Se c'è stata una donna maledetta dalla sua bellezza, questa è stata sicuramente Barbara La Marr, un'adolescenza tempestosa, cinque meteorici anni di cinema, una vita spezzata a soli trent'anni. A otto anni aveva impersonato la piccola Eva in Uncle Tom's Cabin e da allora il suo sogno ossessivo era stato quello di recitare. Ma la sua prima recita avvenne dinnanzi al Tribunale dei minori, quando, fermata dalla polizia perché era fuggita di casa, il giudice la rimandò in famiglia con una frase che la perseguitò per tutta la sua breve esistenza: «Sei troppo bella per girare sola per il mondo».
In realtà, Barbara La Marr, che allora era ancora Reatha Watson, non era bella, ma bellissima, un volto dall'ovale perfetto, occhi e capelli nerissimi, un corpo languido ma pronto a scattare ed in più una gran voglia di rompere il cerchio, di vivere la vita ad ogni costo. Nel 1914, diciottenne, sposò un cowboy che morì di polmonite tre mesi dopo; nello stesso anno convolò a nuove nozze con un avvocato che due giorni dopo venne arrestato per bigamia: aveva moglie e tre figli. Anche questo passò a miglior vita per un grumo di sangue al cervello mentre era ancora in prigione.
Dopo queste due esperienze, rimasta senza soldi, respinta da due case cinematografiche ove s'era rivolta, Rhaeta cambiò il suo nome in Barbara La Marr e si esibì come ballerina all'Esposizione Internazionale di San Francisco. A vent'anni si sposò per la terza volta: il matrimonio durò un mese e mezzo. Il quarto marito era un attore e suo tramite Barbara cominciò ad avere qualche piccola parte nei film. Un ruolo più importante lo ebbe in The Nut (1921), un film con Douglas Fairbanks, il quale, dopo aver visto come Barbara si era ben distinta nella parte, la volle come Milady de Winter nel successivo The Three Musketeers (1922), il film che la fece conoscere dal pubblico assegnandole subito un posto tra le bellezze dello schermo.
Scrisse un critico: «Nel film, Douglas/D'Artagnan si innamora di Marguerite de la Motte/Costanza Bonacieux; nel cinema il pubblico s'è innamorato di Milady Barbara La Marr».
Dopo questi film fioccarono le scritture, la First National, la Metro, Samuel Goldwyn la coprirono di dollari e la rivestirono dei panni di seducenti avventuriere, di maliarde rovinafamiglia, in film che riproponevano senza molta fantasia l'eterno triangolo e dove lei era sempre e unicamente l'«altra».
Nel 1923 venne in Italia per girare The Eternal City, una strampalata storia di fascisti e comunisti, con ampio utilizzo di scene documentarie della marcia su Roma, di Mussolini e del Re.
Divorziata dal quarto marito, Barbara si sposò ancora una volta, alternando la sua intensa attività cinematografica con feste, alcool, piccoli e grossi scandali, frequentando la Hollywood più godereccia, buttandosi via senza risparmio, stupidamente. Whisky, droghe e una dieta inesorabile alla quale si sottopose al fine di smaltire una incipiente pinguedine, ed infine la tubercolosi, la costrinsero a ricoverarsi in un sanatorio dove si spense rapidamente. Ecco la diagnosi del suo biografo Kalton Lahue: «Causa della morte? Una overdose di bellezza».
Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.