writer58
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giovedì 3 gennaio 2019
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paris, poland...
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Ho mandato una recensione su “Cold War” poco prima della mezzanotte del 31, ma deve essere stata inghiottita nel buco nero del Capodanno. Poco male, posso scriverne un'altra dopo aver lasciato sedimentare le mie impressioni per qualche giorno in più, anche se il film sembra opporre resistenza a una disamina “fredda” lasciandomi quelle sensazioni proprie di una grande opera, una miscela di emozioni, condivisione, ammirazione e speranza.
L'ultimo lavoro di Pawlikowski è essenzialmente un trattato sulla potenza e l'impossibilità dell'amore, inteso come comunione spirituale e fusione passionale, un'autentica “guerra fredda” tra ragione e pulsioni, tra individualità e desiderio di perdersi, tra fuga e bisogno di unire, di annullare le differenze, di con/fondersi.
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Ho mandato una recensione su “Cold War” poco prima della mezzanotte del 31, ma deve essere stata inghiottita nel buco nero del Capodanno. Poco male, posso scriverne un'altra dopo aver lasciato sedimentare le mie impressioni per qualche giorno in più, anche se il film sembra opporre resistenza a una disamina “fredda” lasciandomi quelle sensazioni proprie di una grande opera, una miscela di emozioni, condivisione, ammirazione e speranza.
L'ultimo lavoro di Pawlikowski è essenzialmente un trattato sulla potenza e l'impossibilità dell'amore, inteso come comunione spirituale e fusione passionale, un'autentica “guerra fredda” tra ragione e pulsioni, tra individualità e desiderio di perdersi, tra fuga e bisogno di unire, di annullare le differenze, di con/fondersi.
Girato in un meraviglioso bianco e nero, più luminoso e profondo del colore, “Cold war” ci porta nella Polonia comunista del 1949. Wiktor dirige la Scuola di Musica di canto popolare, seleziona ballerini e voci del coro che interpreteranno i ritmi folclorici della tradizione. Zula è una giovane donna, dalla forte personalità, in libertà vigilata per l'omicidio del padre che voleva abusare di lei, cantante di talento. Il loro amore è impetuoso, ha la stessa forza di un magnete che attrae a sé gli oggetti nel proprio campo. Ma, allo stesso tempo, è sottoposto a sollecitazioni che rischiano di dissolverlo.
Lo stalinismo pervade l'Est Europeo e arriva a invadere la stessa scuola di musica, che dovrebbe trasformarsi in un'agenzia di propaganda. Wiktor non vuole assecondare l'involuzione, progetta di superare la cortina di ferro e rifugiarsi a Parigi, Zula esita, teme la portata del cambiamento, lascia che Wiktor parta da solo. Quando, anni dopo, si ritrovano a Parigi, la loro passione è ancora intatta, così come le ragioni che li hanno spinti a separarsi. Anche quando lei può risiedere legalmente nella capitale francese, grazie a un matrimonio di facciata, la loro relazione appare contrastata, fragile, alterna momenti appassionati, con litigi, tradimenti, bicchieri di troppo, difficoltà di adattamento, rifiuto di un contesto culturale differente. Zula si concede e si nega, come se la sua passione potesse essere alimentata solo da situazioni estreme: soggiacere al desiderio con tutto il suo essere e subito dopo allontanarsi per cancellare, per ripristinare il “momento zero” dell'amore.
Gli amanti in questo gioco ardono come falene troppo vicine al fuoco, finché Zula decide di rientrare in Polonia, senza lasciare alcuna comunicazione. Wiktor prova a rintracciarla telefonicamente, poi, come lo spettatore ha già intuito, varca clandestinamente la frontiera e torna nel suo paese dopo 10 anni di assenza. In Polonia viene torturato e condannato a 15 anni di carcere, ridotti a un terzo grazie all'intercessione di Zula. Gli amanti sono di nuovo insieme a fissare la campagna polacca, forse contenti per essere sopravvissuti alla follia della cortina di ferro, forse maledicendo in cuor loro il momento in cui si sono conosciuti e la rovina che sono riusciti ad attirare su di loro.
“Cold war” è un film girato in modo magnifico, con scene che rimangono incise nell'immaginario dello spettatore, come quella della sala colma di persone viste attraverso lo specchio, con i protagonisti in primo piano e gli altri progressivamente sfocati oppure gli andirivieni di Wiktor e Zula per le strade di Parigi, inquadrature così nitide che sembrano girate mediante una macchina del tempo. Una storia narrata in modo magistrale, senza tempi morti, con una scansione temporale rapida che compendia 15 anni in un'ora e mezza di filmato.
Un magnifico film, a mio giudizio il migliore dell'anno che si è appena concluso.
W.
