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ONDA&FUORIONDA

Forse chiude il Grande Fratello: che sia la grande svolta? Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Alessia Marcuzzi durante la serata d'apertura del Grande Fratello 12.

domenica 8 aprile 2012 - Focus

In un film Michele Placido è un padre di famiglia, cerca di scuotere uno dei figli con cellule cerebrali mangiate dal Grande fratello, è presente il resto della famiglia. Quando il ragazzo dice "sono milioni che guardano il grande fratello, sono tutti degli imbecilli?". All'unisono, quasi con urlo liberatorio, la famiglia risponde "sì!!".
La solita frase è: il grande fratello? È come sparare sulla croce rossa. Certo, ma sparare è, ed è sempre stato, inutile, il programma non è neppure stato scalfito. Il G.F doveva consumarsi di suo dall'interno. E così è stato. Nella finale di questa edizione il programma ha ottenuto 3 milioni e 920mila spettatori, con una share del 20 per cento. Lo scorso anno la share era del 32, l'anno prima del 34. E così via, una discesa inarrestabile. È interessante rilevare il competitore di quella serata, una fiction su Maria, che ha raccolto... il doppio. I segnali sarebbero molti: ottiche, analisi, prospettive... infinite. Una lettura immediata, mistica, da anima semplice, potrebbe essere: il vangelo ha battuto il grande fratello. Senza mistica è legittimo dire che il volto di quella ragazza, così sereno, lo scenario col sole che fa laggiù, e quella gente calma e lenta e poi la vicenda di Gesù, hanno prodotto un incanto. Per il credente o l'agnostico o l'incerto, quella è comunque una gran bella storia. E il G.F. è stato doppiato. Trattasi di buona novella.

Dicotomia
Da quando esiste la televisione commerciale vale una dicotomia perversa e imbattibile: in televisione comanda il trash perché è ciò che vuole il pubblico o il pubblico si beve il trash perché l'offerta è quella? Ho detto più volte che da questo nodo non si esce. Occorrerebbe che gli operatori, i produttori, le piattaforme, decidessero di rischiare la qualità, a fronte di una perdita di profitto. Non lo faranno mai. Occorrerebbe che l'utenza scegliesse la qualità a fronte del trash. Non è in grado di farlo. L'auspicio, ideale, impossibile, era che uno dei due soggetti spaccasse il nodo, proprio come Alessandro, che sciolse il nodo gordiano spaccandolo con la spada. Era un sogno. Invece in quella serata di scontro fra "buono e cattivo" ha vinto il buono. Lo spettatore si è affidato alla propria dotazione naturale, non inquinata dagli strati di quella comunicazione imposta. Non so se sarà una svolta, certo è un segnale di svolta.
Il Grande fratello può certo identificare lo status della televisione che va per la maggiore. Ragazzi spiati tutto il tempo, con un copione che non è ... di Zavattini: fanno autocoscienza, il loro piccolo problema - "lui guardava lei in un certo modo, prima aveva guardato me, se n'è accorta anche mia sorella da casa."- diventa il centro del mondo. Gli autori decretano che A litighi con B alle cinque, che C e F facciano sesso a mezzanotte, al riparo di una parete, che G, gelosa di C pianga all'alba.
E a questo punto non bastano quei protagonisti dell'interno, poi arrivano sociologi, opinionisti, scrittori, anche importanti, arriva il demiurgo fisso, Signorini che critica ferocemente e la critica porta(va) altra audience. Così il programma assume connotati alti, in chiave di costume e società. Se davvero fosse l'inizio di un'inversione di tendenza varrebbe la pena di un breve riscontro storico. Sia chiaro, quando dico trash non alludo a tutta la televisione, ma solo, lo ribadisco, a una parte prevalente. Le cose buone naturalmente ci sono. Sappiamo.

