Una mappa poetica della Toscana in cui Virzì vota preponderatamente per le donne.
Accolto con applausi all’ultimo Festival di Cannes, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, e da un ottimo riconoscimento internazionale, Virzì dopo le brumose atmosfere della Brianza de Il capitale umano, ci racconta una vicenda che fonde sapientemente dramma e ironia, dolore e pazzia in un contesto geografico assai affascinante come il territorio toscano.
Operai a Piombino, discoteche stile Las Vegas in Versilia, ville dei ricchi intorno a Lucca, il territorio agreste del Chianti e poi una residenza isolata, Villa Biondi, un pò sognata un pò vera, sperduta tra le colline di Pistoia, che ospita una comunità per donne con disturbi mentali, sono il condimento di una storia che riserva tante sorprese confermando l’abilità registica di Virzì, uno dei più talentuosi cineasti italiani.
Beatrice e Donatella. Due donne, due caratteri assai contrastanti in un luogo romito dove alla pace dei campi si alternano lavori socialmente utili. Due donne disturbate e psicologicamente instabili la cui convivenza non potrà che gettare scompiglio nella comunità.
Beatrice (straordinaria Valeria Bruni Tedeschi) è una loquace mitomane, contessa a suo dire in intimità con i potenti della terra e Donatella (un’altrettanto brava seppur sofferente in alcuni frangenti Micaela Ramazzotti), è una magra quanto silenziosa donna che nasconde una terribile vicenda familiare che l’ha portata all’allontanamento del suo bambino.
L’iniziale freddezza di Donatella si scontrerà con la vivacità prorompente di Beatrice e l’incontro/scontro tra le due in un luogo riparato dal mondo come la comunità, un posto travagliato, eppure carico di energia vitale, avrà come esito la naturale fuga verso la “pazza gioia”.
Ma La pazza gioia, il titolo di questo nuovo film, va oltre il semplice concetto di commedia on the road, o almeno di commedia all’italiana basata sugli umori/comportamenti contrastanti dei protagonisti come siamo abituati. E’ un’antifrasi sin dal titolo, in quanto di gioia la pellicola non tratta (se non in parte) visto che il piano di Donatella è vedere ancora una volta il suo bambino affidato a una famiglia protetta e quello di Beatrice un rimbocco affastellato di aiuti alla sua nuova amica con verve e “originalità”.
La bravura di Virzì è questa: fondere più registri stilistici con armonia senza accelerare troppo su ogni pedale “specifico” ma tarando in ogni momento, la commedia propriamente detta (con scene esilaranti rette da Valeria Bruni Tedeschi) con temi assai più tragici e disperati.
Nel confine precario tra normalità e pazzia, Virzì pare dirci che in mezzo è presente l’amore. E’ l’amore per gli uomini, spesso strumenti di concepimento violenti capaci solo di provare rabbia o disgusto o mercificati al denaro col quale pensano tutto sia acquistabile, che risiede la vera anima, del film. Un amore deleterio per le due protagoniste che appunto innamorandosi delle persone sbagliate, diventano “matte”.
Ecco quindi cosa distingue normalità e pazzia: i normali non soffrendo o soffrendo solo in superficie per amore, non comprendono la sottilissima linea che separa il dolore dalla malattia.
Su questo delicato filo, come sapiente equilibriste si muovono Beatrice e Donatella in un viaggio metaforico di grande fascino e bellezza. Noi spettatori nella cornice di una storia dove ilarità ed ebbrezza sono quasi “estranee” al “Capitale umano”, assistiamo allo splendore delle città toscane: Viareggio (con un flashback durante il Carnevale, poi Piazza Mazzini, Piazza Puccini, la pineta, il lungomare, l’ospedale), il luogo delle illusioni e della solitudine, quello in cui si è costretti, alla fine, a luci e musiche spente, a guardarsi negli occhi; Marina di Pietrasanta ( con la discoteca Seven Apple), la piccola Las Vegas della Versilia; Montecatini Terme, il luogo delle scoperte quello dell’incontro tra la madre e la figlia e della scena al ristorante; le Ville della Lucchesia e la strada che da questa arriva alla Versilia sino alla cornice delle Alpi Apuane che con la loro mole cingono le ridenti cittadine rivolte al Tirreno.
La pazza gioiaemoziona senza retorica, evitando di porre il suo accento sulla natura drammatica della commedia come potrebbe vestirsi a un melodramma ma con poche scene condensa il senso di una possibile rinascita, sofferta ma vera, aprendo oltre le tribolazioni, gli abusi subiti e perpetrati, i momenti cupi e sconsolati, la delirante, comica, scombiccherata, allegria di due donne ognuna necessaria all’altra. Due donne rivolte al sole e all’orizzonte immenso di quel Mar Tirreno che nel tra i suoi flutti rimanda a una nuova esistenza e quindi a un nuovo inizio.
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