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vanessa zarastro
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sabato 22 dicembre 2018
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nec sine te, nec tecum vivere possum
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Una storia d’amore così non la vedevo al cinema dai tempi di “Jules e Jimes” del 1962! Così l’incipit del film di Truffaut: «M'hai detto: ti amo. Ti dissi: aspetta. Stavo per dirti: eccomi. Tu m'hai detto: vattene».
“Cold war”, girato in un magnifico bianco e nero in formato 4:3, narra le vicende del tormentato rapporto d’amore tra Wiktor e Zula durante l’arco di quindici anni, dal 1949 al 1964, tra la natia Polonia, la Berlino divisa, la Jugoslavia e la Parigi bohémienne. Gli ostacoli sono dovuti sia alla situazione politica che fa da sfondo alla vicenda, sia alla differenza caratteriale insita tra i due protagonisti.
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Una storia d’amore così non la vedevo al cinema dai tempi di “Jules e Jimes” del 1962! Così l’incipit del film di Truffaut: «M'hai detto: ti amo. Ti dissi: aspetta. Stavo per dirti: eccomi. Tu m'hai detto: vattene».
“Cold war”, girato in un magnifico bianco e nero in formato 4:3, narra le vicende del tormentato rapporto d’amore tra Wiktor e Zula durante l’arco di quindici anni, dal 1949 al 1964, tra la natia Polonia, la Berlino divisa, la Jugoslavia e la Parigi bohémienne. Gli ostacoli sono dovuti sia alla situazione politica che fa da sfondo alla vicenda, sia alla differenza caratteriale insita tra i due protagonisti.
Siamo in Polonia sulle macerie del dopoguerra. Varsavia è distrutta e Lodz funge da capitale de facto. C’è la speranza di una ripresa nella pace, e Wiktor e Irena, direttori della Scuola di Musica di canto popolare - che poi diventa il famoso gruppo Mazowsze, - reclutano giovani cantanti e ballerini. Tra i debuttanti la giovane e determinata Zula, in libertà vigilata perché accusata di aver ucciso il padre. All’audizione preliminare viene subito notata da Wiktor che ne ha intuito il grande talento.
All’inizio il rapporto tra loro è quello classico di formazione musicale tra maestro e allieva, lui la sprona e lei apprende velocemente, ma ben presto si trasforma in una vera e propria storia. Fanno l’amore di nascosto dagli altri, rubando momenti di piacere con piccole fughe nei campi.
Nel frattempo, la situazione politica cambia, lo stalinismo si consolida sempre più, e anche Kaczmarek, il Direttore amministrativo della Scuola, intende variare il repertorio musicale facendolo diventare di propaganda per regime. Inoltre, diventato sospettoso, incarica Zula di spiare il maestro.
Wiktor è in disaccordo con il nuovo trend dato alla scuola musicale, e se ne vuole andare via, sente che in Occidente le sue capacità saranno apprezzate: è un ottimo pianista, un bravo compositore oltre a essere direttore d’orchestra ed è speranzoso di avere un futuro. Cerca di convincere anche lei che è un po’ intimorita da una scelta così rischiosa – «e io che potrò fare…non parlo neanche francese» gli dice piena di dubbi – e, in una trasferta a Berlino Est, lui la attenderà invano per ore, prima di passare a Berlino Ovest. Tra una dissolvenza in nero e un’altra, tra un tipo di musica e un altro, il regista fa perdere e rincontrare più volte i due protagonisti.
Qualche anno dopo Wiktor si trova a Parigi dove suona in un jazz club (probabilmente il famoso Blue note), incide musica, vive con una poetessa francese, e si è perfettamente integrato nella vita bohémienne dell’epoca. Ma lei è sempre “l’amore della vita”.
Complice una tournée del gruppo musicale polacco, i due si rincontrano e, un paio di anni dopo lei arriverà liberamente a Parigi avendo sposato un ricco commerciante siciliano. «L’ho fatto per noi» afferma.
Così, nella seconda parte, inizierà la vita insieme a Parigi tra musica, dischi, feste e party dove, purtroppo, si perderà la magia. Lei non riesce mai a trovare una giusta misura: beve troppo, si ubriaca balla sui tavoli, finisce a letto anche con Michel, l’amico produttore di Wiktor, e non riesce a essere felice, nonostante il successo. Non sembra amare il jazz cui Wiktor ha aderito, né la letteratura francese, di cui non capisce le metafore. Alcuni critici cinematografici hanno paragonata Zula a Zelda, moglie inquieta e musa di Francis Scott Fitzgerald.
Dopo un contrasto tra i due lei sparisce e rientra a Varsavia. Wiktor è disperato, cerca di ritornare alla sua musica e alla sua vita di sempre, ma non ce la fa a vivere senza di lei. Decide pertanto di tornare a Varsavia a tutti i costi; infatti, sarà arrestato, torturato - gli spezzano due dita della mano – e condannato a quindici anni di prigione. Zula arriva a salvarlo e con i suoi intrighi politici riuscirà a farlo uscire.
