Franca Valeri (Franca Maria Norsa) è un'attrice italiana, regista, scrittrice, sceneggiatrice, è nata il 31 luglio 1920 a Milano (Italia) ed è morta il 9 agosto 2020 all'età di 100 anni a Roma (Italia).
Franca Norsa viene da famiglia d'industriali milanesi, il padre le chiese dì cambiar nome se proprio voleva diventare attrice, mestiere che lui naturalmente disapprovava. Se le chiedi com'è nata la sua vocazione teatrale, risponde: «Ho sempre desiderato di fare l'attrice, non ho mai pensato che avrei fatto altro. A sei anni mi portavano alla Scala e io ne ero incantata». Ma allora da bambina voleva fase la cantante! «No, no, m'incantava il palcoscenico. Mi ci vedevo sopra. La musica mi affascinava, ma non mi figuravo una carriera in quel campo. Era la parte teatrale che mi attirava. Tomavo a casa e disegnavo le scene che avevo visto».
Il padre l'avrebbe voluta pittrice, scrittrice («haltra mia grande passione, nove in italiano, lettere meravigliose alle amiche»), ma lei tenace, nessun dubbio, nessun «lasciatemi almeno provare e poi vedremo». Dopo il liceo, «da persona seria», decide di andare a studiare recitazione all'Accademia, a Roma. Amici la ospitano, al padre racconta una fandonia. Deve superare l'esame di ammissione: «Prima dell'esame si andava all'Accademia per scegliere un partner fra gli studenti, quello con cui si sarebbe poi recitata una breve scena davanti agli esaminatori.
Io ho letto qualche battuta, così, per fauni conoscere e tutti gli studenti presenti hanno detto: "Ma questa è bravissima..." e Buazzelli s'è fatto sotto: "Ti aiuto io"». Tino Buazzelli? «Certo, era lì per studiare anche lui. E c'erano Manfredi, Rossella Falle, tutti che tifavano per me. Invece mi hanno bocciata».
Rancore per li bocciatura, zero. «A capo della commissione c'era Silvio D'Amïco. Più tardi, quando esordii con I Gobbi, fece una magnifica recensione dello spettacolo. Gli dissero: questa è quella che hai bocciato, ci rimase male. Ma lo capisco, è difficile giudicare un giovane. E poi magari sei stanco, o è stanco il giovane. 0 lo trovi presuntuoso, io e Buazzelli avevamo scelto un testo un po' "eccessivo", da Les Mouches di Sartre, forse è stato quello... ». Un brutto colpo, comunque. Le è venuto qualche dubbio? La tentazione di lasciar perdere? «Macché. Anzi, le dirò, la bocciatura è stata una fortuna - io sono sempre stata fortunata. Promossa, sarei rimasta bloccata in Accademia. Bocciata, sono tornata a Milano e ho cominciato subito».
Prima del teatro, dove esordi diretta da Alessandro Fersen in Lea Lebowitz; prima del cabaret, dove insieme a Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci formò il trio satirico dei Gobbi, lanciato in Italia, osannato in Francia; prima del cinema (hanno appena restaurato Il segno di Venere di Dino Risi, con un cast da brivido: lei, la Loren, De Sïca, Sordi, De Filippo...), della televisione («Ma la tv-vahum di adesso non fa per me») e di ogni altra metamorfosi spettacolare, Franca Valeri deve la fama alla radio. Nasce alla radio, nella trasmissione Il rosso e il nero, il personaggio della signorina Snob, un personaggio tanto clamorosamente di successo da diventare per anni sinonimo della sua interprete. Franca Valeri «è» la signorina Snob, e con la signorina Snob diventa «un'attrice comica sul piano dei maschi», ovvero protagonista di comicità, inventore di comicità, non spalla, com'era stato fino allora delle donne. «Io ho instaurato un tipo di comicità ironico, un po' raffinato, che molti mi facevano la cortesia di paragonare a uno spirito talvolta inglese talvolta francese», ricorda divertita. «Anche se un critico scrisse: "Petrolini in gonnella!", e mi fece piacere, perché Petrolini era un grande. Però io ero originale».
Anche se ha recitato testi altrui, l'originalità dell'attrice «serve» quasi sempre l’originalità dell’autrice: dai monologhi Franca Valeri passerà alle commedie e ritomo in un flusso ininterrotto «che ha sempre portato in scena una verità del sociale, dell'umano», dice con pudore eccessivo, tralasciando gli avverbi: brillantemente, acutamente, finemente, irresistibilmente, chirurgicamente, spietatamente, infallibilmente. «Mi sono occupata molto di donne. C'è stato un momento che hanno anche protestato, perché le prendevo troppo in giro. Sentite, ho detto, se siete in grado di ridere di voi stesse, siete a posto». Una raccolta delle sue prose teatrali, Tragedie da ridere, è appena uscita presso la Tartaruga. «Il vero scrittore, diceva Colette, non scrive il passato ma il futuro e Franca Valeri è una conferma. Nel suo teatro dal Cinquanta al Duemila si scopre come quell'Italia proterva e impreparata che ci sta alle spalle minaccï decisamente di diventare l'Italia che ci sta davanti», nota Patrizia Zappa Mulas nella prefazione.
