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Ultimo aggiornamento lunedì 11 febbraio 2019
Bertold Brecht ripensa alla sua vita, dagli esordi fino all'anno della sua morte, avvenuta nel 1956.
CONSIGLIATO SÌ
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La vita e le opere di Eugen "Bert" Brecht, raccontate come il galoppante compiersi di un'auto-profezia, dalle sorprendenti performances giovanili alla solida grandezza della maturità.
Il docu-film di Heinrich Breoler, denso e lineare, non è cibo per palati intellettuali, meglio dirlo dal principio, però nemmeno materiale da tiro al bersaglio, perché qualitativamente dignitoso e perfino adatto, qualora ci fosse l'intenzione, all'esportazione sul mercato televisivo internazionale.
Siamo nel campo della divulgazione e la scaletta del film non si allontana da quella del profilo da enciclopedia, con tanto di episodio scatenante tradizionalmente noto, quel verso di Orazio sulla dolcezza del morire per la patria che Brecht studente diciottenne osò contestare in un tema in classe.
La sua contestazione giovanile aprì davanti a sé una stagione lunga una vita all'insegna del pensiero libero e materialista (nella trasposizione di Breoler tutto questo diventa una battuta in bocca al preside: "Brecht, lei è una delusione, questo è materialismo!")
Come anticipato, dunque, il percorso intellettuale del protagonista è trattato per tappe di massima, senza approfondimento su modi e modelli, se si eccettua l'accenno (con inserto visivo) alla visione in sala de La madre di Pudovkin, la comparsa(ta) del personaggio di Kurt Weill al pianoforte de "L'opera da tre soldi", e la messa in scena della lunga amicizia con Caspar Neher, compagno di classe, scenografo e librettista. Ben più approfondito, invece, è il rapporto di Brecht con il sesso femminile, sottolineato fino all'esagerazione (oppure al sospetto, che il copione scelga quella debolezza per distrarre da altre, più politicamente controverse).
La relazione con Paula "Bi" Banholzer, il matrimonio con Marianne Zoff, quello più serio, longevo e proficuo con "Madre Coraggio" Helen Weigel, l'avventura americana con Regine Lutz, quella con la segretaria e poi con una schiera di attrici sempre più giovani, raccordano così, nel nome di un'umanità vulcanica e desiderante, le due parti della docu-fiction, quella sugli anni giovanili, affidata a Tom Schilling, e quella che guarda alla fine, con Bughart Klaussner.
Tutto è detto e ridetto, persino il paragone tra l'ultimo Brecht e Galileo, che sarebbe stato più interessante e raffinato lasciare al sottotesto, ma è il linguaggio del biopic televisivo e Brecht ne rispetta e talvolta ne supera lo standard.
Svolgono un buon servizio, infine, i tanti e vari materiali inseriti nel racconto; le fotografie, le riprese degli spettacoli del Berliner Ensemble, e soprattutto le interviste a parenti, amanti e collaboratori, portatrici di squarci di verità e profondità di cui, altrimenti, avremmo avvertito la mancanza.