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Gli amori di Anaïs, Valeria Bruni Tedeschi è la scrittrice Emilie: «c’è una nota autobiografica in tutti i miei lavori»

L’attrice veste i panni di una saggista di successo che fa innamorare Anaïs Demoustier nell’opera prima della sceneggiatrice-regista-attrice Charline Bourgeois-Tacquet. Ora al cinema.
di Luigi Coluccio

Valeria Bruni Tedeschi (59 anni) 16 novembre 1964, Torino (Italia) - Scorpione. Interpreta Emilie Ducret nel film di Charline Bourgeois-Tacquet Gli amori di Anaïs.
giovedì 28 aprile 2022 - Incontri

È ora in sala Gli amori di Anaïs, prima regia della sceneggiatrice-regista-attrice Charline Bourgeois-Tacquet, una co-produzione tra Italia e Francia con protagoniste Anaïs Demoustier e Valeria Bruni Tedeschi. In un duetto sensuale e intellettuale assieme, Anaïs (Demoustier) cerca Emilie (Bruni Tedeschi), Emilie si avvicina ad Anaïs, ed entrambe inseguono un nuovo punto della propria vita attorno a cui ruotare, ripartire.

Abbiamo incontrato Valeria Bruni Tedeschi alla Casa del Cinema di Roma per farci raccontare qualcosa sul suo nuovo film da attrice.

Il film vive dell’incontro tra i personaggi di Anaïs ed Emilie, ma è anche l’incrocio tra Anaïs Demoustier e Valeria Bruni Tedeschi, l’una astro nascente, ma già affermata, del cinema francese, l’altra nome importante, cercato e presente sia nel cinema italiano che in quello d’oltralpe.
Io già conoscevo Anaïs per un’opera precedente che avevamo fatto insieme, Paris, etc. di Zabou Breitman, dove interpretava mia sorella. È un’attrice che trovo bravissima, con cui adoro lavorare. È una donna stra-simpatica, e a tutti i film che mi proporranno con lei dirò di sì. È una persona che mi mette molta allegria, e il film è così, ti trasporta con la sua allegria che non è mai stupida ma intelligente.

Questa è l’opera d’esordio di Charline Bourgeois-Tacquet, una sorta di seguito del mediometraggio Pauline asservie, interpretato sempre da Anaïs Demoustier. Com’è stato inserirsi come in corsa dentro questa storia generazionale, quasi autobiografica, che le due stanno portando avanti?
È andata molto bene, mi sono sentita accolta nella loro “danza”, come se avessero iniziato prima a danzare e dopo mi hanno proposto di entrare lì con loro. Ho un ricordo davvero piacevole del film.

Del resto l’autobiografismo è un elemento importante della sua filmografia da autrice, visto come spesso pezzi della sua vita vengono presi ed elaborati in chiave finzionale, cinematografica nelle sue sceneggiature e regia di È più facile per un cammello…, Actrices, Un castello in Italia e I villeggianti.
Assolutamente. Mi sembra un modo di lavorare sensato, anche se non è l’unico modo per farlo. Poi anche quando non è totalmente chiara l’autobiografia, per esempio nell’adattamento che ho fatto de “Le tre sorelle” di Cechov, a me invece sembrava di essere anche lì autobiografica. Perciò, sì, l’autobiografia in fondo è sempre presente nel mio lavoro.

Come anche nel suo film in concorso al prossimo festival di Cannes, Les Amandiers.
Questo in modo più chiaro perché sono dei ricordi, e il film si sarebbe potuto chiamare proprio “Ricordi”.

In Italia negli ultimi tempi si sta ragionando sulla presenza o sull’assenza di un vero star system, anche in rapporto alle nuove generazioni attoriali che stanno emergendo grazie alle piattaforme. Lei che lavora, appartiene a due industrie cinematografiche diverse come quella francese e quella italiana, cosa ne pensa?
Io non conosco le piattaforme. Faccio da sempre il mio lavoro al cinema, anche se poi magari come il film di Leonardo Guerra Seràgnoli Gli indifferenti o delle serie tv andiamo su piattaforma, però non saprei fare un’analisi sul loro lavoro. Trovo che nelle serie televisive ci sia spesso una libertà che non si riesce a ottenere al cinema, un’insolenza, una selvatichezza che a volte manca. Poi da sempre gli attori giovani arrivano e si prendono lo spazio. Questa è la storia del cinema, dell’umanità, con i giovani che a un certo punto diventano i protagonisti. Però anche i “vecchietti” sono molto importanti. E quando vedo ad esempio questa foto di Marcello Mastroianni, qui alla Casa del Cinema, penso che veramente era un dio, ma a quell’età lì. Ciò che lui trasportava con sé a quell’età lo rendeva un faro. Ed è questo che dovrebbero, devono essere le persone più anziane. Dei fari.


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