marce84
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lunedì 23 maggio 2016
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la follia secondo virzi'
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Beatrice Morandini Valdirana e Donatella Morelli sono due donne, ospiti di Villa Biondi, un istituto terapeutico che cerca di recuperare donne sottoposte a un’ordinanza del giudice. Le due, apparentemente molto diverse, riescono a fuggire dall’istituto e a girovagare per la Toscana per un paio di giorni. Le legheranno diverse vicissitudini, ma soprattutto il nascere di un’amicizia, nonostante le loro difficoltà, psicologiche e sociali.
L’ultima opera di Virzì è un film duro, drammatico, che ha come tema principale quello della follia e, in particolare, di quella femminile. Il regista rappresenta questa tematica con grande sensibilità, sottolineando come la maggior parte delle volte, la follia sia quasi una reazione alle brutture e alla meschinità del mondo circostante.
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Beatrice Morandini Valdirana e Donatella Morelli sono due donne, ospiti di Villa Biondi, un istituto terapeutico che cerca di recuperare donne sottoposte a un’ordinanza del giudice. Le due, apparentemente molto diverse, riescono a fuggire dall’istituto e a girovagare per la Toscana per un paio di giorni. Le legheranno diverse vicissitudini, ma soprattutto il nascere di un’amicizia, nonostante le loro difficoltà, psicologiche e sociali.
L’ultima opera di Virzì è un film duro, drammatico, che ha come tema principale quello della follia e, in particolare, di quella femminile. Il regista rappresenta questa tematica con grande sensibilità, sottolineando come la maggior parte delle volte, la follia sia quasi una reazione alle brutture e alla meschinità del mondo circostante. O come scelta obbligata di sopravvivenza da parte delle protagoniste, fragili, sensibili e desiderose di amore. A sottolineare ciò, il regista mette in scena una serie di personaggi, davvero deprecabili, col quale inevitabilmente le due protagoniste si devono relazionare. In particolare, sono i genitori a fare una pessima figura: rappresentati come persone egoiste, che non riescono a capire le esigenze delle figlie e non ci provano nemmeno ad avvicinarsi a loro. Virzì, come suo solito, riesce a rappresentare una storia e una tematica dura, utilizzando toni da commedia e, nonostante il film sia costantemente immerso in una atmosfera di tristezza e di malinconia, le risate suscitate da alcune scene o alcune battute abbondano. Soprattutto grazie al personaggio interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, strepitosa, decisamente sopra le righe, nel personaggio della donna ricco borghese snob e completamente folle, vera trascinatrice del film. Punto di forza del film, oltre all’ottima sceneggiatura, è l’alchimia che si crea con l’altra protagonista: Micaela Ramazzotti, personaggio dolente, malinconico che si integra alla perfezione con Beatrice e con la quale crea una coppia dirompente. Ma a commuovere è soprattutto l’amicizia che nasce tra le due donne, che, nonostante le loro differenze, e soprattutto, le difficoltà psicologiche e sociali che le legano, si danno forza l’un l’altra. Commuove soprattutto lo slancio vitale di Beatrice, snob e distaccata da tutti, ma che si danna anima e corpo per aiutare Donatella. Insomma, Virzì sforna un altro film che coinvolge davvero tanto, perché riesce a far diventare i suoi personaggi molto vicini a noi, come se fossero amici e persone alle quali non si può non voler bene. Questa è la magia che i suoi film riescono a creare.
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robert eroica
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lunedì 23 maggio 2016
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fuga di donne
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Cosa resta della commedia, nel Paese dove hanno perso tutti ? Resta l’esempio di “La pazza gioia” presentato a Cannes in una sezione collaterale ma capace di raccogliere su di sé unanimi consensi di pubblico e critica. Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti: Thelma e Louise (dall’omonimo film di Ridley Scott del 1990) non c’entrano nulla. Le fonti (cinematografiche ma non solo) di Virzì sono altre. Leggiamo i titoli di alcuni dei suoi lavori: “La bella vita”, “Ferie d’agosto”, “Ovosodo”, “Caterina va in città”. Sembrano roba tra Calvino, Bianciardi e il primo Fellini.
