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Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo: incontri ravvicinati del quarto Indy

Tra voli aerei e discese sotterranee torna Indiana Jones, l'eroe "perduto" e ritrovato di Steven Spielberg.
di Marzia Gandolfi

Uno, due, tre

mercoledì 21 maggio 2008 - Approfondimenti

Uno, due, tre
Serve un 'ripassone visivo' se si vuole godere pienamente del "quarto Indy" di Steven Spielberg, perché quello che prende corpo sullo schermo è un modello di "archeologia visiva" che può essere archiviato come mera collezione di pezzi da museo dell'immaginario o che potrebbe anche essere visto come un'interrogazione dei segni del passato in grado di illuminare il presente. Ma facciamo un passo indietro, anzi tre. Frutto della collaborazione di George Lucas e Steven Spielberg, Indiana Jones è un professore avventuriero con la vocazione della ricerca e dell'avventura intellettuale e conoscitiva. La doppia natura di uomo di studio e di azione è dichiarata anche dal nome, Indiana Jones all'anagrafe è Henry Jones Jr., discendente, figlio ed epigono dell'originale Professor Jones di Sean Connery. Costretto da qualche accidente o da una nuova "fatica" a sfuggire alla vita normale, Indiana Jones lascia la cattedra per tuffarsi (o ri-tuffarsi) nell'avventura, alla ricerca perenne delle origini stesse del mondo.

Il tempo del mito
I tre episodi non sono progressivi sul piano temporale (I predatori dell'arca perduta è ambientato nel 1936, Indiana Jones e il tempio maledetto nel 1935, Indiana Jones e l'ultima crociata parte nel 1912 e salta poi al 1938), perché il tempo è quello del mito e non quello storico-lineare. La trilogia di Spielberg ha una struttura ciclica che in diversi contesti storico-geografici ripropone costantemente lo stesso modello e lo stesso sostanziale schema di fondo: l'eroe impegnato in un'azione di recupero, la ricerca di un oggetto magico e agognato (l'arca, le pietre di Shankara, il sacro Graal, il teschio di cristallo), l'inseguimento e la fuga, l'alternanza tra perdita e ritrovamento. È pur vero che nei tre episodi sono ravvisabili innegabili sfumature e variazioni sul tema, a partire dalle donne che accompagnano Indiana nell'impresa: dall'esuberante Marion dell'Arca perduta alla doppiogiochista Elsa dell'ultima crociata, passando per la timorosa e strepitante Willie del Tempio maledetto. Un'altra differenza riguarda gli incipit dei tre film: il primo presenta l'eroe-archeologo impegnato in un'azione che non ha alcuna relazione coi fatti che seguiranno, nel secondo costituisce il punto di innesco della reazione a catena su cui è costruita l'intera avventura, il terzo rende ragione delle origini del mito Indiana Jones, presentando il giovane Indy, spiegando la sua paura dei serpenti, motivando la cicatrice sul mento, l'uso della frusta e lo Stetson (l'inconfondibile cappello).

E quattro
Con Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo Steven Spielberg riporta alla luce il suo gioiello più prezioso in un'operazione dichiaratamente metacinematografica: si sta facendo del cinema, si sta entrando nel cinema. A cominciare dallo "slittamento-trasfigurazione" del logo Paramount in un elemento interno alla narrazione: una montagna 'rocciosa' (nel primo e nel terzo), una vetta sul gong (nel secondo), una montagnola di terriccio costruita da una talpa (nel quarto). Ancora una volta l'archeologo avventuroso di Harrison Ford entra di spalle nello spazio finzionale conducendo con sé gli spettatori, i neofiti come i fedelissimi, per portare a buon fine una difficile impresa. Dopo vent'anni è lo Statson la prima cosa che vediamo dell'eroe spielberghiano, oggetto metonimico (il cappello per il personaggio) e "conservativo" (vero e proprio reperto da museo del cinema) che ci introduce nuovamente nel clima della trilogia. Nel quarto episodio della saga Jones c'è tutta la memoria cinematografica di Spielberg, c'è tutto il cinema di Spielberg, c'è tutto il cinema. Contro i giudizi mai unanimi della critica, che si affretta a certificare crescite o a deprecare regressioni, il regista americano vuole "conservare". Recuperando i codici linguistici dei generi cinematografici e il repertorio di situazioni, topoi e clichè dei romanzi d'avventura, Spielberg celebra un universo autoreferenziale dominato dalla macchina da presa.

L'archeologo e l'alieno
Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo si apre come Duel, una macchina percorre una strada e si immette in un paesaggio desertico, tipico del grande West americano, prosegue come un classico James Bond, siamo nel 1957, in piena Guerra Fredda e i cattivi da combattere questa volta sono i comunisti, mantiene la vocazione pionieristica dell'America originaria e si conclude con un incontro ravvicinato del terzo tipo. Se il primo episodio ha stabilito il personaggio e il suo ambito d'azione scoperchiando l'arca e punendo i malvagi (modello ebraico), il secondo ha sacrificato l'uomo alla divinità in un puro eccesso pagano e il terzo ha tentato l'avvicinamento alle origini, l'incontro col "padre" e la disponibilità del dio a immolarsi per l'uomo (modello cristiano), col quarto Spielberg punta al meraviglioso e incontra l'alieno. Trasgredendo l'ordinarietà, il regista bambino mette in scena un altro extraterrestre "perduto" e l'unico archeologo in grado di ri-trovarlo. Nel quarto episodio della saga si incontrano due alterità che vogliono tornare a casa e per farlo hanno bisogno di ritrovare una comunicazione e una comunità: per Indiana saranno Marion e il figlio Mutt, per l'alieno i suoi dodici compagni o "apostoli". Dal loro contatto rifiorirà la vita, la minaccia comunista arderà di sapere fino a esploderne e l'arrivo impetuoso dell'acqua e l'emersione dal pozzo (come già dal tombino dell'Ultima crociata) alluderanno alla rinascita dell'eroe e all'eterno ritorno del personaggio mitico. Non è ancora tempo di appendere al chiodo il cappello. È tempo del piacere, quello del racconto, delle immagini in movimento e delle ombre. È tempo di incontri ravvicinati e di mondi perduti ai confini della realtà, di squali da abbattere e di alieni da salvare. È tempo di favole. Always.

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