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Rassegna stampa di Jean Vigo

Jean Vigo è un regista, sceneggiatore, è nato il 26 aprile 1905 a Parigi (Francia) ed è morto il 5 ottobre 1934 all'età di 29 anni a Parigi (Francia).

A CURA DELLA REDAZIONE
MYmovies.it

Crebbe infelice e malato, tra collegio e sanatorio. Stabilitosi al Sud per ragioni di salute, lavorò con l'operatore francese L.H. Burelguidò e creò a Nizza il cineclub d'avanguardia Les amis du Cinéma legandosi al movimento surrealista. Con il cortometraggio À propos de Nices (1930), "punto di vista documentato" con notevole sarcasmo sul turismo di lusso e gli ozi della borghesia, realizzato con B. Kaufman, iniziò una carriera folgorante ma creativamente molto breve (5 film in 4 anni) di genio del cinema. Dopo il cortometraggio didattico divenuto in realtà uno studio sugli effetti cinematografici e il ritmo narrativo Taris ou la Natation (1931), consegnò in due film a soggetto tutto il suo talento. Nel primo, Zéro de conduite (1933, proibito in Francia fino al 1946), sua esperienza d'infanzia, che ha come teatro il carcere in cui il padre, militante anarchico basco, si trovava in attesa del processo per tradimento, si trasfigurò sulle ali del grottesco, in un potente atto d'accusa all'autoritarismo borghese, congiunto a una vibrante e lirica esplosione libertaria. Il secondo, L'Atalante (1934), che fu più volte modificato, censurato e proibito per ben dodici anni, durante la sua agonia, nella colonna musicale (con l'inserimento di una canzoncina alla moda) e nel titolo che divenne Le chaland qui passe, che descrive la solitudine degli esseri e l'umanità dei diseredati e dei "diversi", lanciando un rivoluzionario messaggio d'amore (è la storia romantica e realista di una coppia che vede nascere l'amore su di una chiatta lungo i canali francesi) in maniera elegante, raffinata e intelligente.

PIERO DI DOMENICO
MYmovies.it

Discendente degli antichi vicari di Andorra, Jean Vigo nasce a Parigi nel 1905, da Eugène Bonaventure de Vigo e Emily Clero, in una misera mansarda. Il padre, fotografo, ma soprattutto militante anarchico, già da alcuni anni passa la maggior parte del tempo in prigione, ed è qui che assume lo pseudonimo di Miguel Almereyda, il cui significato è l'anagramma di una frase tra lo sberleffo e l'urlo di ribellione ("Y a la merde"). La sua infanzia è tumultuosa e disordinata, vissuta tra continui spostamenti e riunioni politiche. Quando il padre muore, in prigione, a causa della sua posizione contraria alla guerra, nel 1917, Jean è costretto ad andare a vivere con i nonni materni. Forse anche a causa della disperazione per la morte del padre, si ammala, e su consiglio di un medico viene inviato a respirare l'aria più salubre di Millau, ospite di un Collegio che si dovrà occupare anche della sua educazione. Jean viene iscritto sotto falso nome, per timore che venga riconosciuto come il figlio di un famoso militante anarchico. Ma il Collegio impone a Jean una disciplina incompatibile con la sua precedente educazione libertaria. La sofferenza che ne consegue sarà in seguito fonte d'ispirazione per il suo primo lungometraggio, Zero in condotta. Nel 1925 lascia il Collegio e inizia a frequentare il Liceo di Chartres, dove si diploma in Filosofia tre anni dopo. Si iscrive alla Sorbona, ma dentro di lui già è nata la passione per il cinema. E' la sua salute a fermarne momentaneamente lo slancio creativo, e a costringerlo a un ricovero nel sanatorio di Font-Romeu. Qui incontra la sua futura compagna, Lydu (Elisabeth Losinska), che sposerà il 24 Gennaio 1929 e dalla quale avrà una figlia (Luce).

ANDRé BAZIN

La publication, conjointement à la traduction de l'Eisenstein de Marie Seton, du Jean Vigo, de P.E. Salés Gomès est un événement doublement notable. Par la valeur du texte d'abord sans doute, mais aussi parce qu'elle témoigne de progrès dans l'édition cinématographique française. Il ne faut pas se cacher que l'impression d'un tel livre eût été impensable voici trois ou quatre ans. En dépit du nombre des livres publiés (avec fort peu de discernement du reste de la part des éditeurs), la France restait et reste très en retard sur la bibliographie de langue anglaise et italienne en fait d'ouvrages «sérieux» (sauf peut-être dans le domaine purement historique, grâce surtout à Georges Sadoul). Pour ne citer qu'un exemple, Film Form et Film Sensé attendent toujours d'être traduits et édités. Mais depuis deux ans surtout, les conditions ont beaucoup changé et la collection «Cinémathèque» des Éditions du Seuil en témoigne de la façon la plus significative.

