luis23
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venerdì 23 settembre 2016
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trovarsi tra la "follia"
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Cercarsi e trovarsi tra la folla e la follia.
Forse che la razionalità si basa sulle follie di ognuno di noi che viaggiano su frequenze "medie" perciò comunicanti?
La follia non ha frequenze medie, quindi più difficile risulta la relazione, la comunicazione. Quando ciò accade si realizza un doppio miracolo : visitando uno spazio sconosciuto (primo miracolo) ritrovarsi (secondo).
In questo film mi pare di aver visto rappresentata questa forza, di aver visto realizzarsi questo evento.
Le due splendide protagoniste del film attraversano, con le loro scorribande di "pazza gioia", la vita di tante persone "normali", lasciando segni indelebili su ognuna di loro. E la loro pretesa follia evidenzia le debolezze e i vizi degli altri "normali".
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Cercarsi e trovarsi tra la folla e la follia.
Forse che la razionalità si basa sulle follie di ognuno di noi che viaggiano su frequenze "medie" perciò comunicanti?
La follia non ha frequenze medie, quindi più difficile risulta la relazione, la comunicazione. Quando ciò accade si realizza un doppio miracolo : visitando uno spazio sconosciuto (primo miracolo) ritrovarsi (secondo).
In questo film mi pare di aver visto rappresentata questa forza, di aver visto realizzarsi questo evento.
Le due splendide protagoniste del film attraversano, con le loro scorribande di "pazza gioia", la vita di tante persone "normali", lasciando segni indelebili su ognuna di loro. E la loro pretesa follia evidenzia le debolezze e i vizi degli altri "normali".
Valeria Bruni Tedeschi si è fatta magnificamente ammirare, apprezzare già ne "il capitale umano", personalmente la considero la migliore attrice italiana (?) in circolazione; la sua rappresentazione di "pura" follia è potente e delicata contemporaneamente, logico quindi che da ciò sgorghi l'amichevole/materna disposizione nei confronti di Donatella ferita come madre separata dal proprio figlio (Micaela Ramazzotti) la quale mi ricorda fortissimamente - senza nulla togliere alla sua originalità di attrice - la grande Monica Vitti (Donatella come Teresa la ladra), e non solo in questo film .
Mi ha lasciato una grande, potente emozione il film, questa cascata di sentimenti a volte grotteschi, a volte drammatici, ma anche teneri.
Come dimenticare la scena finale del delicato e complice "tic toc" sul vetro alla finestra di Beatrice (Valeria Bruni T), la sua intima emozione, gioia e calore provato nell'aver rivisto, quindi "ritrovato" Donatella (Micaela R). Ritrovata tra la folla e la follia.
La sua emozione l'ho provata anch'io.
Grazie a Virzì e alla sceneggiatura in tandem con Francesca Archibugi. Grande onore al cinema italiano. Grazie.
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eugenio
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domenica 25 settembre 2016
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w il cinema italiano
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Una mappa poetica della Toscana in cui Virzì vota preponderatamente per le donne.
Accolto con applausi all’ultimo Festival di Cannes, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, e da un ottimo riconoscimento internazionale, Virzì dopo le brumose atmosfere della Brianza de Il capitale umano, ci racconta una vicenda che fonde sapientemente dramma e ironia, dolore e pazzia in un contesto geografico assai affascinante come il territorio toscano.
Operai a Piombino, discoteche stile Las Vegas in Versilia, ville dei ricchi intorno a Lucca, il territorio agreste del Chianti e poi una residenza isolata, Villa Biondi, un pò sognata un pò vera, sperduta tra le colline di Pistoia, che ospita una comunità per donne con disturbi mentali, sono il condimento di una storia che riserva tante sorprese confermando l’abilità registica di Virzì, uno dei più talentuosi cineasti italiani.
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Una mappa poetica della Toscana in cui Virzì vota preponderatamente per le donne.
Accolto con applausi all’ultimo Festival di Cannes, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, e da un ottimo riconoscimento internazionale, Virzì dopo le brumose atmosfere della Brianza de Il capitale umano, ci racconta una vicenda che fonde sapientemente dramma e ironia, dolore e pazzia in un contesto geografico assai affascinante come il territorio toscano.