Mentre la intervisto, siamo nella hall di un albergo a Milano, si materializza accanto alla poltrona di Franca Valeri una figura allampanata e un po' curva, saluta piegandosi quasi a metà: «È sempre un piacere incontrarla!». Exit l'individuo allampanato, che è Piero Fassino, le braccia piene di voluminose cartelle. Franca Valeri lo segue con lo sguardo. «Una persona di valore», commenta quasi fra sé. «Vede», mi spiega, «con tutte le incertezze, mi sentivo più tranquilla con questi. Altre persone. Altra dignità».
Da Lo Specchio, Marzo 2008
È instancabile in teatro: dopo La vedova Socrate, scritto da lei, e Il giocatore di goldoni, sta andando in scena con Anna Maria Guarnieri nelle Serve di Gent. Assente, invece, dal cinema da diversi anni, con l’eccezione di Tosca e le altre due, tratto da una sua pièce e interpretato con Adriana Asti. Franca Valeri (nata Norsa, il cognome d’arte è ispirato al poeta Paul Valéry) non accenna a rallentare una carriera tra le più eclettiche. Milanese di nascita e romana d’adozione, colta e borghese d’origine, snob di natura; ma di quello snobismo “sano” che non ha niente a che vedere con l’esibizione della ricchezza o con l’esibizione in sé e per sé, quella che induce alle vanterie e alla volgarità. Snob all’inglese, caustica, acuminata, poco appariscente ma anticonformista, dotata di una dose enorme di (auto)ironia e di uno sguardo lucidissimo sul mondo. È questo che le ha permesso di passare al tritacarne del suo umorismo vezzi, debolezze, solitudini, incomprensioni, vanità, tristezze, banalità, follie, tragedie dell’universo femminile (e non solo) dell’ultimo mezzo secolo. Franca Valeri ha precorso i tempi, fin dall’inizio degli anni ‘50 unica attrice comica nazionale (insieme a Bice Valori) non destinata al ruolo di spalla, una signora che è sempre stata anche “autrice” dei suoi testi, in teatro, alla radio, in televisione, al cinema. Esplosa nel 1949 alla radio con una delle sue “maschere” più celebri, la Signorina Snob, e subito dopo sulla scena con il Teatro dei Gobbi (Vittorio Caprioli, Alberto Bonucci, Luciano Salce e lei), debutta nel cinema nel ‘50 con Lattuada-Fellini in Luci del varietà, dove fa la parte di una coreografa ungherese ispirata a una sua imitazione di Gisa Gert, seguita a ruota nel ‘52 da Totò a colori, dove la signorina Snob si “invaghisce” di Buffetto Montmartre des Champs-Elysées, geniale parodia dell’artista modernista inventata dal maestro Scannagatti-Totò. La commedia degli anni ‘50 è più “garibaldina”, meno accurata e studiata di quella del decennio successivo, ma anche meno codificata, più cattiva e libera. Nascono parodie e caratteri al vetriolo, quelli di Alberto Sordi per e quelli di Franca Valeri, che in quegli anni fece spesso coppia con lui e che riusciva a essere sgradevole quanto lui, e più sbrigativa, franca e consapevole. Consapevolezza di casta, probabilmente, e di “genere” certamente: di ragazza non particolarmente attraente ma molto intelligente (come la Cesira di Il segno di Venere), di moglie molto cornificata ma anche molto ricca (Il vedovo), di capufficio o corteggiatissima figlia del capufficio (Un eroe dei nostri tempi e Il moralista). Insieme, possono essere astratti e agghiaccianti (come Lady Eva e Rodolfo Vanzino in Piccola posta) o perfidamente, orrendamente umani (come la coppia del Vedovo), una deformazione grottesca dei rituali di un rapporto tra i sessi giocato, sempre, sulla prevaricazione e l’inganno e, spesso, sull’indifferenza, lo sfruttamento, il reciproco disprezzo. Entrambi misantropi, talvolta la Valeri è stata rimproverata di essere anche misogina. Certo i suoi ritratti femminili (che proliferarono in televisione soprattutto negli anni ‘60 e ‘70, in primissime serate con Mina, Morandi, Rita Pavone) non sono mai stati bonari, si trattasse di ultrasnob riccone antiquarie o nullafacenti o di piccolissime borghesi come la mitica signora Cecioni, di arricchite parruccone e tutte stile Chippendale o di contestatrici imparruccate e nude sotto i capelli come Lady Godiva. Ma sotto le ferite inferte al genere femminile e alle sue debolezze corre una straordinaria comprensione umana: mai consolanti e quasi mai simpatiche, le sue donne camminano sole, scortate da una sconcertata dignità sotterranea, dalla resistenza all’umiliazione, dalla consapevolezza condiscendente delle favole e degli inganni che raccontano a se stesse. Caratteristiche che emergono in alcuni splendidi, acuminati monologhi di donne sole e nei personaggi che le cucì addosso Vittorio Caprioli in due film non comici: Delia, la prostituta in cerca di una nuova vita in Parigi o cara, e Giulia, la milanese in meno ai napoletanissimi Leoni al sole. Tutte e due fuori luogo (Parigi o Positano), fuori posto in un universo maschile che non sa collocarle, fuori molo in un mondo dominato da immagini conformiste. Tutte e due non pre-femministe, ma decise a difendere la loro solitaria, unica dignità femminile.