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Cosa resta della commedia, nel Paese dove hanno perso tutti ? Resta l’esempio di “La pazza gioia” presentato a Cannes in una sezione collaterale ma capace di raccogliere su di sé unanimi consensi di pubblico e critica. Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti: Thelma e Louise (dall’omonimo film di Ridley Scott del 1990) non c’entrano nulla. Le fonti (cinematografiche ma non solo) di Virzì sono altre. Leggiamo i titoli di alcuni dei suoi lavori: “La bella vita”, “Ferie d’agosto”, “Ovosodo”, “Caterina va in città”. Sembrano roba tra Calvino, Bianciardi e il primo Fellini. Virzì guarda allo stile del cinema italiano degli anni 60 per descrivere le brutture dell’oggi. Descrive l’Italia come la nazione mancata per eccellenza, e lo fa squadernando un tono appropriato ed efficace, tra l’inacidito e il sarcastico, la tragicommedia con la comicità. Non scade mai nel patetico, e non c’è commiserazione. Ma anche quando si ride, si ride amaro. Nel film la Bruni Tedeschi si aggira come una vamp usurata, la donna caduta dal piedistallo sociale, quasi una “Blue Jasmine” di casa nostra, preda di tutti. La Ramazzotti è una ragazza madre fragilissima e abbandonata, che tatua sul proprio corpo le debolezze dell’anima. Sono dichiarate pazze. Dalle sentenze, dalle gabbie sociali, dall’ipocrisia degli altri. Insieme tenteranno una fuga verso l’altrove, un breve tentativo di attingere ad una piccola Utopia, quella di essere persone tra le persone. Durerà il tempo di una brevissima estate, ma resterà indelebile. Non tutto è a fuoco in questo “La pazza gioia”, e la parte centrale soffre di un affastellarsi di impronte di sceneggiatura non tutte pertinenti, ma il ritratto di un mondo alla deriva è potente e non si dimentica facilmente. Come quella ridda di maschi ripugnante e meschina: dall’erotomane all’amante poco di buono, da un marito senza dignità ad un padre che paga la sua assenza con cento euro lasciati sul comodino di un pronto soccorso, da un gestore di discoteca irresponsabile e manesco ad un taxista che “giudica” la vittima ponendosi sullo stesso piano degli aggressori che le stanno estorcendo denaro. Una galleria così “nera” non la si vedeva da noi dai tempi di “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli e “L’ingorgo” di Luigi Comencini. Mentre, dall’altro lato, quello della tenerezza dei lunghi addii, è comunque commovente l’incontro tra la madre mancata e il figlioletto ritrovato, che è tutto tranne che accomodante, ben sapendo la prima, che non lo rivedrà mai più, se non in un futuro ricordo, indotto dalla morfina.
Robert Eroica
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tuko benedicto
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martedì 24 maggio 2016
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canto fuori dal coro: un film non riuscito
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sono due personaggi che si incontrano ed imparano ad amarsi. diversi tra loro che più non si può. una parla tantissimo per tutto il film, e di lei parlano tanto anche molti degli altri personaggi della narrazione, l'altra parla pochissimo per 3/4 del film e poi vuota il sacco nell'ultimo quarto: ma non è molto eloquente perché tutto sommato la sua storia è tragica ma semplice.
Cosa scricchiola: il personaggio della Bruni Tedeschi, prolisso, verboso è quello che ci interessa di più ma che, nonostante le molte parole, non si completa. Il personaggio della Ramazzotti invece non ha molto da dire, certo commuove, ma proprio per questo indagarlo è un terreno paludoso, e si rischia di cadere nello 'strappalacrime', se non si ha qualcosa da dire su certi (tremendi) argomenti.
