E' facile, facilissimo, cadere nello scontato, nel melenso, nell'irriverente, nel volgare, nella 'captazio benevolentie', quando si prende in mano una materia tanto delicata ed instabile: i temi trattati ne 'La pazza gioia' sono insidiosissimi, una specie di distesa di sabbie mobili a perdita d'occhio, dove rimanere imprigionati è di una facilità disarmante; ed invece, l'ottimo Virzì danza con la levità di un ballerino dell'Etoile tra amicizia, devianza, amore materno, amore filiale, lealtà, empatia, senso del dovere, dedizione, miseria (intellettuale e materiale), meschinità, tossicodipendenza, costrizione, giustizia...
Bello, uno di quei film da vedere più volte, quello dei quali assaporare i momenti che ci si è persi durante le proiezioni precedenti, le espressioni delle attrici (prime, fra tutte, una bellissima Valeria Bruni Tedeschi), i perfetti tempi scenici (certo, è un film, non è teatro...); ma l'allungamento dei campi sequenza, in alcuni momenti, ha messo in risalto la bravura delle due protagoniste, che duettano in sincrono ma con trasporto e partecipazione, complice, anche, una sceneggiatura perfetta e rigidissima che non può lasciare il campo aperto ad interpretazioni deviate. La Ramazzotti, di fronte alla performance della Bruni, risponde con un'interpretazione un po' in ombra, un po' sottotono, ma pur sempre pregevole ed intensa: se alla prima è stata affidata una parte forse appena meno forte psicologicamente (si tratta di un'aristocratica, violenta, instabile e ladra, sposata ad un avvocato rampante nel giro del cavaliere di qualche anno fa), la seconda ha un ruolo difficilissimo, quello di una madre che tenta il suicidio assieme al suo bambino di pochi mesi, e che non riesce a scrollarsi di dosso questo immane fardello, finché non riuscirà ad avvicinarsi a lui di nuovo (combattendo contro leggi che non sempre tengono conto dei sentimenti, e che, talvolta, forse, sono interpretate con troppa freddezza o fretta...).
Ricordo una divertentissima trasmissione di qualche decennio fa, nella quale c'era un improvvisato critico cinematografico al quale il conduttore chiedeva quale fosse il messaggio del film che aveva visionato; ed allora, io credo che 'il messaggio' di Virzì sia quello che, al di là del danaro, al di là del successo, delle meschinità, delle bassezze, della menzogna, del rampantismo, delle convenzioni, delle apparenze, delle disuguaglianze sociali, dei falsi miti, ci deve indurre a pensare che un po' di pazzia, dopo tanta razionalità (vera o millantata...) debba finalmente entrare nelle nostre vite, debba convincerci ad agire controcorrente, in controtendenza. Perchè non se lo aspettano, perchè credono ancora di poterci guidare come un'automobilina radiocomandata, perchè siamo capaci di autodiscernimento e di autodeterminazione; e mi sembra che la riprova non dati , poi, moltissimo tempo fa... Lo dobbiamo a noi stessi, alle persone a cui vogliamo bene, ai nostri figli (che dovranno vivere nel mondo che lasceremo loro) e ai nostri genitori, i quali hanno lavorato duramente per consegnarci un mondo migliore.
Questo film mi ricorda molto da vicino un altro del 2013, di Roberto Andò, 'Viva la libertà', nel quale ho intravisto una tematica alquanto simile: un politico aveva un fratello gemello un po' instabile, il quale, ad un certo punto, prendeva il suo posto, combinando molto di più del fratello oramai disilluso, colluso, invischiato, senz'anima, e tristemente lontano dalla base che l'aveva eletto.
La medicina, allora, qual è? Un po' di pazzia?
Proviamo...
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