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5x1: Clint Eastwood, il buono antipatico

Torna alla regia con Gran Torino, ultimo film come attore.
di Stefano Cocci

Quella faccia un po' così che hanno i cowboy di Leone
Clint Eastwood (Clinton Eastwood Jr.) (93 anni) 31 maggio 1930, San Francisco (California - USA) - Gemelli. Regista del film Gran Torino.

martedì 10 marzo 2009 - Celebrities

Quella faccia un po' così che hanno i cowboy di Leone
Rigore e inquadrature scolpite nella roccia per durare nel tempo. È la regia di Clint Eastwood ma è anche la descrizione del volto, delle espressioni e dell'alone che lo ha circondato fin dai tempi degli spaghetti western e che, ancora oggi, ne rappresenta il marchio di fabbrica ma anche il verso determinante della sua poetica artistica. Acclamato come uno dei migliori registi viventi, all'alba dei 79 anni Eastwood torna davanti alla cinepresa in quella che lui stesso ha affermato potrebbe essere la sua "ultima interpretazione": Gran Torino, che fin dal titolo si annuncia come un film sull'America dei nostri giorni, nel cuore di una crisi che non è solo economica ma morale e di un sistema sociale. Ispirato da un mitico modello di Ford – per intenderci quello utilizzato da Starsky & HutchGran Torino è ambientato a Detroit, l'epicentro della crisi che sta travolgendo l'industria automobilistica a stelle e strisce, calamità che resta sullo sfondo di una storia che racconta razzismo e intolleranza, la fine di quel patto sociale tra etnie su cui sembrava reggersi il "sogno americano".
Eastwood è così, prendere o lasciare: ha raccontato sogni spezzati, vite distrutte, delitti senza castigo ma anche castigo senza delitto (o quasi). Da Million dollar baby, a Mystic River, fino risalendo a Un mondo perfetto, l'ex cowboy di Sergio Leone (per il quale aveva "due espressioni: con il cappello e senza il cappello") ha raccontato un mondo profondamente imperfetto e lo ha fatto con il suo stile: inquadrature scolpite nella roccia, sincere e crude quanto basta per farti voltare dall'altra parte pensando a quanto stai vedendo sullo schermo. Un po' come quella sua faccia, dai lineamenti netti e forse un po' immobili ma che si rabbuiano o si schiariscono a seconda che indossi, o meno, il cappello.

Lettere da Iwo Jima
Negli anni dell'esaltazione patriottica, dei trionfi tributati a presidenti a bordo di portaerei, dei telegiornali di regime costruiti per sostenere la "guerra al terrore", Eastwood, che non ha mai avuto bisogno di dimostrare di essere un patriota americano, sceglie di mostrare il terrore della guerra. Lo fa raccontando il dramma della Seconda Guerra Mondiale da una duplice prospettiva: quella dei vincitori che devono vendere i titoli di Stato che devono finanziare il conflitto (Flags of our fathers) e, soprattutto, quella degli sconfitti che malgrado siano destinati a soccombere non rinunciano a difendere una roccia in mezzo all'oceano. Sono queste le commoventi Lettere da Iwo Jima, nient'altro che il punto di vista di chi sarà sopraffatto dalla storia e da una forza che non è in grado di contrastare, un racconto di onore e paura narrato con la consueta maestria e poesia. Se in Flags of our fathers è la forza di una immagine a cambiare il corso degli eventi della Storia, in Lettere da Iwo Jima è la potenza delle parole a cambiare i nostri sentimenti e parlare al nostro cuore.

Million dollar baby
È il secondo Oscar alla regia che fa bella mostra di sé a casa Eastwood. Ed è assolutamente meritato. Non sempre la magica notte dei premi dell'industria cinematografica americana ci consegna dei capolavori, o quanto meno delle opere destinate ad invecchiare bene, ma in questo caso il film è destinato a seguire le orme del suo regista. Se Clint con il tempo migliora come il buon vino, può condividere il suo destino con questa storia minimale ma non minimalista, fatta di emozioni, rivincita e di una sana attualità, visto che si affronta l'argomento di una dolce morte. Eastwood non si tira indietro anzi, come ha sempre fatto nella sua carriera, sta da una parte anche se da consegnare agli annali del cinema è la poetica dei sogni spezzati.

Il buono, il brutto, il cattivo
Nella pagina 1 della storia del cinema potete tranquillamente inserire questo titolo: Il buono, il brutto, il cattivo. Il film che chiuse la "Trilogia del dollaro" di Sergio Leone può essere considerato come uno dei pochi da consegnare alle future generazioni. Eastwood qui arrivò alla sua terza esperienza con Leone ma trovare l'accordo non fu facile. Clint si sentiva il motore dello spaghetti western e mal digerì la presenza di altri due personaggi forti al fianco del suo. Si arrivò ad un soffio dalla rottura quando Leone affermò "sono stato io a inventarlo, domani dovrò inventarne un altro come lui." Per fortuna, nostra ed anche di Leone, Clint accettò ed oggi possiamo incorniciarlo nella bacheca dei grandi capolavori della storia del cinema.

Gran Torino
Quando si è veramente grandi ci si può permettere veramente tutto. Così, in quella che potrebbe essere ricordata come la sua ultima interpretazione, Clint sceglie un personaggio volutamente scomodo, cattivo, un uomo deciso a costruire un muro tra sé ed il resto del mondo, che siano i vicini coreani o la propria famiglia. Come e se questo muro troverà una forza tanto potente da tirarlo giù non è dato di raccontare in queste righe. Resta la personalità di un uomo/attore capace di impugnare un fucile come se nessuno lo avesse mai fatto prima di lui, una dote unica e che forse meritava maggiore attenzione nella Notte degli Oscar 2009.

Mystic River
È un altro dei pezzi più acclamati del repertorio di Eastwood. La precisione e la crudezza senza compromessi che sono la carta vincente della cifra stilistica del regista qui si uniscono ad una scelta senza precedenti: un thriller senza colpi di scena che non siano quelli che svolgono nel cuore e la mente dei protagonisti. Un tortuoso percorso dentro l'anima dei personaggi favorito dall'eccellente resa davanti alla macchina da presa degli attori, Penn e Robbins su tutti che infatti furono premiati con il premio Oscar.

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