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sono due personaggi che si incontrano ed imparano ad amarsi. diversi tra loro che più non si può. una parla tantissimo per tutto il film, e di lei parlano tanto anche molti degli altri personaggi della narrazione, l'altra parla pochissimo per 3/4 del film e poi vuota il sacco nell'ultimo quarto: ma non è molto eloquente perché tutto sommato la sua storia è tragica ma semplice.
Cosa scricchiola: il personaggio della Bruni Tedeschi, prolisso, verboso è quello che ci interessa di più ma che, nonostante le molte parole, non si completa. Il personaggio della Ramazzotti invece non ha molto da dire, certo commuove, ma proprio per questo indagarlo è un terreno paludoso, e si rischia di cadere nello 'strappalacrime', se non si ha qualcosa da dire su certi (tremendi) argomenti... forse qui più che altrove vale la celeberrima massima di Wittgenstein: "di ciò che non si sa occorre tacere". La negatività di cui sono investiti i personaggi di contorno (in qualche modo tutti colpevoli) rischia di diventare gratuita se non raccontata; tra tutti il più inquietante forse è il Bobo Rondelli (che si presenta con una performance alla Carmelo Bene di "Cristo 63") che non ha neanche un'ombra di comicità, è solo grevemente truce. Più che dell'accusa a lui mi sarebbe interessata la visione positiva della Bruni Tedeschi, il suo amore per il bel vivere e la sua assoluta non curanza per il danaro, forse la cosa più bella del film. Oltre al corpo bellissimo che ostenta in ogni fotogramma ed alla battuta "chi ha mai trovato la felicità con un tramezzino?" che spero rimpiazzi, come merita, "domani è un altro giorno" tra le frasi famose del cinema. Ciò premesso: ti voglio bene Paolo Virzì!
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carlosantoni
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mercoledì 25 maggio 2016
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thelma e louise sul nido del cuculo
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Grande Virzì! Gran bel film, anche se a volte difficile da seguire perché la realtà che descrive ti prende allo stomaco, specialmente nella prima parte. Sì, credo si possa dire che è lui, Virzì, l’erede più alto della commedia all’italiana, quella in cui si sorride, si ride anche, ma sempre restando con l’amaro in bocca. Il suo film è anche un tributo al cinema in senso lato,ironizza sulla sua funzione sociale ed evidenti sono i riferimenti a “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (di cui riprende la descrizione dell’universo carcerario, ma calato in una realtà sociale e umana molto meno feroce che non nel film di Forman), e del tutto espliciti quelli a “Thelma e Louise” di Scott. La regia appare solida, così come la sceneggiatura, che nella seconda parte del film si apre come un fiore che sboccia coi colori della delicatezza e di una maggiore introspezione, senza mai perdere il contrappunto fra comicità e ironia da una parte, e dolore e tragedia dall’altra.
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Grande Virzì! Gran bel film, anche se a volte difficile da seguire perché la realtà che descrive ti prende allo stomaco, specialmente nella prima parte. Sì, credo si possa dire che è lui, Virzì, l’erede più alto della commedia all’italiana, quella in cui si sorride, si ride anche, ma sempre restando con l’amaro in bocca. Il suo film è anche un tributo al cinema in senso lato,ironizza sulla sua funzione sociale ed evidenti sono i riferimenti a “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (di cui riprende la descrizione dell’universo carcerario, ma calato in una realtà sociale e umana molto meno feroce che non nel film di Forman), e del tutto espliciti quelli a “Thelma e Louise” di Scott. La regia appare solida, così come la sceneggiatura, che nella seconda parte del film si apre come un fiore che sboccia coi colori della delicatezza e di una maggiore introspezione, senza mai perdere il contrappunto fra comicità e ironia da una parte, e dolore e tragedia dall’altra. Eccellente la fotografia e l’uso della mdp.
