QUANDO IL POP NON E’ IL TOP
Se la scommessa di Paolo Sorrentino con questa sua ultima opera, l’americana THIS MUST BE THE PLACE, fosse stata quella di fare un film che nonostante la trama forte e l’attore-divo importante, non ne sia alla mercè, la scommessa sarebbe senz’altro vinta. Eppure il protagonista è uno Sean Penn che ci ha abituato a magistrali interpretazioni di personaggi al di sopra o al di sotto delle righe, rocker in pensione che se pure poco individuo e molto oggetto di consumo al pari della merce che acquista nel bellissimo centro commerciale che sta al rigore severo di Dublino come la popstar Cheyenne alla propria anima e storia, riesce nel corso della narrazione sempre a meravigliarci e spesso ad intenerirci.
Certo questa specie di trolleyman non è mai ovvio come la piscina di casa che è meglio vuota per giocarci a pelota o come il rapporto con la moglie alla quale deve una granitica fedeltà, lei fa il pompiere ma non ha spento il fuoco del loro amore che dura da ben 35 anni, cosa ben rara e poco ovvia per uno che precisa “… è stata Mick Jagger a volere suonare con me…”
Anche la storia è importante: la ricerca del carceriere nazista del padre, l’unico atto della sua vita in cui esperire il coraggio…, c’è l’Irlanda e l’America da New York fino alle nevi dell’Utah, c’è l’ossessione per il tempo che è protagonista di tutto il film come testimonia la radiosveglia accesa e funzionante inquadrata accanto alla salma del padre.
C’è suspence e curiosità, insomma non c’è dubbio che di ciccia ce ne sia tanta e di qualità ma, nonostante ciò, la narrazione risulta il pretesto per questo film-miniera per assemblare immagini del cuore, puro godimento e grande fotografia, la voglia personale di filmare i progetti acustici di David Byrne o una donna, personaggio esistente per indossare un abito rosso nel verde irlandese con il risultatato cromatico che rammenta tanto la caccia alla volpe.
Tutto questo e molto altro che ad ogni sequenza ci dà la meraviglia del “non ovvio non accademico” è la grandezza di questo tipo di cinema che rimanda all’opulenza immaginifica di Fellini e chi teme l’effetto già visto inevitabile per i film di cui tanto si parla, pure il titolo è usato viene dai Talkin Heads, sappia che questo è un film 10elode, ha lo stesso linguaggio del sogno e come questo offre simboli da decodificare e perciò lo stupore è garantito.
ANTONELLA SENSI
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