lunedì 21 ottobre 2019 - Scrivere di Cinema
Quando Disney affronta la cattiveria e concede al male il ruolo di attore protagonista è ingenuo, se non addirittura presuntuoso, aspettarsi che il volto prestato alla malvagità non si limiti che ad una descrizione presentazionale, o che il villain non nasconda sottopelle le sue pulsioni più macabre facendole emergere, di tanto in tanto, solo come scoria. Nell'ottica di questa crudeltà postulata e mai risolta, promessa nella fase preliminare del racconto e poi mai realmente concessa, la politica Disney positivizza il male per renderlo accessibile, lo trasforma da condizione di presupposta immutabilità iniziale ad esperienza di redenzione come esito conclusivo.
In sostanza, il bene viene vissuto come l'unico statuto stilistico possibile alla comprensione dell'oggetto-cinema.
Può capitare che alle volte l'antagonista sia così eccezionalmente scritto da assumere le proporzioni di una minaccia addirittura credibile (e in questo senso vale senz'altro la pena di ricordare il lavoro elegantissimo di Tilda Swinton sulla Strega Bianca delle Cronache di Narnia), ma capita più spesso che ad un villain in grado di comunicare e di entrare in connessione col suo pubblico corrisponda un'immediata ridefinizione dei suoi codici linguistici.
Nel caso frequente delle saghe, parliamo del passaggio da cattivo a buono. Basti pensare al ruolo di Barbossa nei Pirati dei Caraibi, piuttosto borderline già dai tempi della Maledizione della prima luna e negli episodi successivi via via più comico, a quello di Loki per l'universo Marvel e, arrivando all'ultima proposta Disney nelle sale, a quello di Malefica. Se il primo capitolo datato 2014 si inseriva perfettamente all'interno della formula per cui la cattiveria era sì oggetto di ostentazione ma non era assolutamente un atto d'identità da parte del personaggio in questione, Maleficent - Signora del male (guarda la video recensione) ripropone lo schema narrativo attraverso il quale chi prima vestiva i panni del nemico finisce col diventare ora un potente alleato dei buoni.
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Mentre la stragrande maggioranza dei riadattamenti Disney è condannata a seguire le indicazioni filmologiche incontestabili dei classici d'animazione, presentando così una prospettiva della cattiveria troppo esile e insignificante per reggere il confronto con le stratificazioni di cui necessita il villain moderno, Malefica era un personaggio talmente anonimo già quando è stato proposto sullo schermo ne La bella addormentata nel bosco che il suo passaggio a live action non poteva assumere i caratteri della riedizione ma piuttosto della riabilitazione, più cinematograficamente connotata.
Finalmente libero allora di poter sprigionare un minimo di tensione immaginativa che non si allacci per forza al cartoon di riferimento, il film di Joachim Ronning si chiama fuori dalla sfida al superamento artistico e concettuale col modello precedente e la perfidia di Malefica, per la verità messa a corollario senza alcuna dimostrazione, viene letta in chiave da un lato comica e dall'altro di rivendicazione sociale. Una specie traslitterazione cinematografica della cattiveria insomma, una visione alternativa con cui guardare al male secondo un livello di equilibrio non solo sostenibile per lo standard Disney, che non può permettersi variazioni sul tema troppo esasperate, ma persino accettabile per un pubblico maturo.
Il linguaggio che l'incipit utilizza per presentare Malefica mette in relazione la natura mefistofelica di Angelina Jolie, dall'esposizione del make-up al design del costume, con i luoghi e le circostanze in cui agisce, così da restituire l'effetto di straniamento: è la sola creatura visivamente demoniaca dentro una splendida e rigogliosa foresta, scoraggia scherzosamente la figlia adottiva riguardo le imminenti nozze e davanti alla propria immagine specchiata in un laghetto prova in modo goffo il discorso con cui presentarsi ai genitori del genero senza spaventarli. In breve poi il male diventa da espediente comico a risposta contro la prevaricazione sociale, quando Ronning convoca nell'intreccio la vera signora del male del film, la regina Ingrid, e le consegna il pretesto ideologico con cui iniziare la guerra con il popolo magico della Brughiera: Malefica è stata cattiva e lo è tutt'ora, lo dicono le sue corna, le sue ali nere e la rabbia che la smuove ad ogni provocazione.
È cattiva, in definitiva, perché è diversa. Ecco che il film trova il suo centro discorsivo e cerca di prendere le distanze dall'anoressia creativa e contenutistica che coinvolge i suoi simili cinematografici per raggiungere un punto di contatto tra le forme dell'intrattenimento giovanilistico più frivole e le necessità di andare oltre la fiaba in modo tale da provare a raccontare la contemporaneità. È solo quando la malvagità di Angelina Jolie si converte in condivisione del dolore e lotta a tutela delle minoranze che Maleficent - Signora del male può farsi leggere alla luce di un senso vero, che vada al di là delle logiche da blockbuster e si fondi non solo come operazione commerciale ma anche, e soprattutto, come veicolo culturale.