Ma un elogio particolare, particolarissimo, sento di doverlo tributare alla bravura delle due interpreti principali, Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, i cui ruoli diversissimi poco per volta finiscono per compendiarsi e compenetrarsi, lasciando che l’affetto, la fiducia che s’instaurano fra loro prevalgano poco per volta sulle nevrosi e la depressione, è semplicemente eccezionale. Difficile vedere due attrici recitare a così altissimi livelli in un duetto complicato e continuo, strettissimo, tanto da poter risultare a volte estenuante. Spero ottengano i più alti riconoscimenti per la loro arte, come d’altra parte il grande, grandissimo Paolo Virzì.
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enzo70
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venerdì 27 maggio 2016
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un film che fa ridere e piangere è un gra bel film
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Il cinema italiano mette a segno un altro gran colpo, con questo bel film di Virzì, a mio avviso, quello della maturità. Una storia piena di complicazioni, non narrativa, ma sociali, la detenzione, il delitto ed il castigo, la riabilitazione, il disagio psichico, lo Stato che fa, lo Stato che vede, e quello che poi si indigna e getta il cappello con gran dignità. E tutto questo avviene con il racconto di due storie che si intersecano, quella di Beatrice, una donna irrefrenabile in tutti i suoi impulsi, e di Donatella, una giovane depressa e tatuata. Ma come al solito dietro le immagini ci sono le storie vere delle persone, quello del vicino di casa, dell’amico che non incontriamo più, quella dei mille percorsi della vita.
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Il cinema italiano mette a segno un altro gran colpo, con questo bel film di Virzì, a mio avviso, quello della maturità. Una storia piena di complicazioni, non narrativa, ma sociali, la detenzione, il delitto ed il castigo, la riabilitazione, il disagio psichico, lo Stato che fa, lo Stato che vede, e quello che poi si indigna e getta il cappello con gran dignità. E tutto questo avviene con il racconto di due storie che si intersecano, quella di Beatrice, una donna irrefrenabile in tutti i suoi impulsi, e di Donatella, una giovane depressa e tatuata. Ma come al solito dietro le immagini ci sono le storie vere delle persone, quello del vicino di casa, dell’amico che non incontriamo più, quella dei mille percorsi della vita. E Virzì ci porta per mano nella ricostruzione della storia delle due donne e lo fa con intelligenza. Se in una sala cinematografica senti ridere, vuol dire che il film funziona; se senti qualche singhiozzo, vuol dire che il film funziona; ma se senti allo stesso tempo ridere e piangere allora si che dici e bravo Virzì, sei sulla strada giusta. Perché a dirla tutta in un paese che si lamenta sempre guardando con nostalgia al proprio passato si può rispondere che se questo film lo avessero diretto Scola o Monicelli si sarebbe gridato al capolavoro e ad un cinema che non c’è più. E invece negli ultimi anni i segnali ci sono, e come. Ottima, oltre che bellissima, Micaela Ramazotti e straordinaria Valeria Bruni Tedeschi, entrambe perfette per il ruolo. Andate a vederlo.
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uppercut
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sabato 28 maggio 2016
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due registi non fanno uno sceneggiatore
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Il soggetto è forte, lo sviluppo narrativo debole. E' un film di ritratti, non di storie. La vicenda raccontata è un folle giro di valzer che non esce mai da se stesso. Il racconto è tutto avvitato nella dinamica della fuga reiterata in modo sempre più forzato e per questo sempre meno credibile. Il risultato? più si va avanti più sembra di stare fermi, presi da un meccanismo che funziona in modo troppo prevedibile e quasi obbligato. Per cui nella seconda parte ci si annoia. Probabilmente c'è stato da parte del duo Virzì/Archibugi un innamoramento totalizzante e incondizionato nei confronti dei due personaggi centrali a discapito degli altri, tutti incapaci di apportare nuova linfa al racconto.
