Tim Robbins filma il suo decennale impegno all'interno delle carceri americane. A Venezia 76.
di Marzia Gandolfi
Tim Robbins è in primis una ‘statura’. Quando il suo metro e novantasei si profila all’ingresso del laboratorio teatrale della Prigione di Stato di Calipatria, un brivido percorre le uniformi blu. Per i detenuti, Tim Robbins è la star di The Shawshank Redemption (Le ali della libertà), un prison movie del 1994 dove l’attore interpreta il vice direttore di una banca condannato (ingiustamente) a due ergastoli per l’uccisione della moglie. È il loro film preferito e per una buona ragione: la fine della storia è un inno al loro sogno più folle, la grande fuga in barba alle guardie. Tim Robbins non vince l’Oscar quell’anno ma il film fa sempre un’audience da record in televisione. Un anno più tardi, nel 1995, realizza Dead Man Walking – Condannato a morte, un appello accorato contro la pena di morte che vale l’Oscar alla sua compagna, Susan Sarandon. Da quel momento l’autore-attore non smette di militare per una riforma della giustizia penale negli Stati Uniti.
La sua compagnia teatrale, l’Actors’ Gang, fondata nel 1981, organizza dei workshop in quattro prigioni della California per creare nell’emergenza momenti di verità. Contrario all’approccio punitivo e sostenitore della cultura della parola, mette a punto un programma di riabilitazione ed entra in contatto con le realtà carcerarie più dure, la sua missione è la giustizia sociale, il suo obiettivo è cambiare il mondo.
Le sessioni (multiculturali) cominciano sempre con una tecnica di improvvisazione sviluppata sulla scena dalla regista newyorkese Anne Bogart.