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Baldini e il demone del gioco: un film perfetto

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto una scena del film Bob le Flambeur - Bob il giocatore di Jean-Pierre Melville.

domenica 23 novembre 2014 - Focus

Parto da un autore nobile e da un titolo nobile: "Il giocatore", di Fëdor Dostoevskij.
Il grande russo scrisse il romanzo nel 1866 dettandolo, in 28 giorni, alla moglie Anna. Doveva correre, perché aveva un contratto con un editore che non lo amava e non gli avrebbe fatto sconti sulla data di consegna, e perché gli serviva il denaro per pagare debiti di gioco. La vicenda di Marco Baldini, presenta minore nobiltà, ma una grancassa maggiore, praticamente inarrestabile. Un dato interessante, in questo senso, lo si coglie in un articolo, di quotidiano nobile, che presenta un ciclo di film allo Spazio Oberdan di Milano. È notorio che l'Oberdan è il posto della cultura e della qualità. Tuttavia per raccontare la rassegna sul "Demone del gioco", la premessa è sull'attualità "scottante" e il confronto con il caso di Marco Baldini. A seguire si scrive dei film in programma, fra i quali The Gambler, del lituano Ignas Jonyas, accolto con favore dalla critica a Cannes. Seguono titoli classici di genere, come La casa dei giochi di David Mamet, Bob le Flambeur, di Melville, soprattutto Il grande peccatore, di Robert Siodmak, tratto proprio dal ""Il giocatore"" di Dostoevskij.
Non sono così interessato alla vicenda dell'uomo di televisione, salvo che alla sua sofferenza, ma lo sarei per tutti. Dico che come artista mi è sembrato, sempre, la spalla di un protagonista, come lo era un Mario Castellani per Totò, poste le debite differenze di nobiltà. Mi interessa invece la vicenda fiction che si è sviluppata, esplodendo. Non so quanto il racconto mediatico corrisponda alla vera storia di M. B. Probabilmente ci sono differenze decisive. Così a questo punto il mio protagonista non è più Baldini, ma un "giocatore" ideale che chiamerò Fedja, come il personaggio del romanzo e del film, cui diede corpo e volto Gregory Peck. Rilevo una traiettoria conosciuta: il romanzo, il film, adesso, scalando le categorie verso il basso, la televisione. E così divento uno sceneggiatore che ha il compito di scrivere sul "demone del gioco", per la televisione, appunto. Dunque: Fedja si è rovinato col gioco, la cosiddetta spinta compulsiva. Ed ecco il progetto da costruire, che contenga componenti, formule, codici, caratteri perché la fiction abbia grande successo. Per cominciare: il demone lo ha portato alla rovina, con tutte le conseguenze del caso. Ricorso agli strozzini, debito che sale esponenzialmente. Così a Fedja facciamo perdere la moglie, ma per proteggerla; il lavoro, ma per proteggere chi glielo dava. È costretto a nascondersi, perché il racket non scherza, se non paghi può anche ucciderti. L'uomo viene ospitato da un amico coraggioso, in una stanzetta da bohème ma senza arte. Qualche amico - è bene fare un paio di nomi, diventa più reale - gli dà dei soldi, ma sono una goccia nell'oceano. Naturalmente non lavorando, temendo per la vita, abbandonato da tutti, senza futuro, Fedja fa tutti i cattivi pensieri. Sì, tutta roba funzionale al racconto, alla pietà, all'audience. Fedja è uno sciagurato, ma deve apparire buono, pentito, altrimenti risulterebbe antipatico, a scapito del gradimento. È il momento della grancassa. L'inizio è soft, una notizia quasi casuale sul dramma del giocatore. Ma, allo stadio successivo, ecco in soccorso il più importante quotidiano italiano che offre non una ma due pagine sul grande dramma. Ma è solo l'inizio. Non può mancare il piccolo schermo. E la "vicenda" si attesta nel momento di maggiore audience fra tutti i programmi, quello della domenica pomeriggio. Lo sceneggiatore sa bene che a quel punto molto importante è l'interlocutrice, e occorre che costei stia dalla parte del giocatore, del "maledetto" ma buono, dell'incosciente perché debole. La conduttrice deve avere parole dure ma comprensive, in guanto di velluto: condanna, ma indulgenza e perdono. E qualche aneddoto personale che porti a ricordare i tempi belli e la personalità, che fu generosa, del decaduto. Fedja diventa così lo sfortunato da proteggere. A quel punto è utile, inevitabile che un artista, una cantante conosciuta, proponga uno spettacolo corale a favore dello sfortunato. Applausi. Ma per Fedja adesso è il momento del futuro, uscito dal tunnel cosa farà? Si dedicherà agli altri, andrà in Africa, missionario, ad aiutare ed espiare. Ma... ripensamento, forse è meglio andare all'Isola televisiva. L'auspicio è che Fedja non diventi un "grande fratello individuale", braccato dal racket e dalla tv. Ma qualcosa di vero e concreto, di vitale e spettacolare, certo è accaduto: per la prima volta, finalmente non è spalla, ma protagonista.

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