Asano Tadanobu si supera nel ruolo dell'amante che ritorna dal regno dei morti.
Un'interpretazione che dona all'intenso Journey to the Shore di Kurosawa Kiyoshi quel qualcosa in più che lo rende memorabile. Niente da fare per il caratterista sudcoreano Oh Dal-soo e per il giovane Michael Ning di Port of Call.
Ancora The Assassin con il premio alla giovane Zhou Yun, icona di grazia contrapposta all'assassina privata della sua femminilità interpretata da Shu Qi.
Un lavoro di sottrazione quello della Zhou, di rigidità quasi ieratica nell'equilibrio richiesto dalla rigorosa messa in scena di Hou Hsiao-hsien.
Uno dei premi più attesi e originali degli Asian Film Awards, anche perché "unisex", viene assegnato a una giovanissima attrice al debutto.
Come da nostro pronostico è Jessie Li, classe 1992, a vincere, per il difficile ruolo di una ragazza bizzosa ma lacerata interiormente e delusa sentimentalmente. Secondo premio per il noir thriller Port of Call e per il cinema di Hong Kong.
Dai premi tecnici si passa ai premi maggiori e, come da pronostico, Jia Zhang-ke piazza l'unico colpo possibile nella sola categoria in cui The Assassin non era candidato.
Il premio va a Al di là delle montagne, una sceneggiatura scritta dallo stesso Jia, piena di dialoghi pregnanti, che ricostruiscono una generazione cinese di fronte alla modernità e alla babele linguistica determinata dalla loro diaspora, fisica e morale. Per Jia Zhang-ke è il secondo Asian Film Award, dopo quello alla Regia per Still Life nella prima edizione del 2007
Forse il più scontato tra i premi quello per la Miglior Fotografia al lavoro di Mark Ping-bing Lee.
Il lavoro sui colori, sulle trasparenze, sulla nitidezza dei corpi di The Assassin va oltre l'immaginabile. Anche privata del sonoro e smontato in mille pezzi, un'opera che resterebbe un capolavoro anche per le sole immagini.
Hwarng Wern-ying, costumista e scenografa di The Assassin, si prende la rivincita dopo la delusione della categoria Costumi.
Il film taiwanese porta a casa un full quasi completo nelle categorie tecniche.
La prima autentica sorpresa della serata. The Assassin perde in una categoria, quella dei costumi.
Si aggiudica il premio la Corea del Sud con The Throne, blockbuster storico scelto come candidato agli Oscar per il Miglior Film in Lingua Straniera (e poi eliminato come The Assassin). Ha la meglio lo sfarzo della corte di Joseon rispetto al wuxia pian.
La ricostruzione in flashback dell'omicidio di una ragazza, giocato su diversi piani narrativi, si aggiudica il premio come Miglior Montaggio, a scapito del frenetico Veteran.
Un altro riconoscimento per un film a basso budget come Port of Call, plurinominato anche ai prossimi Hong Kong Film Awards. Il cinema di Hong Kong che non muore.
Nella nuova categoria, introdotta da questa decima edizione degli AFA, pochi dubbi già dalla vigilia: The Assassin è mirabile dal punto di vista formale e tecnico almeno quanto su quello artistico.
Ogni minimo fruscio acquisisce senso e corpo grazie al lavoro sul sonoro. Sconfitti i vari blockbuster cinesi e coreani in lizza.
Quarto premio della serata per The Assassin di Hou Hsiao-Hsien alle musiche originali di Lim Giong. Dj, attore, artista a 360° e collaboratore da sempre di Hou e di Jia Zhang-ke - sue le magnifiche musiche di Millennium Mambo e Il tocco del peccato - in tutte le loro opere.
Dopo quattro Taipei Golden Horse Awards, arriva anche l'Asian Film Award per un fuoriclasse della colonna sonora.
Forse l'unico premio per Bollywood? Di sicuro qui non partiva favorito Bajirao Mastani, visto che era in competizione contro la CGI del campione di incassi Monster Hunt.
Ma era nell'aria (e nello spirito di redistribuzione geopolitica dei riconoscimenti) almeno un premio per l'India.
Due i premi alla carriera assegnati alla decima edizione degli Asian Film Awards. A Kiki Kirin, attrice giapponese nata nel 1943 e specializzata in ruoli comici o eccentrici: ha regalato indimenticabili ruoli per registi come Suzuki Seijun e soprattutto Koreeda Hirokazu (Father and Son, Little Sister), che la sceglie in quasi tutti i suoi film.
Secondo riconoscimento per Yuen Woo-ping, maestro e coreografo di arti marziali, oltre che regista di Drunken Master e del recentissimo Croucing Tiger, Hidden Dragon: Sword of Destiny, noto per il suo lavoro in film come Matrix, La tigre e il dragone o The Grandmaster. Un uomo senza il quale il cinema di arti marziali non sarebbe lo stesso.