Siamo ormai negli anni ’60 e in Polonia si ascolta anche la musica di Adriano Celentano. Si chiude la vicenda in una chiesa diroccata di campagna, dove i due amanti si promettono eterno amore. Poi mano nella mano si siedono in un punto del bosco con una bella vista in attesa… “Né con te né senza di te” diceva l’epitaffio di “La signora della porta accanto” di Françoise Truffaut del 1981.
Pawel Pawlikowski, già vincitore di un Oscar con “Ida” nel 2013, dedica questo film ai suoi genitori, che si chiamavano appunto Wiktor e Zula e sono stati protagonisti di un amore travagliato e così afferma: «Erano entrambi due persone forti e meravigliose, ma come coppia un infinito disastro». “Cold war” presenta una fotografia strepitosa e un’ottima colonna sonora che fa da protagonista, unisce e disunisce gli animi: dalla musica classica a quelle folkloristica, dalle canzonette leggere sotto il regime al trasgressivo be bop.
Il film è stato premiato come miglior regia all’ultimo Festival di Cannes e rappresenta la Polonia agli Oscar 2019.
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michelecamero
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sabato 22 dicembre 2018
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storia d'amore potente e fascinosa.
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Film polacco girato in bianco e nero con sequenza a schermo quadrato quasi a voler definire con certezza la narrazione scenica e, chissà, forse anche con intenti esclusivi, nel senso di escludere dallo schermo ogni orpello che si rivelasse estraneo alla vicenda di cui si stava occupando l’opera d’arte. E’ completamente incentrato sul racconto di una grande e potente storia d’amore nata nella Polonia del dopoguerra in un’epoca in cui si gettavano le basi per la Polonia comunista con la conseguente omologazione socio - politico – culturale di quel Paese. Una storia d’amore fortissima nonostante i tanti contrasti che incontra lungo tutto il suo percorso, disseminati dalle problematiche della guerra fredda ma anche dalle difficoltà psico - caratteriali dei due protagonisti, compresa la incapacità della donna di adattarsi alle “metafore” ed allo stile di vita occidentale al punto da fuggire Parigi per tornarsene a Varsavia, percorso che rifarà, per non perderla ancora una volta, l’uomo che affronterà tuttavia conseguenze ben più dolorose per questo suo ritorno in Patria.
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Film polacco girato in bianco e nero con sequenza a schermo quadrato quasi a voler definire con certezza la narrazione scenica e, chissà, forse anche con intenti esclusivi, nel senso di escludere dallo schermo ogni orpello che si rivelasse estraneo alla vicenda di cui si stava occupando l’opera d’arte. E’ completamente incentrato sul racconto di una grande e potente storia d’amore nata nella Polonia del dopoguerra in un’epoca in cui si gettavano le basi per la Polonia comunista con la conseguente omologazione socio - politico – culturale di quel Paese. Una storia d’amore fortissima nonostante i tanti contrasti che incontra lungo tutto il suo percorso, disseminati dalle problematiche della guerra fredda ma anche dalle difficoltà psico - caratteriali dei due protagonisti, compresa la incapacità della donna di adattarsi alle “metafore” ed allo stile di vita occidentale al punto da fuggire Parigi per tornarsene a Varsavia, percorso che rifarà, per non perderla ancora una volta, l’uomo che affronterà tuttavia conseguenze ben più dolorose per questo suo ritorno in Patria. L’amore che lega questi due personaggi, lui musicista raffinato che attraversa varie scelte musicali con un evidente trasporto verso il jazz, lei divenuta, nel difficile dopoguerra, cantante – ballerina di regime, bella, sensuale, dotata di grande sex appeal, ma anche di una personalità energica, inarrestabile, è comunque più solido di ogni ostacolo. Entrambi infatti rinunceranno a sé stessi in nome di questo loro sentimento solidissimo e coerente al punto da donargli la vita per restarvi reciprocamente fedeli ed eternamente insieme. Scorrendo i titoli di coda rivedevo (riascoltando in memoria la bellissima musica che vi faceva da leitmotiv) scene e storia di Innamorarsi con De Niro e Meryl Streep, indimenticato film di oltre trenta anni fa che ci raccontava una storia di amore potente e contrastato dagli eventi per certi versi simile, ma meno difficile e complicato. Nonostante qualche lentezza ed una tecnica cinematografica probabilmente volutamente primitiva, anche questo film, che eviterei di definire un melò, resta un bel racconto in una sua atmosferaquasi epica.
micam
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[+] una storia d'amore, travagliata e sofferta
(di antonio montefalcone)
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kimkiduk
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venerdì 28 dicembre 2018
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grandissima regia
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Film affascinante per mille motivi; capisci perchè premiato a Cannes e come film europeo e candidato agli Oscar.
