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Ultimatum alla Terra riprogetta il design alieno degli anni '50

La Terra guarda il suo ultimatum nel remake di Scott Derrickson.
di Gabriele Niola

Remake ecologista
Keanu Reeves (Keanu Charles Reeves) (59 anni) 2 settembre 1964, Beirut (Libano) - Vergine. Interpreta Klaatu nel film di Scott Derrickson Ultimatum alla Terra.

venerdì 12 dicembre 2008 - Making Of

Remake ecologista
Ogni film di fantascienza, e in particolare i film in cui gli alieni arrivano sul nostro pianeta, non sono mai film sugli UFO, ma sugli uomini che guardano gli UFO arrivare, per questo la dimensione visiva, cioè le sembianze di questi alieni e delle loro astronavi (quindi le sembianze di ciò che di loro possiamo vedere) è sempre una componente fondamentale.
Ultimatum alla Terra di Robert Wise negli anni '50 passò alla storia non tanto per una storia stranamente pacifista per l'epoca quanto per il modo in cui aveva messo in immagini il personaggio di Gort, l'essere alieno quasi sempre immobile ma potenzialmente capace di distruggere il pianeta da un momento all'altro.
Il remake che oggi Scott Derrickson porta nei cinema cerca di rispondere diversamente al medesimo problema, lo fa ovviamente utilizzando i mezzi moderni per mostrare una creatura frutto dell'immaginario moderno, capace di mettere paura oggi (nell'originale era un uomo molto alto in una tuta vagamente metallica).
Al pacifismo originale il remake moderno affianca e quasi sostituisce un ecologismo più adatto ai tempi e anche questo richiede un immaginario visivo differente. Impossibile far arrivare un alieno ancora su un disco volante, per questo il mezzo con cui l'alieno Klaatu arriva sulla Terra ha la forma sferica e la superficie simili a quella di un piccolo pianeta.
Eppure l'impresa più grossa per un film di fantascienza che voglia dirsi pienamente moderno è concepire delle soluzioni visive per mostrare l'impossibile che abbiano una loro plausibilità che, per quanto di fantasia, siano lontanamente ipotizzabili a livello scientifico. E a questo ha puntato la WETA, responsabile degli effetti speciali del film.

Klaatu: la luce, la tuta organica, il corpo umano
Fanno le cose con cura alla WETA, l'azienda di punta del cinema digitale oceanico, così quando sono stati incaricati di occuparsi del comparto degli effetti speciali per Ultimatum alla Terra hanno cominciato subito ad immaginare come dovesse apparire Klaatu nella sua forma aliena e soprattutto perchè dovesse apparire in una certa maniera piuttosto che in un'altra.
"Le idee tradizionali sugli alieni tendono a conferire loro una vita di origine organica e una forma vagamente umana" spiega Jeffrey Okun, supervisore agli effetti visivi "Tuttavia considerando la vastità dell'universo potrebbero esserci altre forme di vita che non devono respirare o che non somigliano a noi", a paritre da queste condizioni la produzione è arrivata all'idea che Klaatu poteva anche originariamente non avere forma, potesse essere fatto magari di luce e poi sulla Terra prendere forma umana.
A questo punto è arrivata l'idea di una tuta incubatrice per il corpo umano, come se le sembianze vagamente umanoidi che abbiamo sempre convenzionalmente dato agli alieni fossero in realtà delle tute che essi indossano per agire sul nostro pianeta. All'interno della tutta poi rimane in incubazione il corpo terrestre in cui l'alieno abiterà.
E proprio la genesi e la scoperta di tale corpo (che all'inizio è acerbo e in poco tempo si perfeziona diventando Keanu Reeves) è stata una delle cose più complesse da realizzare. Mentre infatti l'essenza di luce poteva essere fatta tutta in computer grafica, il corpo acerbo avrebbe avuto dei movimenti imperfetti, specialmente rispetto al prodotto finito (Keanu Reeves). Così si è scelta una soluzione ibrida.
Dunque la pelle della tuta è vera ed è stata progettata e realizzata con plastica termica e silicone, mentre il corpo all'interno era vero ma "migliorato" al digitale per sembrare una forma aliena embrionale nell'atto di diventare umana.

Gort, il segreto del terrore
C'è sempre un po' di horror nei film di fantascienza, una componente di paura data dall'ignoto che si avvicina e che non si sa cosa potrebbe fare, come e quando. Tale parte in Ultimatum alla Terra è tutta affidata a Gort, l'essere vivente o meno che accompagna Klaatu, con il compito di curarlo e che reagisce a qualsiasi stimolo ma solo se provocato, altrimenti rimane immobile in una terrificante fissità.
"Non sapevamo bene che forma dare a Gort" rivela Derrickson "alcune delle forme a cui avevamo pensato erano bellissime, altre spaventose, ma nessuna aveva senso. C'era qualcosa nella semplicità del design originale che lo rendeva spaventoso". Ecco dunque le motivazioni della decisione di tornare alla forma umana ma con pesanti interventi al computer per allontanarsi dalla ormai grottesca versione degli anni '50.
Il Gort moderno è un gigante la cui superficie costituisce l'elemento più peculiare. Progettata, ideata e disegnata per sembrare impenetrabile riflette le luci che (digitalmente) gli sono proiettate sopra in una maniera particolarmente drammatica. Più che dargli una forma diversa e spaventosa, l'idea è stata di farlo sembrare fatto di materiali mai visti.
I movimenti al contrario dovevano essere nella mente del regista il più umani possibile. Per questo alla WETA si sono aiutati con il motion capture. Un attore, dotato di pesi alle braccia e alle gambe per agevolare un movimento "alieno", ha interpretato i movimenti poi attribuiti alla creatura di sintesi realizzata al computer. Gort così non sembra in tutto e per tutto una creatura di sintesi o un automa ma semmai un essere forse davvero vivente, dotato di movimenti fluidi e dunque seriamente imprevedibile.

Sfere di 300 chili e 3 metri di diametro
Problemi ben più materiali e logistici sono stati invece posti dalle molte sfere presenti sulla Terra che l'arrivo della sfera madre richiama in vita. A differenza di quella principale infatti le sfere più piccole erano di una dimensione "gestibile" e quindi sono state effettivamente costruite.
Nella realtà misuravano circa tre metri di diametro e produrle era un'impresa tale che il coordinatore degli effetti speciali Tony Lazarowich ha pensato di rivolgersi alla Custom Plastics, una società che fa le sfere per i parchi tematici della Disney, la quale le ha fabbricate in due parti, cioè divise a metà, per favorirne il trasporto: "Pesavano più di 300 chili" ricorda Lazarowich "la prima che ci è arrivata l'abbiamo rotta subito nel tentativo di spostarla".
Ovviamente quello che serviva era semplicemente un oggetto che facesse da punto di riferimento, tutta la superficie della sfera compresi gli effetti di luce sono stati materia per la postproduzione che ha creato la "texture", ovvero la trama che percorre di continuo la sfera, un misto di colori ispirato allo spostarsi di masse gassose che si vede dal telescopio avvenire su molti pianeti.
Però l'importanza che queste sfere esistessero sul set, cioè che fossero oggetti filmabili è ad un certo punto evidente, poichè si muovono, spostano oggetti reali e interagiscono con gli attori.

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