Anticipatori
I media presentano, storicamente, capitoli importanti, intelligenti, anticipatori. Di autori che avevano colto il pericolo. Ci davano un allarme, un promemoria a priori. Una era proprio il Grande fratello, quello vero, un personaggio che fa parte di 1984 uno dei romanzi fondamentali del Novecento: è il dittatore dello stato totalitario Oceania e ha il controllo assoluto di tutti i cittadini. Lo slogan è "ricordati che il grande fratello ti guarda." Era il 1949. Due anni dopo Billy Wilder girava L'asso nella manica, un'altra lettura abrasiva del cinismo dei media, della carta in quella circostanza. La frase era "un milione di persone muoiono per una carestia, nessuno si interessa di loro, ma un unico uomo imprigionato nel ventre di una montagna smuove tutto un Paese." Chiamiamola morbosità collettiva, guardonismo eccetera. O patologia da media.
Un altro grande autore, Elia Kazan, nel 1957, col suo "Volto nella folla" raccontava il potere della radio di guidare coscienze e comportamenti. Fellini nel 1985 girava Ginger e Fred, due vecchi ballerini di varietà che vengono riuniti in uno special televisivo. Federico descrive la televisione come un baraccone, un trash magari un po' più educato dell'attuale. E Mastroianni, a sua volta educato, dice alla Masina, che non capisce quel mondo "... questa non è gente seria". E Fellini era uno che di spettacolo e comunicazione qualcosa capiva.
Ma nel 1976 un autore fenomenale, Paddy Chayefsky, scrisse la sceneggiatura di Network (Quinto potere), dando della televisione un ritratto esatto, spietato e attuale. Non ieri, trentasei anni fa. Chi segue il cinema non può non ricordare Howard Beal (Peter Finch premio Oscar) il giornalista "incazzato nero" ispirato da una forza misteriosa, che arringa il pubblico americano. Chayefsky, che con quel lavoro aveva vinto il suo terzo Oscar (record diviso con Woody Allen) narra di questo Howard, che dopo aver avuto un successo abnorme, cominciò a perdere punti di audience e il network decise di avere un ultimo picco di ascolto facendolo uccidere in diretta da qualcuno che accettava di finire all'ergastolo o magari nella camera a gas, pur di avere visibilità. Una tivù estrema certo, ma lasciamo a un autore geniale la facoltà di una legittima licenza. Howard, in diretta, propone un ritratto dell'utente televisivo di un'attualità impressionante.

"...Io dico poveri noi, perché voi, il pubblico in studio, ed altri quaranta milioni di americani che ascoltate me in questo istante, perché meno del tre per cento di voialtri legge libri, capito? Perché meno del quindici per cento di voi legge giornali o riviste, perché l'unica verità che conoscete è quella che ricevete dalla tivù. Attualmente c'è da noi un'intera generazione che non ha mai saputo niente che non fosse trasmesso dalla tivù. La televisione è la loro bibbia, la suprema rivelazione. La tivù può creare, distruggere presidenti, papi, primi ministri, la tivù è la più spaventosa, maledettissima forza di questo mondo senza dio. E per questo poveri noi se cade nelle mani di uomini sbagliati...."

Purtroppo, spesso, gli uomini sono sbagliati.

Chayefsky dà corpo e volto, attraverso Faye Dunaway (che ebbe l'Oscar), a una giovane "ultratelevisiva" che conosce solo quel mondo e quella cultura. Che invece dei canonici gridolini di piacere durante l'orgasmo elenca numeri di audience e di share. Di lei si innamora un direttore di news (William Holden), grande professionista un po' all'antica, che crede che la notizia debba essere informazione onesta, non spettacolo, infatti il suo tigì non produce denaro, ma perdite. La relazione si rivela disastrosa, naturalmente. I due si affrontano un'ultima volta, lui tornerà in famiglia, se verrà accettato. Il monologo di Holden è certo estremo, magari un po' letterario, ma c'è molta verità.

"...Sei il nulla isterico in cui passi il resto della giornata, in te non è rimasto niente con cui io possa vivere. Tu sei uno degli umanoidi della televisione, se resto con te sarò distrutto, come tutto quello che tu e l'istituzione della televisione toccate, viene distrutto. Tu sei la televisione incarnata Diana, indifferente alla sofferenza, insensibile alla gioia, tutta la vita si riduce a un cumulo di banalità. Guerre, morti, delitti, sono uguali per voi, come bottiglie di birra, il quotidiano svolgimento della vita è solo un'orribile commedia, tu frantumi anche le sensazioni di tempo e di spazio in frazioni di secondo e lunghezze di segmenti. – n.d.r. chissà se un'autrice del grande fratello si riconosce in Faye Dunaway - Sei la pazzia Diana, pazzia furiosa, e tutto quello che tocchi muore con te... ma non io..."

Tutto questo nel '76 quando in Italia ancora non c'erano i network privati che sarebbero nati all'inizio degli anni Ottanta, tutto stravolgendo, con quella competizione furibonda, quella lotta sul business ad abbassare la qualità. Con l'educazione sentimentale dei giovani affidata al Grande fratello, appunto, o roba del genere, invece che ai banchi di scuola. Perché la nostra televisione fino ad allora era diversa, era buona e affidabile: gli sceneggiati dai grandi romanzi, i programmi sulla lingua italiana, Mike e Perry appuntamenti sicuri e garanti, ed era Mario Soldati a occuparsi di "cibi genuini".
L'evoluzione, complice anche la tecnologia, oggi, porta ad altre sindromi da display... ma sempre di schermo trattasi. Ci sono le playstation e i blakberry c'è youtube, che è una sorta di grande fratello allargato, ma almeno è naturale. Dunque: storia, trash, richiami, licenze. E un auspicio. Che quel segnale di sorpasso, di spaccatura del grande, inestricabile nodo, non sia solo un episodio. I responsabili del programma hanno annunciato che il Grande fratello sarà sospeso, almeno per un anno. Come detto è una buona novella, l'auspicio è che ... diventi anche migliore.

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