Anno | 2020 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Germania |
Durata | 183 minuti |
Regia di | Burhan Qurbani |
Attori | Jella Haase, Martin Wuttke, Albrecht Schuch, Nils Verkooijen, Joachim Król Lukhanyo Bele, Welket Bungué, Lena Schmidtke, Benny O.-Arthur, Annabelle Mandeng, Thelma Buabeng, Thomas Lawinky. |
MYmonetro | 2,43 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 26 febbraio 2020
Un rifugiato dalla Guinea sta tentando di vivere in Germania non sfociando nella delinquenza. Ha vinto un premio ai European Film Awards,
CONSIGLIATO NÌ
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Francis è sopravvissuto a un naufragio mentre tentava di raggiungere l'Europa. Il suo desiderio è quello di vivere una vita normale, di non sentirsi un "rifugiato" Si ritrova a vivere a Berlino senza documenti, non avendo alcun diritto e lavorando in modo illegale. Fino a quando incontra Reinhold, uno psicopatico sessodipendente che è il secondo in ordine di importanza per lo spaccio della droga al parco Hasenhëide. L'incontro con due donne, l'africana Eva e la tedesca Mietze, lo spingerà a tentare di mantenere fede ai propri propositi iniziali. Anche con un braccio amputato.
Questo lungo film in 5 parti dovrebbe essere proposto in tutte le scuole di cinema. Sarebbe infatti utilissimo per far comprendere come uno stesso soggetto possa essere portato sullo schermo da un Maestro con esiti di alta qualità e come invece un suo adattamento si riduca a un abbozzo di fiction di mediocre qualità.
C'era una volta Rainer Werner Fassbinder che a 35 anni, nel 1980, a partire dal romanzo omonimo del 1929 di Alfred Döblin, realizzò per la televisione un'opera della durata di 15 ore destinata a rimanere nella storia non solo della tv ma del cinema tout-court. In quell'occasione Fassbinder riusciva a realizzare un'intensa riflessione sui rapporti che intercorrono tra potere, amore e vita.
C'è oggi il quarantenne Burhan Qurbani che riprende quel testo senza probabilmente rendersi conto che si tratta di materia incandescente che va maneggiata con ogni tipo di precauzione. Precauzioni che non sono state osservate dal regista, forse sostenuto dal fatto di essere figlio di profughi afgani e quindi consapevole di quanto sia difficile la vita al di fuori del luogo delle proprie radici. Succede così che accadimenti in cui Fassbinder infondeva tutta l'intensità del proprio vivere si trasformino in una sequela di luoghi comuni retorici. A partire dall'utilizzo dell'illuminazione rossa che, originata inizialmente dai razzi nautici che hanno segnato il dramma del naufragio, ci viene riproposta con effetti più che didascalici in molteplici occasioni.
Lo scegliere poi un africano per il ruolo principale rischia di rivelarsi un boomerang che favorisce lo stereotipo razzista per cui se arrivi clandestinamente in Germania non puoi che finire nel giro della malavita. La redenzione, se mai ci sarà e se si sarà 'fortunati', avverrà solo dopo lungo tempo. Tutto viene stra-volto e perde di di intensità esistenziale per trasformarsi in luogo comune: lo psicopatico che ha sofferto nell'infanzia, la escort di lusso che cerca l'amore e la maternità, il protagonista ingenuo e fiducioso nell'amicizia oltre ogni limite. Si dirà che questi elementi erano presenti anche in Fassbinder e questo corrisponde a verità. Proprio per questa ragione, essendo stati già elevati al rango di arte cinematografica, non avevano bisogno di rivisitazioni incapaci di andare oltre il livello di base della scrittura.
Penso che non si può per niente comparare questo film con la serie che ha fatto Fassbinder molti anni fa. È completamente un'altra storia e anche un altro tempo della vita sociale.
Francis (Franz) sopravvive a un naufragio. Incontra lo psicopatico Reinhold, col quale avvia un controverso rapporto. Sulla scena irrompono anche Eva e Mietze, mentre un incidente lo costringe a farsi amputare un braccio. L'arduo tentativo di trasportare ancora una volta sullo schermo il fluviale romanzo di Alfred Döblin, dopo Phil Jutzi e soprattutto la monumentale versione di Fassbinder, sfocia in [...] Vai alla recensione »
Berlin Alexanderplatz, il secondo contributo tedesco al concorso della 70esima Berlinale, ha celebrato la sua prima mondiale dopo Undine di Christian Petzold che, seppure applaudito, è restato al di sotto delle aspettative della critica. La pressione sul terzo lungometraggio del regista Burhan Qurbani, classe 1980, non poteva essere maggiore con i pochi film rimasti in programma.
Burhan Qurbani compie l'audace tentativo di adattare per il grande schermo Berlin Alexanderplatz, romanzo chiave della letteratura moderna di Alfred Döblin del 1929, che affronta lo scarto insanabile tra una città e i suoi abitanti, nel contesto di un'epoca avviata sulla strada del progresso tecnologico, realizzato però a discapito dell'uomo, sempre più scollato dall'ambiente e destinato all'alienazione. [...] Vai alla recensione »
Quando abbiamo letto che in concorso era prevista una nuova trasposizione di Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin - il romanzo numero uno della Nuova Oggettività tedesca, uno dei principali romanzi europei degli anni '20, romanzo fra i più innovativi per tecnica narrativa, romanzo poliprospettico, dialogico, ricco di slang, di registri e di strati, romanzo metropolitano, romanzo di formazione, romanzo [...] Vai alla recensione »
Francis è sopravvissuto alla sua fuga dall'Africa occidentale. Quando si sveglia su una spiaggia nel sud dell'Europa, è determinato a vivere una vita regolare e dignitosa da ora in poi. Ma finisce nell'odierna Berlino, dove un apolide senza permesso di lavoro viene trattato senza pietà. Francis inizialmente resiste a un'offerta di spaccio di droga nel parco di Hasenheide, ma poi subisce l'influenza [...] Vai alla recensione »