Operai a Piombino, discoteche stile Las Vegas in Versilia, ville dei ricchi intorno a Lucca, il territorio agreste del Chianti e poi una residenza isolata, Villa Biondi, un pò sognata un pò vera, sperduta tra le colline di Pistoia, che ospita una comunità per donne con disturbi mentali, sono il condimento di una storia che riserva tante sorprese confermando l’abilità registica di Virzì, uno dei più talentuosi cineasti italiani.
Beatrice e Donatella. Due donne, due caratteri assai contrastanti in un luogo romito dove alla pace dei campi si alternano lavori socialmente utili. Due donne disturbate e psicologicamente instabili la cui convivenza non potrà che gettare scompiglio nella comunità.
Beatrice (straordinaria Valeria Bruni Tedeschi) è una loquace mitomane, contessa a suo dire in intimità con i potenti della terra e Donatella (un’altrettanto brava seppur sofferente in alcuni frangenti Micaela Ramazzotti), è una magra quanto silenziosa donna che nasconde una terribile vicenda familiare che l’ha portata all’allontanamento del suo bambino.
L’iniziale freddezza di Donatella si scontrerà con la vivacità prorompente di Beatrice e l’incontro/scontro tra le due in un luogo riparato dal mondo come la comunità, un posto travagliato, eppure carico di energia vitale, avrà come esito la naturale fuga verso la “pazza gioia”.
Ma La pazza gioia, il titolo di questo nuovo film, va oltre il semplice concetto di commedia on the road, o almeno di commedia all’italiana basata sugli umori/comportamenti contrastanti dei protagonisti come siamo abituati. E’ un’antifrasi sin dal titolo, in quanto di gioia la pellicola non tratta (se non in parte) visto che il piano di Donatella è vedere ancora una volta il suo bambino affidato a una famiglia protetta e quello di Beatrice un rimbocco affastellato di aiuti alla sua nuova amica con verve e “originalità”.
La bravura di Virzì è questa: fondere più registri stilistici con armonia senza accelerare troppo su ogni pedale “specifico” ma tarando in ogni momento, la commedia propriamente detta (con scene esilaranti rette da Valeria Bruni Tedeschi) con temi assai più tragici e disperati.
Nel confine precario tra normalità e pazzia, Virzì pare dirci che in mezzo è presente l’amore. E’ l’amore per gli uomini, spesso strumenti di concepimento violenti capaci solo di provare rabbia o disgusto o mercificati al denaro col quale pensano tutto sia acquistabile, che risiede la vera anima, del film. Un amore deleterio per le due protagoniste che appunto innamorandosi delle persone sbagliate, diventano “matte”.
Ecco quindi cosa distingue normalità e pazzia: i normali non soffrendo o soffrendo solo in superficie per amore, non comprendono la sottilissima linea che separa il dolore dalla malattia.
Su questo delicato filo, come sapiente equilibriste si muovono Beatrice e Donatella in un viaggio metaforico di grande fascino e bellezza. Noi spettatori nella cornice di una storia dove ilarità ed ebbrezza sono quasi “estranee” al “Capitale umano”, assistiamo allo splendore delle città toscane: Viareggio (con un flashback durante il Carnevale, poi Piazza Mazzini, Piazza Puccini, la pineta, il lungomare, l’ospedale), il luogo delle illusioni e della solitudine, quello in cui si è costretti, alla fine, a luci e musiche spente, a guardarsi negli occhi; Marina di Pietrasanta ( con la discoteca Seven Apple), la piccola Las Vegas della Versilia; Montecatini Terme, il luogo delle scoperte quello dell’incontro tra la madre e la figlia e della scena al ristorante; le Ville della Lucchesia e la strada che da questa arriva alla Versilia sino alla cornice delle Alpi Apuane che con la loro mole cingono le ridenti cittadine rivolte al Tirreno.
La pazza gioiaemoziona senza retorica, evitando di porre il suo accento sulla natura drammatica della commedia come potrebbe vestirsi a un melodramma ma con poche scene condensa il senso di una possibile rinascita, sofferta ma vera, aprendo oltre le tribolazioni, gli abusi subiti e perpetrati, i momenti cupi e sconsolati, la delirante, comica, scombiccherata, allegria di due donne ognuna necessaria all’altra. Due donne rivolte al sole e all’orizzonte immenso di quel Mar Tirreno che nel tra i suoi flutti rimanda a una nuova esistenza e quindi a un nuovo inizio.