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Il soggetto è forte, lo sviluppo narrativo debole. E' un film di ritratti, non di storie. La vicenda raccontata è un folle giro di valzer che non esce mai da se stesso. Il racconto è tutto avvitato nella dinamica della fuga reiterata in modo sempre più forzato e per questo sempre meno credibile. Il risultato? più si va avanti più sembra di stare fermi, presi da un meccanismo che funziona in modo troppo prevedibile e quasi obbligato. Per cui nella seconda parte ci si annoia. Probabilmente c'è stato da parte del duo Virzì/Archibugi un innamoramento totalizzante e incondizionato nei confronti dei due personaggi centrali a discapito degli altri, tutti incapaci di apportare nuova linfa al racconto. Sbiaditissimo il direttore della Villa che quasi gongola sornione in una situazione che per lui dovrebbe essere tragica. Lunare il buon Marco Messeri nei panni di un affaccio più che di un padre. Di maniera gli omoni feroci. Insomma, due registi non fanno uno sceneggiatore. E lo si sente tanto.
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[+] resta un film memorabile
(di megliosenza)
[ - ] resta un film memorabile
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angelo umana
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sabato 28 maggio 2016
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via dalla pazza folla
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Gioia pazza in questo film si direbbe quella che avviene all’interno della toscana casa di cura Villa Biondi, per pazienti psichiatriche, l’aria è giocosa, c’è solidarietà, e la villa sulle colline toscane è un posto ameno. Fuori di lì, nel mondo “normale” dove le due novelle Thelma e Louise (Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti) fuggono per qualche giorno di libertà, c’è tristezza, decadenza, violenza. Valeria - che cita le toghe rosse e un non tanto fantomatico presidente (dev’essere famoso date le anteriori nobili frequentazioni di Valeria, si presume ex pres.
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Gioia pazza in questo film si direbbe quella che avviene all’interno della toscana casa di cura Villa Biondi, per pazienti psichiatriche, l’aria è giocosa, c’è solidarietà, e la villa sulle colline toscane è un posto ameno. Fuori di lì, nel mondo “normale” dove le due novelle Thelma e Louise (Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti) fuggono per qualche giorno di libertà, c’è tristezza, decadenza, violenza. Valeria - che cita le toghe rosse e un non tanto fantomatico presidente (dev’essere famoso date le anteriori nobili frequentazioni di Valeria, si presume ex pres. del Consiglio), cita pure l’Italia allo sbando - rivede la casa sul mare dove abitava e la servitù, la sua passata nobiltà con ospiti che non sembrano granché gioire della vita che fanno, tra le mollezze da nuovi ricchi. Non solo, ed è forse una citazione del regista e di Francesca Archibugi che ha collaborato alla scrittura, Valeria ritrova la madre a cui tocca affittar la nostra casa al cinema italiano, in una villa dove si gira un film. Micaela invece va a cercare il suo ex amato con cui ha avuto un figlio, ex amato causa dei suoi guai.
Dicono le due che stanno cercando un po’ di felicità col vento in faccia, ma quell’uscita servirà solo a scoprirsi amiche e tornare nel ventre protetto della casa di cura. La fuga copre la più parte dei 118 minuti del film, questo tratto del film appare un pò troppo pieno di trovate che ne fanno una commedia e banalizzano un po’ il film. Sono solo le confessioni finali tra le due nuove amiche su una panchina di Camaiore a rivelare il senso della loro presunta “pazzia”. Sono in realtà due “rifiutI” dalla società, creature scomode, difficili da gestire, che bisogna appartare dalla vista e che non tornino a disturbare le comodità della società moderna, che del resto non è così serena e divertita. Una fuga o voglia di libertà che ricorda in parte quella di Qualcuno volò sul nido del cuculo, finisce meno tragicamente ma non ha la stessa intensità del film di Milos Forman.
Paolo Virzì però non fa mai opere banali e che il film sia commedia o dramma poco importa, egli stesso in un’intervista dice che i confini tra le due sfere sono labili. Il valore del film risiede anche nella biografia del regista, che vide sua madre Franca impazzire quando lui aveva la tenera età di cinque anni: essa è raffigurata in Valeria, “spudorata mitomane eccessiva”, così l’intervista. Diverso è il personaggio di Micaela, nata triste e che piangeva tanto da bambina, una persona aggredita dal “mondo più folle di loro” (dall’intervista).