Regia mostruosa per me, con riprese bellissime nella scelta, ormai consueta, del regista, anche Ida era così, di un bianco e nero pieno di colori e un formato quadrato (penso sia un 4:3) che sembra come un 16:9 tanto non lo noti.
Pawlikowski inoltre riempie il film di momenti scenografici fantastici: Bateau mouche con passaggio davanti Notre Dame con loro abbracciati tipo Titanic; oppure quando sono appoggiati ad un enorme vetro riflettente la sala piena con loro in evidenza ed il retro sfuocato; e tante altre perle che per un profano come me risultano bellissime.
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Film affascinante per mille motivi; capisci perchè premiato a Cannes e come film europeo e candidato agli Oscar.
Regia mostruosa per me, con riprese bellissime nella scelta, ormai consueta, del regista, anche Ida era così, di un bianco e nero pieno di colori e un formato quadrato (penso sia un 4:3) che sembra come un 16:9 tanto non lo noti.
Pawlikowski inoltre riempie il film di momenti scenografici fantastici: Bateau mouche con passaggio davanti Notre Dame con loro abbracciati tipo Titanic; oppure quando sono appoggiati ad un enorme vetro riflettente la sala piena con loro in evidenza ed il retro sfuocato; e tante altre perle che per un profano come me risultano bellissime.
Inoltre ho trovato riferimenti Bardottiani riguardo la splendida protagonista davvero bravissima, che a volte mi ha ricordato la BB in La Verità di Clouzot, nella sua follia amorosa, nella sua gelosia a volte inspiegabile, nella sua forza di donna-femmina combattente in fin dei conti perdente, ma sempre amata ed impossibile da amare ed avere completamente.
Personaggio descritto in modo meraviglioso in una realtà fredda e pesante come Cold War forse vuole dire.
Film bellissimo, regia di livello assoluto, sceneggiatura e scenografia eccelsa. Le poche pecche narrative descritte marginalmente e sicuramente volutamente, non stonano, si capisce che non è la Polonia e il comunismo o la fuga o il ritorno il problema, ma l'amore e la storia d'amore centrale.
Finale che può apparire freddo e strano (appena uscito dalla sala i commenti erano su questo) ma a me piaciuto tantissimo e perfettamente in linea con il film e forse in linea anche con La Verità di Clouzot chissà.
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freerider
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giovedì 27 dicembre 2018
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cinema autoriale europeo al suo massimo splendore
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Magnifico film, va detto senza indugio, "Cold War" è esemplare testimonianza di un cinema d'autore di matrice europea che rinasce dalle sue radici culturali più profonde per rilanciare un progetto espressivo di notevole spessore, complessità e impegno.
Uno degli elementi di pregio che più unanimemente gli sono stati riconosciuti consiste nell'eleganza della composizione formale, ma vale la pena spingersi oltre il mero riconoscimento dell'appagamento visivo che se ne ricava, perchè la finezza del bianco e nero di "Cold War" non risulta mai inerte o fine a se' stessa né l'assetto dell'inquadratura è mai puramente decorativo, ciò di cui facciamo esperienza con gli occhi - ma non solo - è invece un'estetica assai raffinata ma non priva di crepe vitali, la ricercatezza dell'immagine non è soltanto esteriore, è sempre animata dall'interno e resa viva dal significato insito nella scena stessa.
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Magnifico film, va detto senza indugio, "Cold War" è esemplare testimonianza di un cinema d'autore di matrice europea che rinasce dalle sue radici culturali più profonde per rilanciare un progetto espressivo di notevole spessore, complessità e impegno.
Uno degli elementi di pregio che più unanimemente gli sono stati riconosciuti consiste nell'eleganza della composizione formale, ma vale la pena spingersi oltre il mero riconoscimento dell'appagamento visivo che se ne ricava, perchè la finezza del bianco e nero di "Cold War" non risulta mai inerte o fine a se' stessa né l'assetto dell'inquadratura è mai puramente decorativo, ciò di cui facciamo esperienza con gli occhi - ma non solo - è invece un'estetica assai raffinata ma non priva di crepe vitali, la ricercatezza dell'immagine non è soltanto esteriore, è sempre animata dall'interno e resa viva dal significato insito nella scena stessa. Uno stile, insomma, quello di Pawel Pawlikowski, che sa distinguere tra classe e perfezione e sa tenere la prima al riparo dagli effetti spesso soffocanti e mortiferi della seconda.