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luca scialo
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domenica 27 novembre 2016
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se la follia è altrove
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Paolo Virzì sa come far commuovere lo spettatore, raccontare le storie. Qui ci racconta la storia di Beatrice e Donatella, la prima, borghese, colta da aggressività e isteria. La seconda, cubista e depressa, che ha tentato di uccidere il figlio avuto col proprietario della discoteca in cui lavorava. Che non lo ha mai riconosciuto. E così, sono internate in un centro vicino Montecatini, Villa Biondi. Dopo le prime difficoltà iniziali, fanno amicizia e scappano dal centro. In un viaggio alla Thelma e Louise, più folle. Anche se la follia è in ciò che le circonda più che in loro stesse.
Tra ironia, momenti toccanti e la bravura delle due attrici, Micaela Ramazzotti (romanaccia qui alla prova con un accento della maremma) e la Tedeschi, Virzì ci propone una commedia a tinte drammatiche.
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Paolo Virzì sa come far commuovere lo spettatore, raccontare le storie. Qui ci racconta la storia di Beatrice e Donatella, la prima, borghese, colta da aggressività e isteria. La seconda, cubista e depressa, che ha tentato di uccidere il figlio avuto col proprietario della discoteca in cui lavorava. Che non lo ha mai riconosciuto. E così, sono internate in un centro vicino Montecatini, Villa Biondi. Dopo le prime difficoltà iniziali, fanno amicizia e scappano dal centro. In un viaggio alla Thelma e Louise, più folle. Anche se la follia è in ciò che le circonda più che in loro stesse.
Tra ironia, momenti toccanti e la bravura delle due attrici, Micaela Ramazzotti (romanaccia qui alla prova con un accento della maremma) e la Tedeschi, Virzì ci propone una commedia a tinte drammatiche. Torna a scaldarci i cuori dopo il "freddo" Il capitale umano e qualche pellicola non convincente fino in fondo. Finale emozionante e speranzoso. Che fa riflettere su ciò che è davvero giusto e ciò che non lo è.
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stefanomaria
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domenica 25 dicembre 2016
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elogio della follia (?)
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E' facile, facilissimo, cadere nello scontato, nel melenso, nell'irriverente, nel volgare, nella 'captazio benevolentie', quando si prende in mano una materia tanto delicata ed instabile: i temi trattati ne 'La pazza gioia' sono insidiosissimi, una specie di distesa di sabbie mobili a perdita d'occhio, dove rimanere imprigionati è di una facilità disarmante; ed invece, l'ottimo Virzì danza con la levità di un ballerino dell'Etoile tra amicizia, devianza, amore materno, amore filiale, lealtà, empatia, senso del dovere, dedizione, miseria (intellettuale e materiale), meschinità, tossicodipendenza, costrizione, giustizia.
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E' facile, facilissimo, cadere nello scontato, nel melenso, nell'irriverente, nel volgare, nella 'captazio benevolentie', quando si prende in mano una materia tanto delicata ed instabile: i temi trattati ne 'La pazza gioia' sono insidiosissimi, una specie di distesa di sabbie mobili a perdita d'occhio, dove rimanere imprigionati è di una facilità disarmante; ed invece, l'ottimo Virzì danza con la levità di un ballerino dell'Etoile tra amicizia, devianza, amore materno, amore filiale, lealtà, empatia, senso del dovere, dedizione, miseria (intellettuale e materiale), meschinità, tossicodipendenza, costrizione, giustizia...
