SU “ HEREAFTER”: LA GIOIA DI “TOGLIERSI I GUANTI”
Succede a volte che il procedere degli anni, accumulare passato alle spalle, esperienza e vita, non produca inesorabilmente vecchiaia che è generalmente antitetica alla facilità, semplicità, mi viene da dire bonarietà, caratteristiche con le quali è stato portato a compimento “ HEREAFTER”.
Ci fa di certo piacere che portatore di tali rare prerogative sia quel gran figo di Clint Eastwood della cui memorabile fisicità piuttosto che della sua anima siano, nonostante le ormai infinite prove di essa, segnati, al fine di superare il pregiudizio, purtroppo ancora in vigore, per cui una grande anima difficilmente sia ad appannaggio di chi abbia un fisico un tempo bellissimo.
Invece anche questa volta, soprattutto questa volta, Eastwood nonostante l’età incipiente e il tema guida del film riesce a trattare il tutto con facilità, semplicità, bonarietà, prova non ovvia trattandosi di un racconto sulla morte che appellandosi alle suddette qualità narrative si propone come l’esempio più felice mai raccontato con il cinema. Niente turba un equilibrio e un ritmo che è evidente fino dalle prime scene di cui quella iniziale dello tzunami indonesiano molto spettacolare e terrorizzante ma nonostante il suo evidente peso in armonia con il resto. Resto che è la quiete dopo la tempesta, quiete nella quale niente sarà più come prima del passaggio della tempesta ma…meglio…Questo film ci dice di avere fiducia nei confronti di ciò che ci sarà dopo, anche dopo la morte confidando nelle grandi prerogative spesso nascoste e inutilizzate degli uomini. Prerogative ben espresse in George uno dei tre protagonisti del film, dickensiano di ferro, poi c’è Marie, giornalista francese di successo miracolosamente sfuggita alla morte e Marcus, fragile gemello dodicenne sdoppiato causa morte del gemello Jason. George è un sensitivo che non vive serenamente queste sue qualità specifiche e spesso ob torto collo aiuta gli altri ad entrare in contatto con le anime dei loro morti, difficile da credere! Meno invece lo è attribuirgli capacità che gli permettano di entrare in contatto con ciò che i vivi interpellanti, sottociutamente e attribuendolo al loro caro scomparso, vogliono e sperano. E’ il caso di Marcus che dopo una seduta con George, tanto ricercata, se ne torna a casa doppio, cioè intero, quindi più forte e più felice. Sarà di sicuro più felice George che attraverso l’incontro e forse l’amore con Marie che nel frattempo avrà utilizzato la sua esperienza per dare una svolta virtuosa ala sua vita, prova la gioia di “togliersi i guanti” tocca sente ed esprime liberamente la propria natura ed è questa, secondo me, indipendentemente dal tema utilizzato, la vocazione di questo film e la sua più giusta chiave di lettura. Quindi la trattazione dell’argomento del dopo morte è un treno come un altro per arrivare ad affermare quanto sia un sacrilegio inperdonabile rinunciare all’espressione totale e più alta di noi stessi, che va sempre perseguito, senza limiti di età, come fa Clint che ad ogni film sempre più ci meraviglia e soddisfa cresce ed esprime se stesso sempre più come in questa sua ultima opera in cui supera degnamente un cimento così difficile senza scadere né nel bizzarro né nel sentimentale. Lo fa consegnandoci l’ennesimo capolavoro che scivola lieve davanti ai nostri occhi grazie ad una regia magistrale che filma le 3 città Londra, Parigi, San Francisco, con quel tocco magico con cui dirige la recitazione dei protagonisti e non, tutti bravissimi nel rendere credibile e potente una sceneggiatura di alto rango.
ANTONELLA SENSI
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