Tra le nuvole |
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Un film di Jason Reitman.
Con George Clooney, Vera Farmiga, Anna Kendrick, Jason Bateman, Danny McBride.
continua»
Titolo originale Up in The Air.
Commedia,
durata 109 min.
- USA 2009.
- Universal Pictures
uscita venerdì 22 gennaio 2010.
MYMONETRO
Tra le nuvole
valutazione media:
3,31
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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NON BASTA STARE FRA LE NUVOLE PER SENTIRSI BEATOdi aesseFeedback: 2181 | altri commenti e recensioni di aesse |
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domenica 31 gennaio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Se si dà per buona l’idea che i meccanismi del cinema attingano a quelli del sogno saremo d’accordo nel dirsi certi che la trama di un film ha lo stesso scopo dei simboli onirici che, decodificati, portano in emersione messaggi più profondi. Così ancora una volta anche in “ Tra le nuvole” sotto al racconto della vita di un “tagliateste”, cioè di un licenziatore di professione, delle sue vittime e dell’America di questo nuovo epocale crac finanziario-economico c’è un’insopportabile solitudine esistenziale che se anche connaturata alla nostra esistenza, è così insopportabile da essere il tabù per antonomasia della nostra società. L’impatto con questa sottaciuta realtà è così forte fino dai primi minuti del film, che scorre con la leggerezza consueta alla commedia americana, tanto che un compito così ingrato come quello del “tagliateste” non è affidato, come vorrebbe una stereotipata morale, ad un tizio morfologicamente “rassicurante” per la sua oscura diversità, ma alla bellezza beffarda di Clooney erede della maschera che fu di Cary Grant che si prestava, prima di lui, a ruoli che in egual modo ne rimarcavano l’impenetrabilità. Anche se subito viene data come realtà acquisita che l’entità dello stress a cui un licenziamento sottopone sia comparabile a quella di un lutto in famiglia, quel che piuttosto colpisce come un pugno allo stomaco è appunto l’inconsapevole solitudine esistenziale che non denunciata, anzi, emerge dalle reazioni delle vittime del licenziamento che più che alla perdita di un lavoro fonte di sostentamento, promozione sociale, inalieabile diritto, sembrano assistere impotenti alla perdita di sè. Di un sé che forse non è mai stato percepito come transitoria e mutevole realtà fra il cambiamento che distaccandoci dal Tutto o dal nulla, come preferite, ci origina, e quello che concludendo l’avventura ci riconduce al punto di partenza. Un sé che origina ed ha il suo senso nel cambiamento, proprio quello che è paventato sopra ogni altra cosa e che con frequenti camuffamenti si cerca di esorcizzare, inconsapevoli del fatto che si tratta di miseri trucchi che non possono estinguere la verità più profonda dell’esperienza esistenziale. Allora può succede come in quella gradevole pubblicità televisiva che in questi giorni imperversa, quella dell’Ikea, dove 2 uomini ( il detenuto e il guardiano) dalle espressioni stralunate e le improbabili fattezze da personaggi dei Coen, infiocchettando una cella con tessuti floreali, tentano di dirci che basta poco per trasformare la realtà… “ basta poco per cambiare”… In questa illusione succede come al protagonista del film che investe tutte le energie nel perseguimento di artificiali traguardi ( accumulo sconsiderato di miglia!), muovendosi in una realtà così fittizia ed effimera tale da condurre una donna madre di famiglia a dirsi “ come te altroché con la vagina” a cercare di conoscere quell’uomo con il quale per prima cosa ha fatto sesso “googleando…” In questo sistema alterato allora è facile incorrere nell’equivoco di vivere per lavorare anziché lavorare per vivere, giusta modalità per definire quell’inalienabile diritto che in una coniugazione virtuosa con quello ancora più intoccabile alla libertà si può auspicare esprima la nostra esclusiva natura realizzando l’aspettativa e quindi il senso della nostra esistenza. ANTONELLA SENSI
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