Bello, uno di quei film da vedere più volte, quello dei quali assaporare i momenti che ci si è persi durante le proiezioni precedenti, le espressioni delle attrici (prime, fra tutte, una bellissima Valeria Bruni Tedeschi), i perfetti tempi scenici (certo, è un film, non è teatro...); ma l'allungamento dei campi sequenza, in alcuni momenti, ha messo in risalto la bravura delle due protagoniste, che duettano in sincrono ma con trasporto e partecipazione, complice, anche, una sceneggiatura perfetta e rigidissima che non può lasciare il campo aperto ad interpretazioni deviate. La Ramazzotti, di fronte alla performance della Bruni, risponde con un'interpretazione un po' in ombra, un po' sottotono, ma pur sempre pregevole ed intensa: se alla prima è stata affidata una parte forse appena meno forte psicologicamente (si tratta di un'aristocratica, violenta, instabile e ladra, sposata ad un avvocato rampante nel giro del cavaliere di qualche anno fa), la seconda ha un ruolo difficilissimo, quello di una madre che tenta il suicidio assieme al suo bambino di pochi mesi, e che non riesce a scrollarsi di dosso questo immane fardello, finché non riuscirà ad avvicinarsi a lui di nuovo (combattendo contro leggi che non sempre tengono conto dei sentimenti, e che, talvolta, forse, sono interpretate con troppa freddezza o fretta...).
Ricordo una divertentissima trasmissione di qualche decennio fa, nella quale c'era un improvvisato critico cinematografico al quale il conduttore chiedeva quale fosse il messaggio del film che aveva visionato; ed allora, io credo che 'il messaggio' di Virzì sia quello che, al di là del danaro, al di là del successo, delle meschinità, delle bassezze, della menzogna, del rampantismo, delle convenzioni, delle apparenze, delle disuguaglianze sociali, dei falsi miti, ci deve indurre a pensare che un po' di pazzia, dopo tanta razionalità (vera o millantata...) debba finalmente entrare nelle nostre vite, debba convincerci ad agire controcorrente, in controtendenza. Perchè non se lo aspettano, perchè credono ancora di poterci guidare come un'automobilina radiocomandata, perchè siamo capaci di autodiscernimento e di autodeterminazione; e mi sembra che la riprova non dati , poi, moltissimo tempo fa... Lo dobbiamo a noi stessi, alle persone a cui vogliamo bene, ai nostri figli (che dovranno vivere nel mondo che lasceremo loro) e ai nostri genitori, i quali hanno lavorato duramente per consegnarci un mondo migliore.
Questo film mi ricorda molto da vicino un altro del 2013, di Roberto Andò, 'Viva la libertà', nel quale ho intravisto una tematica alquanto simile: un politico aveva un fratello gemello un po' instabile, il quale, ad un certo punto, prendeva il suo posto, combinando molto di più del fratello oramai disilluso, colluso, invischiato, senz'anima, e tristemente lontano dalla base che l'aveva eletto.
La medicina, allora, qual è? Un po' di pazzia?
Proviamo...
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valterchiappa
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lunedì 30 ottobre 2017
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la folle ricerca della felicità
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Beatrice e Donatella non potrebbero essere più diverse. Beatrice è snob, arrogante, logorroica, pettegola, invadente; Donatella è muta, scontrosa, ferina. Beatrice, aristocratica, passeggia con l’ombrellino parasole come una damina dell’800; è florida, indossa vestitini di seta ed ha il comodino pieno di creme e profumi. Donatella ha un solo abituccio, è magra come un osso e ha la pelle martoriata da cicatrici e tatuaggi. Ma Beatrice e Donatella hanno una cosa in comune: sono entrambe pazienti psichiatriche. “La pazza gioia” è la loro storia: la storia di un’amicizia toccante, di una fuga folle, di una ricerca disperata.
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Beatrice e Donatella non potrebbero essere più diverse. Beatrice è snob, arrogante, logorroica, pettegola, invadente; Donatella è muta, scontrosa, ferina. Beatrice, aristocratica, passeggia con l’ombrellino parasole come una damina dell’800; è florida, indossa vestitini di seta ed ha il comodino pieno di creme e profumi. Donatella ha un solo abituccio, è magra come un osso e ha la pelle martoriata da cicatrici e tatuaggi. Ma Beatrice e Donatella hanno una cosa in comune: sono entrambe pazienti psichiatriche. “La pazza gioia” è la loro storia: la storia di un’amicizia toccante, di una fuga folle, di una ricerca disperata. Una storia che insegue lampi di gioia sopra un oceano di dolore. Dove ci sono personaggi detestabili nel loro squallore e figure cariche di umanità; e in mezzo loro: le pazze.
