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Rassegna stampa di Maria Schell

Maria Schell (Margarete Schell) è un'attrice austriaca, è nata il 5 gennaio 1926 a Vienna (Austria) ed è morta il 26 aprile 2005 all'età di 79 anni a Preitenegg (Austria).

ROBERTO SILVESTRI
Il Manifesto

In un vecchio film hollywoodiano qualcuno dice che «a ogni rintocco di campane a un angelo spuntano le ali». Quella battuta oggi fa venire in mente Maria Schell, un'attrice bionda e falso tonda che era un po' la Kidman degli anni '50.Credo infatti che nessuna attrice più di Maria Schell (morta ieri a 79 anni, dopo una lunga carriera di successo nel cinema inglese, tedesco, francese, italiano e americano) riuscisse a rendere lo sguardo, la fisionomia, la leggiadria danzante, la consistenza «metafisica» e l'impenetrabilità caratteriale di un angelo. Di chi si oppone, cioé, al male e non in base a imperativi «categorici», o al buon senso (che, come scriveva Trotsky, sono «forme prive di contenuto»), ma al progetto antagonistico (che è di classe e non di classe borghese) che punta, più o meno, alla «felicità più grande possibile per il maggior numero possibile di persone». Insomma di chi mette in scena, con sicura scienza e grande arte, tutte le potenzialità sovrumane di un fisico caduco, che lei riusciva a rendere fragilissimo (e, al confronto, Emily Watson sembra Richard Boone), portandolo sull'orlo della cecità, della pazzia, della disperazione d'amore, dell'umiliata e offesa che non ha bisogno di maledire il «patriarcato», perché il mostro è in via di estinzione. Perciò i suoi film si vedono poco, e non perchè sarebbero demodé, intrisi come sono di realismo sociale (Alexandre Astruc, nel sontuoso Una vita, da Maupassant, smorza, con lei, ogni provocazione anti-nouvelle vague), ma inquietano davvero. E il fratello-attore-regista Maximilian Schell lo racconta nella agiografia del 2002, Meine Schwester Maria, Mia sorella Maria, radiografando una carriera magnifica, dal viscontiano Le notti bianche ai western Cimarron e L'albero degli impiccati , dai tanti lavori televisivi (è anche la mamma di Albert Speer, in Dentro il Terzo Reich), perché il suo ritiro dal cinema nel `63 ammette eccezioni (Superman) e il suo esordio a 16 anni è nell'Inghilterra di Boulting, visto che la sua famiglia scappò da Vienna e da Hitler nel `38. Il buon senso di oggi direbbe che fu schiava dell'ideologia, visto che del fascismo (che racchiude in sé tutti i mali della nostra epoca) lei è l'antitesi pura. Il primo film importante di Margarete Shell, figlia dello scrittore Ferdinand Hermann Schell e dell'attrice Margarethe Noesi, si intitola, e non è un caso, La casa dell'angelo e è di Karl Hartl, ma è con il film pacifista L'ultimo ponte, di Helmut Kautner, che nel '54 vince la palma d'oro nel ruolo di un medico tedesco che si trasforma in essere umano grazie alla cura riabilitativa dei partigiani titini. Lo consigliamo per una serata tv sulle foibe. La coppa Volpi la vince dopo, grazie a Réné Clément e alla sua lavandaia zoliana di Montmartre (Gervaise). Lvoreranno sulla sua irriducibile fragilità il Robert Siodmak, Richard Brooks (I fratelli Karamazov), Delmer Daves, Anthony Mann, Guy Green (sulla pedofilia), Pierre Chenal, Philippe De Broca...

GIANNI RONDOLINO

Nel 2002 suo fratello Maximilian, attore e regista, le aveva dedicato «Meine schwester Maria» (Mia sorella Maria), che la stessa Schell aveva definito «un meraviglioso monumento». Da molto tempo non recitava più, dimenticata da tutti. E dire che negli anni ‘50 era stata un’attrice che aveva avuto un grande successo di pubblico e di critica, soprattutto dopo aver interpretato nel 1954 il personaggio di una dottoressa tedesca, fatta prigioniera dai partigiani jugoslavi durante la seconda guerra mondiale, nel bel film di Helmut Kautner «L’ultimo ponte», che le valse il premio per la migliore attrice al festival di Cannes. Una recitazione, la sua, intensa e delicata, tutta costruita su piccoli gesti e sguardi attoniti, molto interiore, quasi sofferta. Come si vide anche in «Gervaise» di René Clément, basato sul romanzo di Zola, dove il suo personaggio di lavandaia oppressa nella Parigi di metà Ottocento fu premiato nel 1956 alla Mostra di Venezia. E poi, l’anno dopo, la delicata interpretazione di Natalia nelle «Notti bianche», che Luchino Visconti aveva tratto da Dostojewski. Quasi un trittico di donne fragili, e tuttavia coraggiose, che la Schell seppe tratteggiare con grande stile, con una intensità rara. D’altronde era giunta al successo dopo una lunga carriera cinematografica ed anche teatrale, iniziata a sedici anni nel 1942 con un film girato in Svizzera. Figlia del poeta e commediografo Ferdinand Hermann Schell e dell’attrice Margarethe Noe, Maria era nata a Vienna nel 1926. Ma nel 1938 la famiglia dovette emigrare a causa del regime nazista. Dopo la fine della guerra prima in Inghilterra, poi in Germania, la Schell apparve in alcuni film senza raggiungere quel successo internazionale che le diedero «L’ultimo ponte» e gli altri film citati. Fu tuttavia, la sua, una stagione breve, che si concluse difatto nei primi anni ‘60. Interpretò, fra l’altro, «Una vita» (1958) di Alexandre Astruc, da Maupassant, «I Fratelli Karamazov» (1958) di Richard Brooks, da Dostojewski, e un paio di western, «L’albero degli impiccati» (1958) di Delmer Daves e «Cimarron» (1961) di Anthony Mann. Ma non era più la stessa attrice. Come non lo sarà più in altri film in cui tratteggiò personaggi di secondo piano, marginali, inconsistenti, spesso scialbi. Nel 1982, nella miniserie televisiva «Dentro il Terzo Reich», interpretò il personaggio della madre di Albert Speer.

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