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Ultimo aggiornamento giovedì 22 agosto 2019
Attraverso 56 scene indipendenti, il film disegna un ritratto, amaro e tenero, dell'Islanda moderna durante periodi turbolenti ma anche quelli emozionanti del Natale.
CONSIGLIATO SÌ
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56 frammenti di vita quotidiana in Islanda, tutti ambientati durante il giorno di Natale. Il tempo della ricorrenza progredisce tra una vignetta e l'altra, che colgono gli abitanti del paese in procinto di festeggiare con le famiglie, o ancora attardati al lavoro. Chiese, musei, fattorie, salotti, garage e una miriade di altri luoghi costruiscono un affresco di collettività.
Non c'è una storia in sé, al centro del terzo film di Rúnar Rúnarsson, che aveva lasciato il segno con le sue prime due opere.
Volcano e Sparrows erano dei drammi di delicata osservazione, in cui l'aspetto narrativo era di già un mero supporto al senso di atmosfera evocata da un luogo e dal contesto sociale. Con Echo, Rúnarsson si libera in modo ancor più drastico dalle costrizioni di trama per ambire a un ritratto indiretto dell'Islanda, che acquista senso attraverso l'alternanza e la ripetizione di scatti in movimento.
L'effetto è quello di un caleidoscopio che a ogni cambio inquadratura chiede allo spettatore di tenere vivi nella mente i frammenti precedenti e di prepararsi a quelli successivi. Soltanto allungandosi di qua e di là è possibile mantenere una consapevolezza dell'intero affresco, che nella sua ultima inquadratura si congeda con un senso di reale trascorso.
I momenti sono spesso fatti di contrasti, come quelli di un uomo al telefono con la figlia di fronte a un bambino in una bara, o di una discussione sulle case sullo sfondo di una fattoria in fiamme. Il gusto dell'assurdo non è però mai pronunciato come nei lavori di Roy Andersson, che più di tutti ha saputo perfezionare la formula a vignette nel cinema contemporaneo. Benché compaiano qua e là delle punte di umorismo sardonico di natura scandinava, Rúnarsson si ferma sempre prima di scavalcare verso il surreale, e a volte prima ancora di dare compiutezza a scene che hanno solo il valore di scatto temporale.
Echo è un passaggio interessante nella carriera di un autore che, invece di continuare a raffinare uno stile di osservazione minimalista, decide di farlo deflagrare in una miriade di composizioni. Il dettaglio scenografico è spesso eccellente, tanto più prezioso perché il tempo per ammirarlo è ridotto. E la fotografia ha un calore pittorico capace di imprimere nella mente diverse inquadrature, che non si perdono mai nel mare mosso che attende alla fine di un Natale islandese.
È da tempo che il cinema islandese si fa spazio nel panorama internazionale, non ultima la vittoria al Torino Film Festival 2019 di Hlynur Pálmason con l'interessante A White, White Day. Anche Rúnar Rúnarsson ormai è un sicuro punto di riferimento dopo Volcano e Passeri, che vinse a San Sebastián cinque anni fa. Ora con Echo, a Locarno 2019, sonda l'umanità dell'isola durante il periodo natalizio, [...] Vai alla recensione »
L'istante prolungato, il momento tenuto come una nota che taglia la struttura armonica di una composizione: anche in Echo, il suo terzo lungometraggio (in Concorso a Locarno 72), l'islandese Runar Runarsson si trattiene sull'istante che dura il tempo di rendersi conto dello stato delle cose. Questa volta la narrazione è quella di un racconto di Natale diffuso, una corale intonata nella mesta festività [...] Vai alla recensione »