Tutto inizia a Villa Biondi, un centro di recupero immerso nel sole della campagna toscana. Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi) si aggira fra le pazienti dispensando giudizi taglienti su tutti; rivendica amicizie potenti, si sente vittima di un complotto, tormenta il giudice che l’ha condannata. Un giorno arriva per essere ricoverata Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti), dietro di lei un passato oscuro e terribile. Beatrice si interessa subito alla nuova ospite e indaga: nella sua borsa trova una vecchia foto ripiegata di una bambina col padre, un ritaglio di giornale, un telefonino che contiene solo due messaggi senza risposta ed una vecchia canzone. Il legame fra le due si instaura con molta fatica. Ma un giorno Beatrice, iperattiva, alla prima occasione spingerà Donatella a fuggire con lei.
Viaggeranno, fra mille avventure e disavventure, alla ricerca della felicità. La cercheranno ancora dove non devono, dove l’hanno sempre cercata invano: nei genitori, negli uomini della loro vita. Perché se Beatrice e Donatella sono donne “sbagliate”, il loro solo errore è di aver scelto riferimenti sbagliati, la loro malattia crearne una rappresentazione completamente avulsa dalla realtà. Così Beatrice continua a sognare l’amore dell’uomo becero che l’ha sfruttata o si aggrappa, come a uno scoglio scivoloso, all’ostentazione della ricchezza in cui è vissuta, mentre Donatella coltiva l’immagine fallace di un padre affettuoso, da cui invece è stata abbandonata e ascolta ossessivamente la canzone (“Senza fine” di Gino Paoli) che non gli è mai stata cantata.
Per contro è il mondo che ha con loro la più grave colpa: gli ha negato l’amore, quello dovuto, quello obbligatorio: di un padre, di una madre, di un compagno. Erano fiori delicati (“sono nata triste” dice Donatella in una delle scene più toccanti), sono stati calpestati. E si sono ammalate. Cos’è l’invadenza di Beatrice, se non una disperata ricerca di riconoscimento; cosa l’ermetica chiusura di Donatella, se non il rinchiudersi in una tana finalmente sicura? Nel loro viaggio ricevono ancora tanto male, in maniera talora ripugnante. Ma la meta sarà la scoperta salvifica: l’amicizia che le lega, ciò che hanno costruito da sole, può salvarle.
“La pazza gioia” non è solo un’indagine sul disagio psichiatrico, ma soprattutto un racconto sulla ricerca della felicità. Bene che può talora apparire irraggiungibile, soprattutto per chi parte svantaggiato, ma missione che riguarda ognuno di noi. Infatti che differenza c’è fra noi e un folle? Solo una linea sottile, una gradazione di intensità. E dove c’è più dolore e più bruttura, se non nel mondo dei “sani”? Ma la visione di Virzì non è qui senza speranza, il quadro che dipinge non è uniformemente cupo come quello di “Il capitale umano”. Assieme a padri cinici, madri anaffettive, compagni indegni ci sono, stelle brillanti sul cielo nero, un universo di anime belle: operatori amorevoli, un tassista gentile, una coppia comprensiva.
Una precisazione: non si ride in “La pazza gioia”: le esuberanze di Beatrice (che le fanno pronunciare battute memorabili), per chi ne ha compreso la genesi, suscitano piuttosto un sorriso di tenerezza. Bensì si piange, a fiotti, ma di quel pianto sano che purifica e scalda il cuore. Questo è il prodotto della fruttuosa collaborazione, nella stesura della sceneggiatura, fra Paolo Virzì e Francesca Archibugi.
È noto come il regista toscano sappia tirar fuori il meglio dai suoi attori; ed anche stavolta le sue protagoniste sfoggiano una performance eccezionale. Micaela Ramazzotti, che ha accettato di mortificare la sua bellezza con una magrezza scheletrica, conferma il suo versatile talento, calandosi con efficacia in un ruolo estremo ed oscuro. Vera dominatrice della scena, in maniera forse sorprendente per la qualità della sua interpretazione, è però Valeria Bruni Tedeschi, che riempie ogni fotogramma con una presenza pervasiva e travolgente come il suo personaggio. Ma si deve dar rilievo, fra gli interpreti non principali, alla confermata e indiscutibile bravura di Valentina Carnelutti, capace di creare una sentita compartecipazione emotiva intorno al personaggio della appassionata terapeuta.
