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Roma, un film a cui è difficile resistere

Uno stile potente e arioso, fatto di acrobatici e complessi movimenti di macchina. Al cinema.
di Roy Menarini

Roma

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martedì 4 dicembre 2018 - Focus

Non ci sono molti dubbi sul fatto che il 57enne Alfonso Cuarón sia un regista cinefilo. La sua carriera, invece che diseguale o alterna, rappresenta la tipica filmografia che viene amata dagli intenditori proprio per il nomadismo dei progetti. Oltre al fatto che - secondo molti - appartiene a lui l'episodio più intrigante e gotico della saga di Harry Potter (Harry Potter e il prigioniero di Azkaban), basti mettere a confronto gli ultimi due film: Gravity e appunto Roma (guarda la video recensione). L'uno è un survival movie in 3D ambientato nello spazio, l'altro è un grande romanzo popolare in bianco e nero narrato negli anni Settanta.
A unirli è una vera e propria "immaginazione melodrammatica" (per citare la categoria fondata dallo studioso Peter Brooks). In Gravity l'atteggiamento veniva svelato dalla formidabile idea di far fluttuare in assenza di gravità una lacrima, che - nella versione tridimensionale - galleggiava di fronte ai nostri occhi, con evidenti intenti metaforici.

In Roma è difficile resistere alla commovente vicenda della domestica Cleo e del suo talvolta ottuso attaccamento alla famiglia che custodisce.
Roy Menarini

Certo, rispetto ai classici di Douglas Sirk o Delmer Daves, manca la rappresentazione della crudeltà classista che qui, pur evidentemente spiegata a ogni piè sospinto, rischia di essere occultata dall'immedesimazione verso gli sfruttati e la loro generosità. Ma, a parte le letture ideologiche, questo melodramma storico e sociale ha tutte le carte in regola per farsi amare e per ottenere i premi che merita, dopo il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 2018.
C'è, però, qualcosa di più del dato narrativo e della prospettiva storica che il regista messicano adotta (la classica proiezione delle disavventure individuali sullo sfondo politico e degli avvenimenti collettivi). Questo di più è lo stile. Uno stile potente e arioso, fatto di acrobatici e complessi movimenti di macchina, di allusioni ai maestri del cinema messicano del dopoguerra e dei maestri del cinema tout court (con annesse soluzioni felliniane), e un atteggiamento che, prendendo a prestito un anglismo, potremmo definire cinematico.


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In foto una scena del film.
In foto una scena del film.

Questa formalizzazione così ricca, ben lungi dall'essere esornativa, è stata discussa per l'apparente paradosso di essere un film della piattaforma Netflix, e quindi destinato a una visione domestica improduttiva per apprezzare tale magniloquenza. La prospettiva è abbastanza superata (il pubblico casalingo è ormai ampiamente abituato a consumare opere audiovisive dallo stile complesso a casa propria, talvolta anche adattando al salotto schermi e televisori decisamente ampi), e inoltre la distribuzione in sala, sia pure per pochi giorni, farà contenti i cinefili molto legati al consumo in sala.

Questo stile squisitamente cinematografico e cinefilo di Cuarón è, in fondo, esso stesso il melodramma.
Roy Menarini

In un periodo nel quale i testi audiovisivi si accumulano uno sull'altro, la peak television produce serie in numero incontenibile, i film realizzati specificamente dalle piattaforme hanno una qualità a dir poco altalenante e forme narrativo-stilistiche schizofreniche, Roma si propone come cinema puro.
Il melodramma non è solo sostenuto dalla potenza visiva, ma si esprime nello stile stesso, è il mezzo che lo determina e produce, come del resto è sempre stato fin dalle sue origini teatrali e liriche.
Roma è un film cinefilo perché crede nel cinema e nella sua sopravvivenza dovunque esso si trovi, non importa quale metamorfosi tecnologica cambi (per l'ennesima volta) la storia del cinema. Il fatto che un film di Netflix vinca un festival storico e venga distribuito da una Cineteca (quella di Bologna) la dice lunga sulla coincidenza di rivoluzione digitale e resilienza della cinefilia che stiamo vivendo.


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