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One Nation, One King, la rivoluzione come accumulo di voci e di momenti

Un film in cui la rivolta diventa un vortice esaltante e un dialogo aperto che non si ferma per nessuna celebrità storica. Su Biennale Cinema Channel e MYmovies ONE. 
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di Tommaso Tocci

sabato 8 gennaio 2022 - mymoviesone

Nel film del regista Pierre Schoeller, One Nation, One King, che in originale si chiama Un popolo e il suo re, la rivoluzione francese è insieme un affare di alta e solenne discussione e un cambiamento delle piccole cose tangibili. E così la presa della Bastiglia, nel 1789, viene distillata alla sua essenza più concreta, quella di un ammasso di mattoni che si staglia sui vicoli circostanti e toglie luce al popolo. Fino al giorno in cui i volti della gente si illuminano di sole all’improvviso mentre lassù in alto quei mattoni vengono giù a picconate.

Lo studio del potere, che già aveva interessato il regista in Il ministro - L’esercizio dello stato, diventa in questo dramma storico piuttosto atipico uno specchio-caleidoscopio puntato verso la collettività. Il re, a cui dà vita il grande Laurent Lafitte, è un ingombro e un punto interrogativo, una fuga e poi un ritorno, che apre il film lavando i piedi dei bambini e infine lo chiude sollevando interrogativi difficili.

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In mezzo la rivoluzione è fatta però di tribune e di discorsi, di dichiarazioni universali e di altre più intime. Quella luce che un bel giorno si scopre non più ostruita dalla Bastiglia torna a infiammare il mondo e cova nel laboratorio del vetraio, attorno al quale gira il gruppo dei tanti protagonisti, volti noti del cinema francese come Olivier Gourmet, Adèle Haenel, Noémie Lvovsky e Gaspard Ulliel. Un microcosmo che porta il film lontano dai codici standard del dramma storico, e che pur trovando spazio per figure note come Marat e Robespierre (Denis Lavant e Louis Garrel) li rende parte di un dialogo a più voci che non si ferma per nessuna celebrità storica.

In questo Schoeller sembra avvicinarsi a un cinema di natura didattica ma anticonvenzionale, vicina alla metodologia del nostro Martone (come in Noi credevamo) e parente alla lontana del Peterloo (guarda la video recensione) di Mike Leigh. Opere in cui si sfiora il miracolo di accumulare individualità e prospettive fino a raggiungere la massa critica che fa davvero percepire in termini filmici un’idea di collettività. La rivoluzione non è più quindi un evento monolitico e monumentale ma un vortice esaltante (e, giustamente, parecchio confusionale) in cui si salta di qua e di là, da un occhio privilegiato a uno umile, in un afflato totale che corre dalla bottega del vetraio fino a Versailles, dalla chiesa di campagna fin dentro al palazzo delle Tuileries.

Così si scandisce un film privo di facile coinvolgimento emotivo, che non si aggrappa agli eventi, e che per questo risulta anche fuori ritmo rispetto a ciò a cui il grande pubblico è abituato. Eppure, libera da questi paletti, la rivoluzione di Schoeller sembra più autentica, e rivelatrice di quello che poi, nei secoli trascorsi da quegli anni, diventerà il carattere nazionale francese, rapidissimo a farsi collettivo per difendere l’individualità di ciascuno. Un senso di uguaglianza appuntito e trasmissibile, in cui il collante è la parola - i discorsi, le canzoni, la poesia condivisa. È pur vero che la parola al cinema si racconta male, ma One nation, One King accetta questo svantaggio e, un po’ impacciato, sceglie di guardare oltre, all’orizzonte secolare dello spirito francese.

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