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maumauroma
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sabato 28 maggio 2016
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la pazza gioia
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Beatrice e' una elegante signora di nobili origini affetta da psicosi paranoide. Donatella e' una giovane donna gravemente depressa segnata nel corpo e nella mente da un passato di droga e da una infelice maternita'. Entrambe sono ospiti di una accogliente casa di recupero immersa nel verde della campagna toscana. Sfuggendo al controllo dei custodi, le due riusciranno per qualche giorno ad "evadere" nel mondo dei cosiddetti "sani di mente", facendo in modo, loro cosi' diverse di carattere, di trovare una sorta di folle amicizia e di aiutarsi a vicenda nel cercare di dare un senso alle loro vite. Ne La Pazza gioia vi erano tutti gli ingredienti per farne un grande film, purtroppo il risultato non (mi) convince.
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Beatrice e' una elegante signora di nobili origini affetta da psicosi paranoide. Donatella e' una giovane donna gravemente depressa segnata nel corpo e nella mente da un passato di droga e da una infelice maternita'. Entrambe sono ospiti di una accogliente casa di recupero immersa nel verde della campagna toscana. Sfuggendo al controllo dei custodi, le due riusciranno per qualche giorno ad "evadere" nel mondo dei cosiddetti "sani di mente", facendo in modo, loro cosi' diverse di carattere, di trovare una sorta di folle amicizia e di aiutarsi a vicenda nel cercare di dare un senso alle loro vite. Ne La Pazza gioia vi erano tutti gli ingredienti per farne un grande film, purtroppo il risultato non (mi) convince. Colpa per lo piu' di una sceneggiatura piena zeppa di situazioni ed episodi a dir poco improbabili se non inverosimili, che sono per di piu' propedeutiche e indispensabili nel dare un senso alla storia. A meno che non si ponga la vicenda su di un piano puramente surreale o favolistico, perche' in questo caso tutto potrebbe essere concesso. Qualche esempio: un controllore di autobus che non controlla, un incallito viveur che si fa rubare l'auto alla stregua di un pivellino, direttori di ristoranti e di banche buoni e puri come angioletti, giovani che imbarcano sul loro suv due sconosciute signore chiaramente disturbate senza la minima esitazione, un tuffo da 20 metri nell'acqua e permanenza di madre e figlio abbracciati per almeno due minuti nel liquido elemento senza alcuna conseguenza sulla salute, un set cinematografico che scrittura seduta stante le due protagoniste,facendosi poi portare via l'auto d'epoca come le comiche di ridolini ,forze di polizia fantozzianamente incapaci di trovare le due fuggiasche quando oggi con un cellulare nella borsa si puo' essere rintracciati in poche ore se non in pochi minuti. ecc ecc. Insomma la sceneggiatura non sta in piedi.Per quanto riguarda le interpreti le prove di Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti sono sicuramente apprezzabili pero' si ha sempre l'impressione che ognuna reciti per conto suo in maniera slegata, forse una questione di montaggio I dialoghi poi sono caratterizzati da una verbosita' eccessiva, a volte insopportabile, anche se in parte giustificata dal ruolo svolto dalla mitomane Beatrice. Ho sempre apprezzato le opere di Paolo Virzi',ma quest'ultima lascia perplessi. E non sembrano sufficienti le generose e piacevoli scollature delle protagoniste che chissa' perche' il regista continuamente propone e la splendida senza fine di Gino Paoli, per dare al film un giudizio ( del tutto personale) poco oltre la sufficienza
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m. katherine
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domenica 29 maggio 2016
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un film da vedere!
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Film di recente uscita "La pazza gioia" è ambientato in Toscana, in una comunità dove vengono curate donne mentalmente instabili. Racconta la storia di un'amicizia molto singolare tra due pazienti, l'eccentrica Beatrice e la fragile Donatella. Donne con caratteri e storie personali molto diverse unite da un comune "malessere", Beatrice e Donatella approfitteranno di un'uscita con altre pazienti per fuggire assaggiando di nuovo la libertà e vivendo una serie di avventure alla ricerca del figlio di Donatella, dato anni prima in adozione.