Se può avere senso il paragone con un film giunto nelle sale quasi contemporaneamente e che come "Cold War" concorre al premio Oscar 2019 come miglior film straniero, e cioè "Roma" di Alfonso Cuaron, ecco che - almeno secondo l'opinione di chi scrive - risulta più immediato esemplificare la differenza. Da un lato abbiamo infatti il progetto di gradevolezza formale del regista messicano, perseguito principalmente sulla base di un'idea di "pulizia" dell'immagine a cui corrisponde coerentemente la scelta cromatica del bianco e nero; l'ammaliante risultato è ottenuto anche grazie ai più avanzati mezzi tecnici a disposizione ma, in verità, senza una rielaborazione sostanziale degli elementi in gioco (l'estetica è spettacolare ma non nuova né particolarmente personale), la qual cosa cela in realtà una certa inerzia emotiva del film, come una veste elegante su un corpo immobile, un tributo sincero e curato ma statico. Dall'altro lato invece abbiamo il regista polacco che ci guida attraverso un periglioso viaggio ricco di connotazioni culturali, politiche ed esistenziali in cui le sequenze scorrono vivide, piene, luminose anche quando mostrano la miseria del popolo, esse sono espressione diretta delle tensioni emotive che innervano il film: l'amore, l'anelito di libertà, la frustrazione, la passione per la musica. Potrebbe bastare, come ulteriore prova di autenticità della sua posizione autoriale, il peso specifico e il complesso lavoro di regia che Pawel Pawlikowski ha riservato alle scene dei balli e dei canti tradizionali polacchi o alle esibizioni jazz parigine: l'attenzione con cui sono ritratti volti, espressioni, movimenti, finanche costumi tradizionali o outfit d'epoca e i decisi stacchi di macchina con cui coglie il flusso vitale dell'insieme producono momenti di un lirismo che può colpire profondamente.
Se aggiungiamo il fatto che la storia dell'amore tormentato tra Wictor e Zula si giova dell'intesa di due attori che mostrano grande personalità sulla scena e chimica tra loro, formando così una coppia affascinante e credibile, e che insieme al loro destino ritroviamo anche quello della Polonia, paese dal passato sventurato, caduto a metà del secolo scorso dalla padella nazista nella brace filosovietica, in un affresco restituito senza toni enfatici o moralistici ma con equilibrio tra opportuno distacco storico e profondo rispetto per le vicende dolorose di un popolo fiero, ecco che "Cold War" si distingue senza ombra di dubbio come opera di primissimo ordine e notevole portato.
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nino pellino
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sabato 29 dicembre 2018
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un amore difficile ai tempi della guerra fredda
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Ottimo film per quanto riguarda l'aspetto della regia e dell'eccellente stile in bianco e nero della pellicola. La trama ci descrive la storia di due perenni innamorati il cui amore è costantemente ostacolato dalle barriere ideologiche e politiche della loro epoca e soprattutto dalla volontà di lei di non abbandonare la propria notorietà artistica per fare posto, con determinazione, ad un grande amore assoluto, ma con il rischio di essere vissuto probabilmente senza vere sicurezze future e in povertà. Comunque, dopo tante peripezie e indecisioni succedute nel corso degli anni con relativi spostamenti da una nazione all'altra, quando finalmente i due amanti decidono di abbandonare le loro separate vite artistiche per realizzare il loro sogno d'amore, sposandosi clandestinamente in una chiesetta dle loro paese di origine, si accorgono che comunque, anche in quest'ultima circostanza, le loro vite denotano dei vuoti realizzativi, per cui prenderanno, in comune accordo, la loro decisione estrema.
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Ottimo film per quanto riguarda l'aspetto della regia e dell'eccellente stile in bianco e nero della pellicola. La trama ci descrive la storia di due perenni innamorati il cui amore è costantemente ostacolato dalle barriere ideologiche e politiche della loro epoca e soprattutto dalla volontà di lei di non abbandonare la propria notorietà artistica per fare posto, con determinazione, ad un grande amore assoluto, ma con il rischio di essere vissuto probabilmente senza vere sicurezze future e in povertà. Comunque, dopo tante peripezie e indecisioni succedute nel corso degli anni con relativi spostamenti da una nazione all'altra, quando finalmente i due amanti decidono di abbandonare le loro separate vite artistiche per realizzare il loro sogno d'amore, sposandosi clandestinamente in una chiesetta dle loro paese di origine, si accorgono che comunque, anche in quest'ultima circostanza, le loro vite denotano dei vuoti realizzativi, per cui prenderanno, in comune accordo, la loro decisione estrema. Pellicola diretta in maniera magistrale sia per il livello interpretativo, sia per le musiche e soprattutto sia per la fotografia. Ma tutto sommato il definire questa pellicola un film dal grande spessore romantico alla fine mi lascia perplesso dal momento in cui entrambi i protagonisti, hanno sempre tendenzialmente anteposto le loro vite artistiche al loro sogno d'amore, incontrandosi sempre clandestinamente e a sprazzi e comunque il famoso detto "felici ma poveri" sembra proprio non addirsi minimamente ad un finale dalle tinte estremamente drammatiche e forse eccessive. Un film che, per carità, non mi sento di dire che mi ha deluso, ma comunque non mi ha totalmente convinto pur nella consapevolezza che la storia è ambientata in un'epoca caratterizzata da ostacoli e barriere di tipo politico e sociale che magari negli anni e nei nostri tempi moderni non esistono più.