Da Film Tv, 17 gennaio 2006
Franca Vateri. La curiosità, a volte, è provocata dalla nostalgia. Dov'è finita la Franca? La "Signorina Snob", La "Signorina Cesira"? Ricordiamo con Ennio Flaiano, quel «... 1946 in cui funzionava a Roma un modesto cabaret, in una specie di teatrino parrocchiale. Il cabaret si chiamava l'Arlecchino e la fama delle serate che vi trascorreva l'intelligenza romana si diffuse ben presto in Italia». Legati a quel cabaret, Mazzarelta, Caprioli, Bonucci, Salce, Buazzelli, Panelli. In seguito, iniziati da questa esperienza, Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci inaugurarono un loro teatrino personale a Parigi, in compagnia con Franca Valeri. I tre del "Teatro dei Gobbi", con lo spettacolo Carnet de notes. "Gobbo", nel gergo teatrale, è un epiteto: t'equivalente di mascalzone, morto di fame, disgraziato. Perché questo antefatto? Perché sarebbe bello "attualizzare" Franca Valeri facendo magari una fiction (quante fiction televisive su spunti assai più banali sulla storia della Franca con Vittorio Caprioli. Creando ponti di intesa tra epoche apparentemente lontanissime, con questa storia pare di ritrovarsi in una specie di corte ducale che non ignora il rombo di una Ferrari.
C'è uno spirito corrosivo che ha superato i salti del tempo e l'apparente mutare degli uomini, annidandosi in ciò che non pub mutare, ed è la verifica dell'uomo nel suo ridicolo più corrente, che lo accompagna nella società. In Carnet de notes, Franca Valeri recitava: «Abbiamo dato al nostro spettacolo questo titolo per preservarci dalle minacce del secolo». Be', le minacce persistono, più che mai, perciò riproporre l'antidoto scenico sarebbe opportuno.
Da Corriere della Sera Magazine, 29 gennaio 2008
Le donne di Franca Valevi. Ogni tipologia femminile una vaghèzia. A cominciare da lei, Franca. Curiosando nel suo carnet, si scoprono via via passi gustosi. Questo, per esempio: "Lui voleva darmi la bottata che noi a Milano non abbiamo il mare. Mi ha preso un nervoso proprio qua alla punta dello stomaco, t'ho messo contro il muro, l'ho preso così per la giacchetta, gli ho fatto: senta lei, la questione marittima regoliamola subito. Le faccio sapere, bello chiaro come il Corriere della Sera, che se fa allusione a un'acqua di fattura fine abbiamo l'Idroscalo, che siccome l'hanno fatto apposta fior di ingegneri è fatto con quel certo grano salis e ci trova fior di ragazze in due pezzi e tutto il resto che non ci manca niente glielo dico io... In secundis, se fa allusione a un'acqua disgorgata naturale abbiamo il Naviglio, che è un'acqua più circostanziata... È rimasto così male, ma così male". Così si esprime la siora Cesira. La Valeri mette a punto, alla maniera sua, il panorama femminile italiano. Le veneziane, come le americane, risolvono tutto fra donne. Basta appostarsi sotto un portoncino veneziano per capirlo. Le emiliane, dal canto loro, dispongono di una gaia e totale assenza di complessi, e la didascalia dice: «Provate a rivolgervi in questo modo a una donna bolognese: 'Svergognata, ladra, sgualdrina, brutta'. Lei risponderà: 'Eh, mio Dio, ingegnere, ma che simpatico, vuol sempre scherzare Lei, ma sa che è ben matto, m'ha voluto chiamare senza nome di battesimo, veh, che spiritoso’». Continuiamo a citare: "In fondo alle mie donne, c'è sempre la mia origine, Milano. Perciò un doveroso omaggio alta donna romana. Chi t'ha detestata attraverso il cinema, sappia che essa è signora, con rispetto parlando, anche sul marciapiede". La Valeri afferma: "In Italia, il miglior impiego per una donna è quello della madre. Molte madri sfogano sui loro figli le noie che hanno dai mariti".
Da Corriere della Sera Magazine, 10 settembre 2009