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BIFF 2012, Nando Paone racconta il suo Reality

Una favola grottesca che ha colpito il pubblico di Busan.

In foto Nando Paone e Aniello Arena in una scena del film Reality.
Nando Paone Altri nomi: (Fernando Paone ) (67 anni) 27 novembre 1956, Napoli (Italia) - Sagittario. Interpreta Michele nel film di Matteo Garrone Reality.

lunedì 8 ottobre 2012 - Incontri

Da Napoli alla Corea, per rappresentare il cinema italiano. Nando Paone è sbarcato al Festival di Busan, dove, il 5 ottobre, è stato proiettato Reality di Matteo Garrone. Nel film, che ha ottenuto il Gran Prix speciale della giuria al Festival di Cannes, l'attore simbolo della comicità partenopea, è alle prese con un personaggio drammatico, Michele, perfettamente calato nel complesso contesto sociale della Napoli da favola grottesca tratteggiata dal regista di Gomorra. Un universo che ha colpito il pubblico di Busan.

È la tua prima volta da artista in Corea?
Sì, è la mia prima volta in Corea, sia come attore che come turista. È una meta talmente lontana dall'Italia che non è facile capitarci per puro caso.

Come hai accolto la notizia della scelta di Reality al Festival di Busan e soprattutto che saresti stato proprio tu a rappresentarlo?
Mi ha fatto molto piacere, perché il film in Italia sta ricevendo un grandissimo consenso di critica e pubblico. Non conosco ancora bene l'andamento del botteghino, ma so che abbiamo competitors grossi, come Madagascar. Suppongo che questi stiano andando meglio di Reality, ma stiamo tenendo botta e il fatto di essere qui a Busan, con questo film, mi riempie di orgoglio.

In passato hai lavorato all'estero...
Si è trattato di lavori nel cinema, soprattutto a cavallo degli anni '70 e '80, con diverse produzioni internazionali, come la Twentieth Century Fox, per cui ho interpretato la parte di uno degli apostoli in The day Chryst die, diretto dal regista inglese James Jones, una produzione italo-anglo-americana. Poi ho lavorato anche nel cinema austriaco, svizzero, tedesco e francese sul set de I Borgia, diretto da Jean Jacques Annaud. Me la sono cavata grazie alla conoscenza delle lingue, anche se allora ero giovanissimo e avevo paradossalmente più esperienza come attore che con le lingue straniere.

Ritieni che in un prodotto di stampo internazionale lo stile interpretativo di un attore debba essere diverso?
Non necessariamente, perché credo che un certo tipo di espressività sia valida in qualunque parte del mondo. Mi hanno detto che, durante la proiezione di Reality, i coreani sono rimasti freddissimi in momenti del film in cui in Italia si ride tanto, mentre hanno riso molto di fronte a scene in cui non è scritta la risata. Penso, quindi, che ogni attore interpreti il proprio ruolo in maniera universale e poi è il pubblico di ciascun paese che coglie sfumature diverse, nel bene e nel male.

Il pubblico di Busan è energico, caloroso, si entusiasma molto. Pinocchio è stato accolto con grande entusiasmo, migliaia di ragazzi urlavano di fronte al regista, i nostri registi continuano a firmare autografi. C'è, insomma, grande interesse verso il cinema, una cosa che in Italia abbiamo un po' perso. Pensi che nel nostro paese si senta questa mancanza?
Negli ultimi anni sembrava che il cinema italiano stesse risollevando la testa, invece è, purtroppo, in profonda crisi. Il teatro lo è ancora di più, lo è per insolvibilità degli enti pubblici: si va a lavorare e poi non ti pagano, si aspetta mesi, a volte addirittura anni, è terribile. Il cinema, da un punto di vista commerciale, è abbastanza stabile. Dal punto di vista artistico, invece, tende ad avere paura di rischiare. Faccio un esempio che mi riguarda: in Reality, per la prima volta, sono stato chiamato per un ruolo non comico. Io sono considerato, in Italia, il comico surreale per eccellenza, perché riesco a far ridere, ma in maniera molto estrema. Garrone ha avuto il coraggio di impiegarmi in un ruolo serio, ai limiti del drammatico, usando le mie espressioni nostalgiche, serie, e io sono molto contento del lavoro svolto, ho avuto ottimi riscontri. Oggi, invece, nel cinema italiano c'è la moda dell'attore-maschera: un interprete viene impiegato solo per un tipo di personaggio e basta. Non c'è il coraggio di rischiare, come hanno fatto gli americani. Un attore deve avere la possibilità di mostrare la sua intera gamma interpretativa e i registi come Garrone credono in questo.

