Ne La sconosciuta di Giuseppe Tornatore (grandi incassi italiani, premi, entusiasmi) l’attrazione maggiore è la protagonista Ksenia Rappoport, che interpreta una ragazza russa in Italia da anni, col ricordo incancellabile d’un periodo in cui è stata costretta alla prostituzione da un uomo violento (è Michele Placido, che con la testa rasata sul nudo corpo massiccio mette paura), obbligata a subire clienti italiani maneschi, sadici, torturatori, pazzi per la promiscuità, forzata a nove gravidanze per rifornire il mercato dei bambini.
Ksenia Rappoport, per fortuna, ha avuto un’esistenza meno orribile, più comune: è una russa di San Pietroburgo, ha trent’anni, ha una figlia, vive con i genitori (il nonno era archeologo, la nonna restauratrice all’Ermitage). Non desiderava affatto diventare attrice: studiava francese, voleva studiare e insegnare filologia, amava lo sport e la ginnastica. Come attrice viene dal teatro: soprattutto Cechov e Shakespeare: educata a recitare con il metodo Stanislavskij che prescrive fra l’altro l’identificazione dell’attore con il personaggio, ha dovuto dimenticarlo interpretando certe fiction televisive russe e anche La sconosciuta: «Ho capito il destino di certe ragazze dell’Est in Italia solo facendo il film. Non volevo identificarmi con il personaggio, mi si sarebbe spezzato il cuore». Ksenia Rappoport si è trovata spesso di fronte a un problema spinoso: «La mia faccia “storica”, non contemporanea. Lavorando in tv ho dovuto truccarmi molto, mettere parrucche di taglio attuale». L’attrice russa è bellissima: occhi grandi, una forma perfetta del contorno del viso, bella bocca, la pelle d’un candore luminoso. Ma questo pone la questione della bellezza: esiste una bellezza «antica», classica, non sexy né maliziosa, che oggi non piace, non attrae, non funziona? Esiste una bellezza che non simboleggi l’offerta di sé al migliore offerente, e che non possa quindi essere usata nello spettacolo? Esiste una bellezza non omologata al tipo femminile alla moda, e per questo scartabile? Ksenia Rappoport è la prova vivente che esiste, certo: ed è la più ammirevole e desiderabile per la sua rarità, nobiltà, schiettezza, mancanza.
Da Lo Specchio, 9 dicembre 2006