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daniela
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giovedì 27 dicembre 2018
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forma e contenuto: bellezza pura
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Quando forma e contenuto non possono essere scisse e diventano una cosa sola - e non capita spesso – allora, solo allora, si crea una magia. La magia della bellezza più pura. Così lo sguardo di Zula che seduce per la prima volta Wictor lo vedi riflesso nello specchio durante una festa e mi riporta alla mente, anche se con l’immagine ribaltata, il bar delle Folies-Bergére di Monet. Ogni inquadratura perfetta ti inchioda all’ascolto di una musica ipnotica e toccante e ti immerge nella bellezza commovente di una Polonia brulla e disadorna, ma che sa diventare luminosa e raggiante. Ecco, quindi, che le scelte stilistiche del regista permeano l’amore senza tempo di Wictor e Zula: lo schermo quattro terzi, la macchina da presa che a tratti assale i personaggi e a tratti li schiaccia di tre quarti nella parte bassa dello schermo, gli stacchi al nero ad ogni passaggio importante della storia.
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Quando forma e contenuto non possono essere scisse e diventano una cosa sola - e non capita spesso – allora, solo allora, si crea una magia. La magia della bellezza più pura. Così lo sguardo di Zula che seduce per la prima volta Wictor lo vedi riflesso nello specchio durante una festa e mi riporta alla mente, anche se con l’immagine ribaltata, il bar delle Folies-Bergére di Monet. Ogni inquadratura perfetta ti inchioda all’ascolto di una musica ipnotica e toccante e ti immerge nella bellezza commovente di una Polonia brulla e disadorna, ma che sa diventare luminosa e raggiante. Ecco, quindi, che le scelte stilistiche del regista permeano l’amore senza tempo di Wictor e Zula: lo schermo quattro terzi, la macchina da presa che a tratti assale i personaggi e a tratti li schiaccia di tre quarti nella parte bassa dello schermo, gli stacchi al nero ad ogni passaggio importante della storia. È particolare, poi, che, come nel film “Ida”, il regista scelga nuovamente lo sfondo storico della Polonia dal dopoguerra in avanti, descrivendo un momento preciso: quello in cui l’ideologia si impadronisce dei miti popolari e li mistifica dandogli un nuovo significato e facendogli perdere il loro senso profondo. Nel rotolare degli anni trovi sempre la musica, i canti struggenti della Polonia rurale, il jazz dei fumosi locali parigini, il rock del ballo sfrenato di Zula, addirittura la musica italiana, che si accavallano in sequenza cronologica avanzando con la storia. Gli attori, poi, ci regalano pura emozione, fanno all’amore con la macchina da presa e ci fanno percepire come a volte non solo i momenti socio-politici possono limitare la realizzazione dei sogni, ma anche i nostri blocchi interiori non ci consentono di essere noi stessi o meglio di diventare noi stessi. Zula è una creatura meravigliosa, seduttiva, animalesca. Potrebbe essere ciò che vuole, ma non sa cosa vuole essere e questo sembra riecheggiare il personaggio dalla stessa straordinaria attrice, Joanna Kulig, in “Ida”, che costretta dalla madre superiora a incontrare il mondo esterno diventa consapevole della sua scelta religiosa. Zula, invece, vede il mondo fuori dalla Polonia, ma non ne farà mai parte, non si sentirà mai parte. Wictor, un affascinante Tomasz Kot, ama la musica, è musica, sceglie di andare in Occidente per sentirsi ancora più intriso di arte. Ama immensamente Zula e alla fine è disposto a rinunciare alla sua arte per lei. Tutti gli elementi si incastrano e ci fanno sentire proiettati in un’altra dimensione di struggente malinconia, che mi richiama alla mente la poesia dei film del maestro Kieslowski. Diversi i temi, il mondo raccontato, lo stile; ma, a volte, le assonanze non sono date anche dalle discordanze?
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jackbeauregard
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giovedì 3 gennaio 2019
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esteticamente molto bello
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Cold War è un film esteticamente molto bello. Bianco e nero contrastato, grande cura delle inquadrature, dei veri e propri quadri d'autore. Il formato è sempre un 4:3 come in Ida, ma in Cold War ci sono molto più movimenti di macchina, mentre Ida era costruito quasi interamente da inquadrature fisse con i personaggi che si muovevano all'interno di ogni quadro. Grande regia e fotografia.
Detto questo, devo ammettere che sono rimasto un po' deluso, come solitamente capita quando si hanno aspettative troppo alte.