Ci troviamo all'interno del Cinema Center di Busan, un centro importante, con un teatro da 5.000 posti, una struttura dove vengono presentati oltre 300 film. Quanto è importante per un paese, e per il suo cinema, avere una struttura di questo genere per diffondere i prodotti nazionali e la cultura del cinema presso la popolazione?
È importantissimo, è una cosa meravigliosa. Io sono stato a presentare Reality anche a Karlovy Vary, in Repubblica Ceca, e pure lì ho visto delle cose bellissime: ragazzi che dormono nei sacchi a pelo e si fermano per l'intero periodo del festival, acquistando un abbonamento, pari ai nostri 40 euro, con cui possono guardare tutti i film che vogliono. Purtroppo, in Italia è difficile che si verifichi una cosa del genere. Basti pensare che nella città flegrea di Pozzuoli mancava un teatro da quasi sessant'anni. Tre anni fa, mi è venuto il ghiribizzo di aprire una sala da 70 posti, dove, l'anno scorso, sono riuscito ad avere 200 abbonati: di questi solo 50 sono indigeni, gli altri 150 vengono da fuori. In Italia, ancora una volta, sono stati operati tagli drastici alla cultura. So bene che la situazione è drammatica, siamo in pieno default, una fabbrica che chiude è molto più grave di un teatro che non apre, me ne rendo perfettamente conto. Ma sono anche convinto che, attraverso la cultura, per mezzo della scatola dei sogni, si accresca l'intelletto dell'individuo e quindi si abbiano anche maggiori strumenti per riuscire a crescere nel lavoro in generale. Anche perché il teatro è una piccola industria: nella mia piccola sala dò lavoro a 4-5 persone, senza l'aiuto di alcuna istituzione o ente. Ho avviato tutto di tasca mia, proprio per fare qualcosa per questo territorio. A Napoli, dove vivo, ma anche a Roma, molte sale sono completamente vuote, anche perché si fa una politica di prezzi altissimi. Io metto in vendita biglietti da 10 euro a spettacolo e ci rimetto, ma sono convinto che, con quest'incentivo, pian piano la gente aumenterà. I grandi teatri napoletani, dove il biglietto costa dai 35 ai 50 euro, sono praticamente disertati, a meno che non ci sia uno spettacolo-evento. Invece, un posto come questo di Busan, così grande e pieno zeppo di gente, indica che c'è una voglia diversa dei cittadini di approcciarsi alla cultura e all'arte.

Un pubblico così diverso dal nostro cosa ti lascia dentro come artista?
È bellissimo vedere un pubblico straniero capire e compenetrarsi in una storia che si svolge dall'altra parte del mondo. La tematica di questo film probabilmente incuriosisce, perché i reality ci sono anche in Corea. Allo stesso modo, il cinema coreano ha avuto grande successo a Venezia, segno dell'internazionalità del festival di casa nostra, che ha aperto un occhio al di là dell'oceano. Questo mi sembra importante.

Chi è Michele?
Michele nel film è il cugino di Luciano, il protagonista interpretato da Aniello Arena che, a un certo punto comincia a perdere la percezione della realtà, quando inizia a credere di essere stato scelto per partecipare al reality televisivo, spinto dal resto della famiglia, ad eccezione della moglie e del mio personaggio. Luciano gestisce una pescheria insieme a Michele che poi decide di chiudere lasciando il mio personaggio disoccupato, perchè viene preso dalla follia e Michele, attraverso la spiritualità, cerca di tenerlo con i piedi per terra, di riportarlo alla ragione. Dall'altra parte, la moglie Maria cerca di fare la stessa cosa attraverso l'amore. C'è un momento in cui si stanca di lui, lo abbandona, poi torna per amore, per stargli accanto. Michele rappresenta un po' l'anima buona tra questi mostri che lo inducono a perdere la percezione della realtà.

Quanto tutto questo può essere considerato lo specchio della realtà che viviamo oggi in Italia?
Rispecchia molto la realtà, non a caso il film si chiama Reality, non tanto perchè vuol parlare del reality show ma perchè vuole raccontare una realtà, che può essere una realtà parallela, virtuale, quella mentale più che quella televisiva. Tanto è vero che non si è voluto parlare del Grande Fratello anche se lo si è preso ad esempio, perchè è quello più rappresentativo in Italia, ma si è voluto parlare di come un sogno possa far perdere la percezione della realtà. Come diceva Giorgio Gaber, lui lo diceva a proposito del golf, io lo dico per i reality, per entrare nei reality non è necessario essere stupidi, però aiuta.

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