Cold War

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Forma e contenuto: bellezza pura

di Daniela


Feedback: 10 | altri commenti e recensioni di Daniela
giovedì 27 dicembre 2018

Quando forma e contenuto non possono essere scisse e diventano una cosa sola - e non capita spesso – allora, solo allora, si crea una magia. La magia della bellezza più pura. Così lo sguardo di Zula che seduce per la prima volta Wictor lo vedi riflesso nello specchio durante una festa e mi riporta alla mente, anche se con l’immagine ribaltata, il bar delle Folies-Bergére di Monet. Ogni inquadratura perfetta ti inchioda all’ascolto di una musica ipnotica e toccante e ti immerge nella bellezza commovente di una Polonia brulla e disadorna, ma che sa diventare luminosa e raggiante.
Ecco, quindi, che le scelte stilistiche del regista permeano l’amore senza tempo di Wictor e Zula: lo schermo quattro terzi, la macchina da presa che a tratti assale i personaggi e a tratti li schiaccia di tre quarti nella parte bassa dello schermo, gli stacchi al nero ad ogni passaggio importante della storia.
È particolare, poi, che, come nel film “Ida”, il regista scelga nuovamente lo sfondo storico della Polonia dal dopoguerra in avanti, descrivendo un momento preciso: quello in cui l’ideologia si impadronisce dei miti popolari e li mistifica dandogli un nuovo significato e facendogli perdere il loro senso profondo.
Nel rotolare degli anni trovi sempre la musica, i canti struggenti della Polonia rurale, il jazz dei fumosi locali parigini, il rock del ballo sfrenato di Zula, addirittura la musica italiana, che si accavallano in sequenza cronologica avanzando con la storia.
Gli attori, poi, ci regalano pura emozione, fanno all’amore con la macchina da presa e ci fanno percepire come a volte non solo i momenti socio-politici possono limitare la realizzazione dei sogni, ma anche i nostri blocchi interiori non ci consentono di essere noi stessi o meglio di diventare noi stessi.
Zula è una creatura meravigliosa, seduttiva, animalesca. Potrebbe essere ciò che vuole, ma non sa cosa vuole essere e questo sembra riecheggiare il personaggio dalla stessa straordinaria attrice, Joanna Kulig, in “Ida”, che costretta dalla madre superiora a incontrare il mondo esterno diventa consapevole della sua scelta religiosa. Zula, invece, vede il mondo fuori dalla Polonia, ma non ne farà mai parte, non si sentirà mai parte.
Wictor, un affascinante Tomasz Kot, ama la musica, è musica, sceglie di andare in Occidente per sentirsi ancora più intriso di arte. Ama immensamente Zula e alla fine è disposto a rinunciare alla sua arte per lei.
Tutti gli elementi si incastrano e ci fanno sentire proiettati in un’altra dimensione di struggente malinconia, che mi richiama alla mente la poesia dei film del maestro Kieslowski.
Diversi i temi, il mondo raccontato, lo stile; ma, a volte, le assonanze non sono date anche dalle discordanze?

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