C'è un certo squilibrio tra la prima parte, in Polonia, molto curata, ma forse eccessivamente lunga e la seconda, principalmente ambientata a Parigi.
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Cold War è un film esteticamente molto bello. Bianco e nero contrastato, grande cura delle inquadrature, dei veri e propri quadri d'autore. Il formato è sempre un 4:3 come in Ida, ma in Cold War ci sono molto più movimenti di macchina, mentre Ida era costruito quasi interamente da inquadrature fisse con i personaggi che si muovevano all'interno di ogni quadro. Grande regia e fotografia.
Detto questo, devo ammettere che sono rimasto un po' deluso, come solitamente capita quando si hanno aspettative troppo alte.
C'è un certo squilibrio tra la prima parte, in Polonia, molto curata, ma forse eccessivamente lunga e la seconda, principalmente ambientata a Parigi. Il finale poi è un po' troppo sbrigativo. Le ellissi temporali coprono periodi piuttosto lunghi e danno forse troppe cose per scontate. Ci sarebbe stata la necessità di tempi un po' più dilatati, a mio avviso.
Gli interpreti sono tutti bravi con un rilievo maggiore per la protagonista, sempre molto intensa, specialmente nelle scene canore e in quelle sentimentali. Bellissima nei tanti primi piani.
È un film che vale, ma per quanto mi riguarda, non raggiunge la vetta di indagine introspettiva di Ida. Anche qui l'attenzione è rivolta principalmente al personaggio femminile, ma il risultato è meno riuscito. Ne esce una figura di donna non completamente definita, dai sentimenti e comportamenti spesso ondivaghi che non trovano sempre una convincente giustificazione nel proseguo della storia. Forse si dovevano limitare o evitare alcuni elementi narrativi poco sviluppati, specialmente nella parte francese, la più sfilacciata.
Raccontare in soli 85 minuti, ben 15 anni di vicissitudini, dal 49 al 64, nonostante il ricorso ad ampi salti temporali, rischia di diventare un'impresa eccessiva.
Resta comunque un film da vedere, se non altro per questo grande gusto cinematografico, così classico, mostrato da Palinowski.
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(di giuliana)
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camillalavazza
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venerdì 4 gennaio 2019
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musica e vita
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È la donna della mia vita” ripete più volte il musicista Wiktor nel corso del film. Ma di questa donna, Zula, interpretata dalla magnetica Joanna Kulig, che attrae qualsiasi sguardo, sia che il regista la collochi al centro sia che la spinga ai bordi dell’inquadratura, sappiamo fin dall’inizio – e lo sa anche Wiktor - che ha subito un danno. Ce lo fa sapere lei stessa con una battuta folgorante nella prima parte del film, tra un vocalizzo e l’altro, e ce lo dimostra durante lo scorrere della storia, in cui i personaggi si amano e si perdono, si ritrovano, anche dopo lunghi intervalli di separazione, trasformati dalle diverse esperienze eppure intimamente identici, si fanno del male come se ferirsi e lasciarsi fosse solo un’altra dimostrazione d’amore (“L’ho fatto per te” dice, ad un certo punto lei, quando lui le domanda perché si sia sposata con altro).
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È la donna della mia vita” ripete più volte il musicista Wiktor nel corso del film. Ma di questa donna, Zula, interpretata dalla magnetica Joanna Kulig, che attrae qualsiasi sguardo, sia che il regista la collochi al centro sia che la spinga ai bordi dell’inquadratura, sappiamo fin dall’inizio – e lo sa anche Wiktor - che ha subito un danno. Ce lo fa sapere lei stessa con una battuta folgorante nella prima parte del film, tra un vocalizzo e l’altro, e ce lo dimostra durante lo scorrere della storia, in cui i personaggi si amano e si perdono, si ritrovano, anche dopo lunghi intervalli di separazione, trasformati dalle diverse esperienze eppure intimamente identici, si fanno del male come se ferirsi e lasciarsi fosse solo un’altra dimostrazione d’amore (“L’ho fatto per te” dice, ad un certo punto lei, quando lui le domanda perché si sia sposata con altro).
Davanti, dietro, tutto intorno c’è la musica, che li accompagna adattandosi alla loro evoluzione, dalle iniziali registrazioni etnomusicologiche con cui si apre il film (ed è chiaro quanto sarà in errore chi accuserà Wiktor di non amare la Polonia) agli inni in onore di Stalin a cui il musicista si piega, stravolgendo il suo repertorio, pur di rimanere accanto a quella donna di cui si è innamorato a prima vista, alla musica jazz con cui si mantiene a Parigi, dove sarà invece lei ad accettare di snaturare la canzone che narra del loro destino.
Musica sempre giustificata e posizionata al punto giusto, capace anche di tacere per lasciare spazio al fruscio delle chiome degli alberi, in grado come non mai di riflettere il non detto dei personaggi che paiono sempre trascinati via dalle circostanze, contro la loro volontà, quando in verità sono le loro scelte che li portano continuamente a separarsi e ritrovarsi.
