Anno | 2022 |
Genere | Biografico, |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 104 minuti |
Al cinema | 81 sale cinematografiche |
Regia di | Mary Harron |
Attori | Ben Kingsley, Barbara Sukowa, Christopher Briney, Rupert Graves, Alexander Beyer Andreja Pejic, Suki Waterhouse, Ezra Miller, Mark McKenna, Zachary Nachbar-Seckel, Avital Lvova, Jack Shalloo, Joella Hinson-King, Paul Humphreys, Irina Leoncio, Alberto Maneiro, Matthew James Ovens, Merce Ribot, Gavin Spokes. |
Uscita | giovedì 25 maggio 2023 |
Tag | Da vedere 2022 |
Distribuzione | Plaion Pictures |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,31 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 19 maggio 2023
L'elettrizzante ritratto di Salvador Dalì, una delle figure più iconiche del XX secolo, la cui esistenza fu caratterizzata fino alla fine da un irresistibile mix di genio e sregolatezza. Daliland è 8° in classifica al Box Office. mercoledì 31 maggio ha incassato € 9.366,00 e registrato 1.719 presenze.
CONSIGLIATO SÌ
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New York, 1973, Salvador Dalì vive al Ritz insieme alla moglie Gala e sta preparando la sua prossima personale. James, un giovane stagista di una galleria, viene scelto da Dalì in persona affinché gli faccia da assistente personale mentre ultima le tele da esporre. James ha così l'occasione di osservare da vicinissimo la parabola discendente di uno dei più grandi artisti di sempre. L'uomo dietro l'artista, che James ha modo di conoscere, è pressoché distrutto: i discorsi di Dalì sono imbevuti in un'insopprimibile angoscia per la morte, conduce uno stile di vita che lo consuma, sia economicamente che emotivamente, mentre il Parkinson galoppante riduce sempre le sue capacità artistiche al lumicino.
Una meravigliosa istantanea degli anni '70 che mette al centro un Dalì crepuscolare sospeso tra pulsioni di morte, malattia e nodi irrisolti.
Esistono nella storia dell'umanità, e dunque di riflesso nella letteratura, dei personaggi talmente complessi e prismatici da annichilire chiunque tenti di rinchiuderli in una pagina. Quando si ha a che fare con soggetti di questo tipo, il racconto in prima persona è del tutto impensabile, poiché nessun autore, per quanto capace, saprebbe far ordine in una mente che deve la sua stessa genialità al caos. Lo sapeva bene Fitzgerald, che quando si approccia a scrivere la sua opera più celebre, "Il Grande Gatsby", decide di delegare il ritratto del suo chimerico protagonista a un altro personaggio, Nick Carraway, in modo da poterlo scandagliare dall'esterno. E lo sanno bene anche Mary Harron e suoi sceneggiatori che attraverso il personaggio di James, riescono nella difficile impresa di raccontare sia il Dalì-personaggio che il Dalì-uomo. Come l'uterque-homo petrarchesco, scisso da terribili dissidi, Dalì ha totalmente perso il contatto con il suo vero io, fuorviato dalla dimensione pubblica, sentimentalmente straziato dai tradimenti di Gala e ossessionato dalla morte. Costretto a dipingere solo per finanziare il suo trimalcionico stile di vita, Mary Harron mette in scena un Dalì sul viale del tramonto, che cerca di aggrapparsi con tutte le sue forze all'amata moglie, ma dalla quale riceve solo tradimenti e rancore. Tema interessantissimo che Mary Harron sviscera a dovere è quello della sessualità: oltre che cruciale nell'opera di Dalì, il sofferto rapporto con la sua libido ci viene presentato come un vero e proprio leitmotiv della sua vita. Al Ritz di New York, perciò, Dalì si circonda di un serie di modelle-muse che compongono il suo harem della castità: sembra che l'impossibilità dell'atto sessuale sia per Dalì l'ispirazione prima, dal momento che l'immaginazione e l'osservazione sono alla base dell'ispirazione artistica, mentre l'atto pratico, nella sua concreta e brutale attuazione, è spurio da ogni forma di poesia e astrazione.