10 minuti di applausi a Cannes: che siano il decollo verso le sale mondiali del nostro cinema, rappresentato da uno dei suoi più autorevoli portabandiera. ”La pazza gioia” è talmente superiore a tanti film stranieri che arrivano nelle nostre sale con suono di fanfara, che ci resta ancora incomprensibile la scarsa diffusione delle nostre opere all’estero.
A noi che, usciti dalle sale, abbiamo asciugato le lacrime; a noi che abbiamo amato Beatrice e Donatella e ne abbiamo abbracciato la follia, riprendendo il nostro cammino resta un dovere inderogabile: rincorrere la felicità.
Che sia pazza, ma che sia comunque gioia.
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rinorigodanzo
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mercoledì 17 gennaio 2018
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per fortuna che ci sei te!
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Paolo Virzì intuisce ed insegna, vero maestro del cinema italiano, che per essere felici non occorre inseguire patrimonio, soldi e gioielli, ma che occorre semplicemente cercare di curare e di avere buone relazioni umane.
"La pazza gioia" è l'esaltazione della figura di Beatrice che nella vita cerca sempre, con tutto il suo impegno, di avere "buoni contatti" con tutti i personaggi del film che incontra.
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Paolo Virzì intuisce ed insegna, vero maestro del cinema italiano, che per essere felici non occorre inseguire patrimonio, soldi e gioielli, ma che occorre semplicemente cercare di curare e di avere buone relazioni umane.
"La pazza gioia" è l'esaltazione della figura di Beatrice che nella vita cerca sempre, con tutto il suo impegno, di avere "buoni contatti" con tutti i personaggi del film che incontra.
La storia del film è quella di due donne diverse, Beatrice e Donatella, e delle loro relazioni di famiglia e sociali.
Si incontrano a Villa Biondi, comunità residenziale per malati psichici, che è fuori dalla nostra realtà assistenziale di oggi e che rappresenta la nostra società con un Direttore silenzioso che osserva e giudica quello che vede.
Sfilano nel lungo e bellissimo film i vari personaggi che si incontano con le due donne durante la fuga dalla Comunità verso la pazza gioia:
- il bigliettaio dell'Autobus n. 63: non chiede i soldi dei biglietti, anche se le due donne in fuga i soldi li avrebbero;
- il corteggiatore "americano": dà uno strappo in auto alle donne in fuga con la sua Jeep;
- la Maga di Uzzano: dà speranza sia a Donatella di rivedere il figlio che a Beatrice di tornare con il suo amato Renato;
- il Direttore di Banca e il Direttore dell'Hotel: non danno credito alle due donne in fuga, restate senza soldi;
- la mamma di Donatella: non ha voluto evitare l'adozione del nipote Elia;
- Maurizio, il padre di Elia: ha abbandonato sola Donatella e chiama dal suo locale notturno i Carabinieri per allontanarla;
- il Babbo di Donatella: artista ed autore della musica della Canzone "Senza fine" di Gino Paoli non ha voluto e non vuole prendersi cura della figlia e del nipote Elia;
- l'ex marito di Beatrice, l'avvocato Pierluigi: è innamorato della moglie malata e ammette che forse avrebbe bisogno anche lui di essere ricoverato in una comunità terapeutica;
- il dottore dell'Ospedale psichiatrico, la dott.ssa della Comunità Fiamma e l'assistente sociale Torrigiani: si impegnano in modo diverso nel loro lavoro;
- il taxista: accompagna Beatrice dal suo ex compagno Renato;
- la mamma e il papà di Beatrice: non aiutano e non capiscono la loro figlia.
Beatrice è bellissima e bravissima. Meglio di una psicologa parla per mezzora con i genitori adottivi di Elia e li convince che Donatella non è una madre pazza, che ha tentato un omicidio ed un suicidio, ma che è una donna buona, umile, leale, generosa, romantica e fragilissima.
Una famiglia adottiva "bellissima" che commossa regalerà a Donatella un momento di incontro con il figlio Elia sulla spiaggia di Viareggio.
Per fortuna che ci sei te! E' quello che dice Donatella a Beatrice ed è quello che tutti dobbiamo dire alle persone che ci amano.