EMILIANO MORREALE
Film TV

Nasceva cent’anni fa a Parigi uno dei più puri artisti che il cinema abbia donato, Jean Vigo, morto a soli 29 anni dopo averci lasciato non più di tre ore di cinema. La carriera di Vigo si svolge nella tumultuosa Francia del tentato colpo di stato fascista e del Fronte popolare. Figlio di un anarchico catalano dalla carriera ambigua negli anni della banda Bonnot (Louis de Vigo, noto con lo pseudonimo di Miguel Almereyda: ne dà un bel ritratto Victor Serge nelle Memorie di un rivoluzionario) morto misteriosamente in carcere quando Jean aveva dodici anni. E intriso di violenti umori anarchici era anche l’esordio di Vigo, una specie di documentario d’avanguardia su Nizza, A propos de Nice (1930), violento pamphlet contro la città balneare e la sua corrotta borghesia, cui seguì un documentario sul campione di tuffi Taris (in realtà una meditazione sul movimento, astratto e vitale insieme: Taris roi de l’eau ou la natation, 1931). Vennero poi, di fila, i due capolavori: Zéro de conduite (1932) su una rivolta di ragazzini in un collegio, e L’Atalante (1934), poema d’amore con contorno di un giovane e di un vecchio, come in una specie di filosofica, utopica rivisitazione della famiglia dell’uomo. Ai primordi del sonoro, alla fine della grande stagione delle avanguardie cinematografiche e prima della stagione del “realismo poetico“, Vigo attraversò il cinema francese con una potenza inaudita. La compresero subito censura e produttori: Zéro de conduite fu massacrato di tagli (la versione che circola da allora è di una cinquantina di minuti) e L’Atalante fu ostacolato e massacrato dai produttori (uscì anche col titolo La chaland qui passe, ovvero la versione francese di Parlami d’amore Mariù che si ascolta nel film) finché non è riapparsa, nel 1990, una versione restaurata. La potenza del cinema di Vigo è anche, nella sua lotta contro le convenzioni, il rifiuto primario di quella convenzione che è il realismo. I suoi due capolavori mostrano anzi quanto secondaria e falsa sia l’opposizione di realismo e fantastico al cinema, davanti alle potenzialità dirompenti del mezzo, che si nutre di realtà e vita e attraverso la sua materia riesce a essere, con la sua vicinanza al tempo, la più fantastica delle arti.

PIETRO BIANCHI

È caduto l’anno scorso, ricordato da pochi, il ventesimo anniversario della morte di Jean Vigo, il singolare regista di Zero in condotta e de L’Atalante. Vigo morì a soli 29 anni lasciando però un grande ricordo presso coloro che sono persuasi che il cinema non è soltanto un passatempo da dimenticare subito. In Zero in condotta Vigo ha evocato la vita di collegio; ne L’Atalante, che è anche conosciuto come Le chalande qui passe, dal titolo della canzone popolare che vi venne aggiunta come commento sonoro, è la storia di un malinconico amore sullo sfondo dei canali navigabili francesi.
Il mondo morale di Vigo è un mondo di rivolta contro la ipocrisia, il costume, i luoghi comuni di una società rappresentata come naturale sede di una stoltezza infinita. Per capire l’ispirazione e il mondo doloroso di Jean Vigo è bene ricordare che il regista era il figlio di quell’uomo politico che sotto il «nom de plume» di Miguel Almereyda aveva riempito le cronache dei giornali durante la prima guerra europea. E,c-anarchico, poi direttore del «Bonnet Rouge», Almereyda era finito in prigione sotto la terribile accusa di «intelligenza col nemico». Un giorno era stato trovato impiccato nella sua cella; né mai si poté sapere se si trattò di un autentico suicidio. Da giovane Miguel Almereyda era stato uno di quegli anarchici ingenui e malaticci che vivono nell’attesa di una improbabile palingenesi. Secondo la testimonianza di un eccellente memorialista, Francis Jourdain, Almereyda era allora un piccolo fotografo in rivolta contro la società, un adolescente felice di stare al mondo e furioso di non sapere con precisione chi avesse interesse a impedirgli di vivere e di esser felice. Più tardi Eugène Vigo, che diventerà famoso come Miguel Almereyda, aveva vissuto «more uxorio» con una rivoluzionaria, certa Emily, da cui doveva nascere Jean.

FRANçOIS TRUFFAUT

Ho avuto la fortuna di scoprire tutti i film di Jean Vigo in un’unica volta, un sabato pomeriggio del 1946, al Sèvres-Pathé grazie al cine-club La chambre noire animato da André Bazin e altri collaboratori di “La Revue du Cinéma”. Entrando in sala ignoravo persino il nome di Jean Vigo, ma fui preso immediatamente da un’ammirazione sterminata per quest’opera che tutta insieme non raggiunge nemmeno i duecento minuti di proiezione.
In principio ho avuto più simpatia per Zéro de conduite (1933), probabilmente per identificazione avendo solo tre o quattro anni più dei collegiali di Vigo. Poi, a forza di vedere e rivedere i due film, ho finito per preferire definitivamente L’Atalante (1934) che mi sarà per sempre impossibile dimenticare quando mi trovo a dover rispondere a questionari del tipo: “Quali sono, secondo lei, i dieci migliori film del mondo?”. In un certo senso, Zéro de conduite sembrerebbe rappresentare qualcosa di più raro di L’Atalante perché i capolavori consacrati all’infanzia nella letteratura o nel cinema si contano sulle dita di una mano. Questi ci sconvolgono doppiamente perché all’emozione estetica si aggiunge un’emozione biografica, personale e intima. Tutti i film di bambini sono film d’epoca perché ci riportano alle nostre braghette corte, alla scuola, alla lavagna, alle vacanze, al nostro esordio nella vita.

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