Queens anni '80. Un giovane ragazzo vuole diventare un artista suscitando molte perplessità tra i famigliari. Espandi ▽
Si è perso nella giungla, James Gray, e poi si è spinto oltre la luna. Ma la meta ultima è sempre il ritorno a casa, al passato, al Queens e alla famiglia. Stavolta Gray aggiunge specificità autobiografica a un film-confessione su un adolescente che non si rende conto del proprio privilegio. Quello di Paul (catturato alla perfezione dalla cocciutaggine leggera del giovane Banks Repeta) sembra a volte un istinto autodistruttivo, un rifiuto perenne della propria realtà. È una caratteristica che rende
Armageddon Time un’opera respingente, che non invita lo sguardo partecipe dello spettatore, come in Licorice pizza di Anderson, e rompe i codici del “coming of age” tradizionale. Gray costringe a osservare un’America in cui il razzismo serpeggia anche nel salotto di una famiglia liberal spaventata da Reagan, e costringe ad ascoltare i genitori di Trump parlare agli allievi di una scuola privata dell’importanza del successo come definizione di sé. Più eterogeneo e granulare rispetto ai primi film del regista, rievoca gli anni ottanta come un momento critico di passaggio per la società a stelle e strisce.