Gli anni '70 sono poi per Dalì un punto di non ritorno soprattutto per la sua carriera: quel limite tra uomo e personaggio, diventato via via sempre più labile, veniva percepito dal pubblico di allora come una tendenza dell'artista ad accartocciarsi su sé stesso, a diventare irrimediabilmente una sorta di figura caricaturale. E di conseguenza i grandi critici iniziano ad ignorarlo, a non prenderlo più sul serio, sancendone di fatto il crollo. Dalìland, dunque, è il crepuscolo degli idoli del maestro del surrealismo, che progressivamente perde la giovinezza, la salute, poi il contatto con sé stesso, perde tutti i soldi e anche la sua popolarità, fino a una perdita durissima sul finale, dalla quale non potrà mai riprendersi. Sorrentino in Youth fa dire a Paul Dano che ogni grande attore può permettersi di raccontare solo un'emozione del suo personaggio. La passione di Dalì: questa è l'emozione che Ben Kingsley sceglie di raccontare, e non avrebbe potuto fare scelta migliore. La passione per l'arte, per la vita, per la spettacolarità: Dalì ha amato con passione per tutta la sua vita, con ogni fibra del suo corpo, fino a crollare per lo sforzo. La capacità di Ben Kingsley di raccontare tutto ciò è semplicemente spiazzante. Concludo mettendo il punto esclamativo sulla consueta classe di Mary Harron nella costruzione di mood e atmosfere: tutte le scelte stilistiche, dalla colonna sonora, alle scenografie, passando per i costumi e i dettagli, sono sofisticatamente azzeccate e del tutto estasianti.
Chi l’ha detto che i biopic sono tutti uguali? Certo, esiste una struttura ricorrente che si ripresenta pressoché invariata in molti film biografici, che sono soliti ripercorrere la vita e la carriera dei loro protagonisti secondo un criterio cronologico e lineare. Alcuni esempi degli ultimi anni sono Bohemian Rhapsody (2018) e Whitney - Una voce diventata leggenda (2022) − dedicati rispettivamente al frontman dei Queen Freddie Mercury e all’icona della musica pop Whitney Houston − che nel dar forma a una rappresentazione sicuramente spettacolare della vita dei protagonisti si mantengono comunque nei binari di una narrazione piuttosto convenzionale.
Tuttavia, che nel mondo dei film biografici possano trovare spazio anche la creatività e la sperimentazione lo ha dimostrato Pablo Larraín: da Pablo Neruda a Lady Diana passando per Jacqueline Kennedy, il regista cileno ha sempre aggiunto un punto di vista originale e inedito sulle storie dei personaggi che ha deciso di raccontare. Se con Jackie (2016) e Spencer (2021) la particolarità dell’approccio di Larraín consisteva nel mettere in scena un periodo molto ristretto della vita delle protagoniste che potesse far luce sulla loro storia e sulla loro personalità, in Neruda (2016) è un personaggio realmente esistito ma completamente reinventato − il prefetto della polizia Óscar Peluchonneau − a guidare in voice over lo spettatore all’interno della narrazione.
Nel suo Daliland (2022) Mary Harron mette insieme le due strategie adottate da Larraín decidendo di raccontare gli anni crepuscolari della vita e della carriera di Salvador Dalì attraverso lo sguardo di un giovane ammiratore del pittore, l’aspirante gallerista James. In effetti, Harron aveva adottato un approccio simile già nel suo primo film, Ho sparato a Andy Warhol (1996), in cui l’incontro con Warhol avveniva attraverso il personaggio − questa volta realmente esistito − di Valerie Solanas, una femminista militante che nel 1968 attentò alla vita dell’icona della pop-art americana. Ma con il biopic Harron si è confrontata anche nel 2005 grazie a La scandalosa vita di Bettie Page, lungometraggio incentrato sulla vita della celebre pin-up e modella bondage.