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Film di recente uscita "La pazza gioia" è ambientato in Toscana, in una comunità dove vengono curate donne mentalmente instabili. Racconta la storia di un'amicizia molto singolare tra due pazienti, l'eccentrica Beatrice e la fragile Donatella. Donne con caratteri e storie personali molto diverse unite da un comune "malessere", Beatrice e Donatella approfitteranno di un'uscita con altre pazienti per fuggire assaggiando di nuovo la libertà e vivendo una serie di avventure alla ricerca del figlio di Donatella, dato anni prima in adozione.
Virzì offre con questo film uno strepitoso spaccato di vita su quello che è il disagio mentale insinuando il dubbio che la follia può anche derivare da un vissuto di solitudine e mancanza di affettività non solo da un difetto patologico.
Magistrali, a mio parere, le interpretazioni delle due protagoniste principali Valeria Bruni Tedeschi, nei panni della "squinternata" Beatrice, e Micaela Ramazzotti, in quelli della depressa Donatella, ma ottime anche quelle di tutti gli altri attori che ruotano attorno a questa storia ben costruita che alterna momenti estremamente comici ad altri profondamente drammatici.
Un film che nell' avventura di queste due donne richiama, anche se solo lontanamente, un' altra pellicola sulla "fuga femminile" ma davvero godibile e intenso, assolutamente da non perdere.
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paola d. g. 81
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martedì 31 maggio 2016
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bellissimo
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Più che un film, la Pazza Gioia è un'esperienza emozionale, che ti lavora dentro per giorni e giorni.
Virzì non sbaglia un colpo e con questo bellissimo lavoro, intenso e drammatico ma intrinsecamente positivo, si dimostra ben all'altezza di un tema delicato e profondo come quello legato al disagio mentale, reso ancora più complesso dal fatto che qui si tratta in particolare dell'universo femminile e dei molteplici risvolti della psiche e dei rapporti umani.
Virzì è un regista che ama le donne, le capisce, le abbraccia, senza paura e senza morbosità. Saper parlare di donne e delle relazioni fra donne non è sicuramente facile per un uomo, ma Virzì ci è riuscito benissimo, senza sbavature, senza eccessi patetici, creando un film che fa commuovere, sorridere, riflettere sul "guazzabuglio del cuore umano" di cui parlava Manzoni.
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Più che un film, la Pazza Gioia è un'esperienza emozionale, che ti lavora dentro per giorni e giorni.
Virzì non sbaglia un colpo e con questo bellissimo lavoro, intenso e drammatico ma intrinsecamente positivo, si dimostra ben all'altezza di un tema delicato e profondo come quello legato al disagio mentale, reso ancora più complesso dal fatto che qui si tratta in particolare dell'universo femminile e dei molteplici risvolti della psiche e dei rapporti umani.
Virzì è un regista che ama le donne, le capisce, le abbraccia, senza paura e senza morbosità. Saper parlare di donne e delle relazioni fra donne non è sicuramente facile per un uomo, ma Virzì ci è riuscito benissimo, senza sbavature, senza eccessi patetici, creando un film che fa commuovere, sorridere, riflettere sul "guazzabuglio del cuore umano" di cui parlava Manzoni.
Qui non si tracciano confini netti tra malattia e salute, normalità e follia, cattiveria e bontà, ma si distingue solo fra chi sa amare e chi non sa amare, sia fra i "pazzi" che fra i "normali".
E le due meravigliose protagoniste, con la forza della loro strana e commovente amicizia, si dimostrano capaci di amare e quindi di salvarsi.
Strepitosa la Bruni Tedeschi, la Ramazzotti convince meno, ma nel complesso il loro sodalizio è indimenticabile. Colonna sonora e fotografia da premio.
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