Le altre persone che li circondano sono sfumate, in alcuni casi solo citate e nemmeno mostrate, niente altro che ostacoli o strumenti nel vortice del loro amore che li pone al centro dell’universo e del tempo.
Paweł Pawlikowski filma la sua protagonista con sguardo ammaliato dalla sua bellezza e dalla sua bravura, fa onore ad una creatura viva, forte ed insicura al tempo stesso, indipendente e fragile, spiazzante ed irresistibile; riesce perfino a farne intuire la presenza dal solo sguardo di lui che ci fissa, facendoci presentire la sua figura riflessa in uno specchio, quasi invisibile in una folla festante.
Una figura femminile che pare guidare l’intera vicenda (una femme fatale viene definita ad un certo punto, ma con ironia) una ragazza dalla spontaneità seducente che tuttavia ha bisogno dell’aiuto dell’alcool per lasciarsi andare.
L’ambientazione negli anni della “Guerra fredda”, girata in un sofisticato bianco e nero e con un formato quadrato che non permette allo sguardo di distrarsi, sembra quasi suggerire che questi amori complessi non possano trovare spazio nella contemporaneità, ma basta lo sguardo di lei (e qui l’interpretazione della Kulig si fa struggente) che mentre si esibisce sul palco all’improvviso nota lui, inaspettato tra il pubblico, per farci immedesimare in un sentimento sempre attuale ed autentico.
È troppo semplicistico tracciare un parallelismo tra la Guerra Fredda che fa da cornice alla vicenda e la lotta di volontà che si consuma tra i protagonisti, tra la necessità di stare insieme ed il timore di non essere all’altezza l’uno dell’altra (ben diverso da un indefinito bisogno di “libertà”). Pawlikowski in soli 85 minuti ci racconta due intere esistenze ed una storia d’amore che non ha bisogno di aggettivi.
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felicity
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lunedì 30 marzo 2020
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per un pubblico cinefilo
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Cold War mantiene quasi sempre lo stesso tono, ma ogni tanto si accende come avviene nella parte iniziale che appare più riuscita.
Il film appare però impenetrabile: ci sono delle ombre kafkiane, dove Parigi diventa claustrofobica, ma in cui vengono lasciati tutti i segni di una ricostruzione che formano quadri esemplari come quello del coro sullo sfondo dell’immagine di Stalin.
Un film imploso, forse per segnare metaforicamente tutta la persistente oppressione.
Girato con eleganza impeccabile, in formato 4:3, splendidamente fotografato in un bianco e nero ora denso e lattiginoso, ora in grado di sovrimprimere un senso di graficità ai paesaggi e alle persone, Cold War è un film indirizzato prevalentemente a sedurre un pubblico cinefilo sempre alla spasmodica ricerca di un nuovo “classico” da celebrare.
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Cold War mantiene quasi sempre lo stesso tono, ma ogni tanto si accende come avviene nella parte iniziale che appare più riuscita.
Il film appare però impenetrabile: ci sono delle ombre kafkiane, dove Parigi diventa claustrofobica, ma in cui vengono lasciati tutti i segni di una ricostruzione che formano quadri esemplari come quello del coro sullo sfondo dell’immagine di Stalin.
Un film imploso, forse per segnare metaforicamente tutta la persistente oppressione.
Girato con eleganza impeccabile, in formato 4:3, splendidamente fotografato in un bianco e nero ora denso e lattiginoso, ora in grado di sovrimprimere un senso di graficità ai paesaggi e alle persone, Cold War è un film indirizzato prevalentemente a sedurre un pubblico cinefilo sempre alla spasmodica ricerca di un nuovo “classico” da celebrare.
Si registra però qualche squilibrio, tra la parte iniziale, così sorprendente e tutta incentrata sulla ricerca musicale e sulla sua, inevitabile, rielaborazione e una seconda parte che ha inizio proprio con l’attraversamento del confine tra le due Germanie.
Da lì in poi, l’amour fou tra i due protagonisti prevale, con il perpetuo ritrovarsi, non sempre convincente, dei due amanti.
Cold War finisce per annacquare la forza prorompente delle idee che lo governano per scivolare verso una sorta di Giulietta e Romeo ai tempi della cortina di ferro.
Mentre inoltre nella prima parte del film sembra prevalere un afflato sincero di ricerca e divulgazione di una tradizione popolare, con l’emergere insistente della love story quel che viene a disvelarsi è proprio l’intero meccanismo che accompagna il film come operazione a tavolino: la rielaborazione di un immaginario perduto, fatta un po’ con il cuore, un po’ con la memoria, molto di certo con l’ambizione di dar vita sul grande schermo a un nuovo, e forse impossibile, classico senza tempo.
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