Ovvero tutto quello che l'Iran non ha mai mostrato. Auguriamo a questo regista ogni bene, visto l'ottimo contributo al cinema mondiale che riesce a offrirci nonostante le prepotenze di uno stato fondamentalista che cerca di censurare tutti i suoi film. Film che non sono successi commerciali, badate bene, ma sono interessanti per la critica e per il pubblico e che lo hanno aiutato a entrare prepotentemente nella rosa di quei registi mediorientali più abili dietro la macchina da presa. L'Iran che Ghobadi descrive è un Iran povero, pieno di barboni, di donne velate, di grattacieli fantasma che si ergono fra le macerie dello scempio perpetrato dagli americani nel post 11 settembre, ma è anche un mondo dove i ragazzini vanno in giro con le magliette heavy metal, con i capelli lunghi e i jeans. Spesso affiancato dallo sceneggiatore Hossein M. Abkenar e dalla giornalista Roxana Saberi (finita sotto i riflettori del mondo per la falsa accusa di spionaggio a favore degli Stati Uniti), Ghobadi descrive uno stato senza una vera autorità fra molte difficoltà lavorative: in Iran non si può filmare senza l'autorizzazione del governo che possiede legalmente il materiale a 35 mm, così come vieta la distribuzione di pellicole senza il suo consenso. Regolamento questo che ha spinto Ghobadi a usare dvd illegali per far conoscere i suoi film, corrompendo poliziotti che per ben due volte avrebbero dovuto arrestarlo. È un cinema difficile quello di questo giovane regista che però non parla mai direttamente di argomenti politici, ma mostra nel racconto della società la corruzione e la brutalità della sua nazione, fra ritmo ed energie coinvolgenti. Opere polverose che, paradossalmente, iniettano vitalità nell'ultima generazione iraniana desiderosa di vera libertà emotiva e artistica. Allievo del Maestro Abbas Kiarostami, molto più concreto e molto meno formalista e raffinato, trova la giusta misura in una capacità di rara sintesi cinematografica, che comprime massacri dovuti alle stagioni troppo calde o troppo fredde, guerre, rabbia e l'imperdibile amore per la vita. Un regista coraggioso, intenso, coinvolgente, che fa tesoro del neorealismo italiano e delle sue inquadrature semplici e risolutive, e che con un budget minimo racconta storie vere.
I primi passi
Di origine curda, esponente della New Wave iraniana, nasce nel 1969 in Iran. Dopo aver frequentato la Scuola Nazionale Audiovisiva, lavorando nel frattempo alla radio, interrompe gli studi per lavorare con un gruppo di giovani autori dilettanti di cinema a Sanadaj, trasferendosi poi a Teheran, dove firma il documentario breve Zendegi dar meh (1999) ed entrando in contatto con il grande Maestro Abbas Kiarostami che lo vorrà come aiuto regista e attore nel suo film Il vento ci porterà via (1999).
Il successo di Il tempo dei cavalli ubriachi
Dopo aver recitato nell'intenso Lavagne (2000), dirige il fortunato Il tempo dei cavalli ubriachi (2000) che vince il premio FIPRESCI e la Camera d'Oro al Festival di Cannes. Altro successo è Gomgashtei dar Aragh (2002) che vince il premio François Chalais, ma senza alcun dubbio il suo film migliore è Turtles Can Fly (2004) storia di un villaggio del Kurdistan iracheno, che sono preoccupati per l'arrivo di un imminente attacco americano in Iraq. La pellicola vince l'Orso di Cristallo e il Premio Peace Film al Festival di Berlino del 2004. Nel 2009, dirige I gatti persiani che ottiene a Cannes il Premio Speciale della Giuria nella sezione Un Certain Regard, sottolineando la passione, l'umorismo anche doloroso e commovente che questo autore ha per la vita, per temi di ribellione.