La tempistica è il tema portante del film che Spielberg ha pensato e diretto come una sorta di instant movie all'indomani delle elezioni USA. Dal 1° febbraio al cinema.
di Paola Casella
Caratteristica precipua di The Post è la tempistica, circostanza e tema portante del film diretto da Steven Spielberg. The Post è infatti una sorta di instant movie, deciso e diretto in velocità da Spielberg all'indomani delle elezioni che hanno portato alla presidenza degli Stati Uniti quel Donald Trump che, nelle parole di Meryl Streep, "mostra ogni giorno ostilità nei confronti della stampa e delle donne". Streep e Tom Hanks sono saltati su quel treno in corsa, accantonando ogni impegno precedente per prestare il volto rispettivamente a Katharine Graham, editrice del Washington Post, e Ben Bradlee, direttore del quotidiano.
Time's Up, ovvero "il tempo è scaduto" (che sottintende "è ora di cambiare"), è anche il nome del fondo legale istituito, fra gli altri, da Meryl Streep e Steven Spielberg per finanziare le cause intentate da donne che denunciano molestie sessuali sul lavoro e non possono permettersi un costoso avvocato in un Paese in cui la giustizia è spesso subordinata alle possibilità economiche e al potere personale di chi vi si rivolge.
È dunque perfettamente coerente che The Post racconti un momento cruciale destinato a fare epoca, momento in cui la domanda più appropriata, nella celebre lista delle Five W, è stata "when", quando. Quando è il momento di far sentire la propria voce? Quando bisogna tirare la linea, e tenere la schiena dritta? Quando è l'ora di rischiare tutto, affinché non si perda del tutto il diritto di rischiare?
Katharine Graham e la redazione del Washington Post hanno dovuto prendere una decisione vitale - quella di pubblicare o meno i Pentagon Papers - in tempo reale, con davanti due scadenze urgenti: la settimana data agli investitori per ritirarsi di fronte a un evento catastrofico (come avrebbe potuto rivelarsi la pubblicazione dei Papers), e quella ancora più stretta della chiusura serale del giornale, in un'epoca in cui ogni singolo carattere tipografico richiedeva il tempo di essere incasellato in una riga, e poi in un colonnino, e poi in una pagina di giornale. In America esiste il detto "timing is everything": il tempismo è tutto. E di fatto, in politica come nel giornalismo, un'iniziativa presa troppo presto o troppo tardi rischia di risultare inefficace, se non addirittura controproducente.
The Post andava girato in tempo per coincidere con il montare del dissenso (e con la selezione dei candidati agli Oscar), così come i temi che tratta - la libertà di stampa e l'emancipazione femminile - vanno affrontati battendo il ferro finché è caldo, prima che certe pieghe rimangano incise permanentemente nel tessuto sociale.
"Don't walk", intima in The Post un giornalista a un giovane runner con un messaggio da consegnare. Non perdere tempo. Nel film tutti corrono contro il tempo, a cominciare da Ben Bradlee ogni volta che deve comunicare con Katherine Graham, la quale cerca invece di prendersi il tempo per riflettere, e deciderà solo quando sarà arrivato per lei il momento giusto. Perché è di questo che parla The Post: capire qual è il momento giusto per prendere una decisione, e poi rompere gli indugi per fare, di corsa, ciò che va fatto. Ieri come oggi, nell'epoca in cui "il Presidente degli Stati Uniti è pronto a etichettare come fake news tutto ciò che non lo aggrada", come afferma Spielberg, e in cui le donne hanno deciso che lo squilibrio di potere fra uomini e donne va superato, a cominciare da ora. Fermando il tempo solo abbastanza a lungo da creare uno spartiacque per cambiare il corso della Storia.