Se qui a interpretare Page era l’attrice statunitense Gretchen Mol e in Ho sparato a Andy Warhol nei panni dell’artista c’era Jared Harris e in quelli di Solanas Lili Taylor, in Daliland il ruolo di Salvador Dalì va a Ben Kingsley, attore britannico dalla solida carriera teatrale e cinematografica, che nel 1982 aveva raggiunto la notorietà proprio grazie a un biopic, dedicato alla vita di Mahatma Gandhi. Per la sua interpretazione di Gandhi, nel 1983 Kingsley si era infatti aggiudicato un Oscar, un Golden Globe e un BAFTA come Miglior attore protagonista e da quel momento la sua carriera aveva preso il volo, arrivando a lavorare con registi come Steven Spielberg, Roman Polanski e Martin Scorsese.
In Daliland, quindi, Kingsley si confronta nuovamente con un film biografico e al suo fianco trova un’altra celebre e pluripremiata interprete, Barbara Sukowa, nei panni di una Gala sempre meno dedita al marito e sempre più incline a coltivare le proprie tresche extraconiugali. Al rapporto tra Gala e Salvador viene dedicato molto spazio e le difficoltà del loro presente vengono messe a confronto con l’intesa del passato, resa in scena da alcuni flashback in cui Ezra Miller e Avital Lvova interpretano i due personaggi in gioventù.
Il contrasto tra giovinezza e vecchiaia, alba e tramonto è inoltre esaltato dalla presenza di colui che conduce lo spettatore all’interno della storia: l’appassionato e vitale James, un ragazzo all’inizio della propria carriera e ricco di speranze per il futuro che si contrappone a un Salvador Dalì sempre più fragile e consumato. È proprio grazie a James che Daliland si distanzia maggiormente dai canoni del biopic convenzionale, utilizzando un personaggio fittizio come chiave interpretativa della storia vera cui si ispira: una storia al crepuscolo che tuttavia non dimentica la sua origine.
Daliland, l’ultimo film di Mary Harron, regista anche di American Psycho e con il Premio Oscar Ben Kinsgley, arriva al cinema dal 25 maggio.
Artista degli eccessi mai eccessivo. Questo era Salvador Dalì e così ce lo restituisce il ritratto della regista canadese Mary Harron. Presentato al Toronto Film Festival 2022 e fuori concorso al 400 Torino Film Festival, "Daliland" ha suscitato interesse anche per la splendida interpretazione di Ben Kingsley nei panni dello stravagante artista spagnolo.
Dalìland comincia con una televisione accesa. Mentre il protagonista della storia si sta facendo una doccia, ascolta le parole di un gioco televisivo. Una donna bendata deve indovinare la personalità che le si trova davanti facendo delle domande alle quali si può rispondere sì o no. "È già stato in tv? È un performer? È uno scrittore? Fa sport? Disegna fumetti? .
New York anni 70. Intorno a Salvador Dalí sopravvive un'aura di culto, la fama del genio continua a permettergli di vivere al di sopra delle sue possibilità ma il declino è imminente, e la sua crisi è acuita dal progressivo allontanamento della moglie Gala, sua antica musa (nella realtà la incontrò che era amante di Paul Éluard all'anteprima parigina di Un chien andalou, dopodiché esplose il grande [...] Vai alla recensione »
New York 1974. James lavora presso la galleria d'arte che ospiterà la prossima esibizione del genio Salvador Dali. Quando l'artista in persona gli propone di diventare suo assistente, il ragazzo pensa di coronare il sogno della sua vita, ma presto scopre che non è tutto oro quel che luccica. Dietro allo stile di vita sgargiante, al glamour e ai party sontuosi, un grande vuoto consuma l'ormai anziano [...] Vai alla recensione »
Come si racconta un genio? Come ci si accosta alla poliforme, allucinata, torrenziale, estatica vita di Salvador Dalí? Si può separare l'uomo dalla Storia? Il privato dal pubblico? L'intimità dalla fama? Mary Harron professionista in biografie di uomini carismatici (La scandalosa vita di Bettie Page, Charlie Says ma anche American Psycho) parte da questi, eterni dilemmi per affrescare il suo Daliland. [...] Vai alla recensione »