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flaw54
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giovedì 19 maggio 2016
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sorrentino e garrone...... lasciamo perdere
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Virzì si rivela ancora una volta l'asse portante del nostro cinema con un film duro, talvolta "insopportabile", ma capace di commuovere e di lasciare un messaggio fondamentalmente positivo di speranza e di riscatto. Interpretazione strepitosa delle due attrici Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, la prima logorroica, fuori di testa, ma con un fondo di forte bontà e amicizia e la seconda capace di creare un personaggio tragico che rimarrà nella memoria di noi spettatori. Bravi anche gli attori di contorno e bravo Virzì a valorizzare i luoghi turistici noti della nostra Toscana. È un film vero, coinvolgentd che si distacca in maniera notevole, e aggiungerei fortunatamente, dal vuoto estetizzantd in cui si muovono autori comd Sorrentino e Garrone.
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Virzì si rivela ancora una volta l'asse portante del nostro cinema con un film duro, talvolta "insopportabile", ma capace di commuovere e di lasciare un messaggio fondamentalmente positivo di speranza e di riscatto. Interpretazione strepitosa delle due attrici Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, la prima logorroica, fuori di testa, ma con un fondo di forte bontà e amicizia e la seconda capace di creare un personaggio tragico che rimarrà nella memoria di noi spettatori. Bravi anche gli attori di contorno e bravo Virzì a valorizzare i luoghi turistici noti della nostra Toscana. È un film vero, coinvolgentd che si distacca in maniera notevole, e aggiungerei fortunatamente, dal vuoto estetizzantd in cui si muovono autori comd Sorrentino e Garrone.
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lunedì 23 maggio 2016
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inno alla gioia
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In un bel film, Virzì ci dice che si salva solo chi difende il suo diritto ad essere se stesso, a difendere il suo diritto alla libertà, ai sentimenti, agli affetti, ad una porzione di gioia. E non conta che sia un reietto, e uno tra i più disperati reietti, un “matto”. Era il tema dell’indimenticabile “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, un romanzo/film che Virzì – non per caso - dice di aver molto amato. A seguito della decisione di un giudice, due donne diversissime tra loro, Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi), signora di buona famiglia che è finita in un giro di truffe e ha dilapidato un patrimonio per amore di un volgare delinquente e Donatella (Micaela Ramazzotti), una povera cubista che, sola e abbandonata, ha tentato il suicidio/omicidio con il suo amatissimo bambino, sono state affidate ad una comunità terapeutica per un possibile recupero.
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In un bel film, Virzì ci dice che si salva solo chi difende il suo diritto ad essere se stesso, a difendere il suo diritto alla libertà, ai sentimenti, agli affetti, ad una porzione di gioia. E non conta che sia un reietto, e uno tra i più disperati reietti, un “matto”. Era il tema dell’indimenticabile “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, un romanzo/film che Virzì – non per caso - dice di aver molto amato. A seguito della decisione di un giudice, due donne diversissime tra loro, Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi), signora di buona famiglia che è finita in un giro di truffe e ha dilapidato un patrimonio per amore di un volgare delinquente e Donatella (Micaela Ramazzotti), una povera cubista che, sola e abbandonata, ha tentato il suicidio/omicidio con il suo amatissimo bambino, sono state affidate ad una comunità terapeutica per un possibile recupero. Sullo sfondo, la temutissima minaccia del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. Beatrice è logorroica, mitomane, perpetuamente agitata e pronta a intromettersi negli affari di tutti, un suo modo patologico di esprimere una espansiva affettività; Donatella è impenetrabilmente chiusa nella sua disperazione. Beatrice ‘adotta’ Donatella, di cui intuisce la sofferenza estrema. Il film è la storia di una loro breve fuga dalla comunità, cominciata per caso per iniziativa dell'irrefrenabile Beatrice, giusto per darsi un po’ alla pazza gioia, e trasformatasi via via in una resa dei conti col passato, in una nuova consapevolezza e in un forte attaccamento reciproco, che farà bene a tutte e due. La fuga di Beatrice e Donatella, novelle Thelma e Louise, mescola la loro ‘pazzia’ con pazzia del mondo in un folle carosello, e mostra che tra una follia e l’altra, tra presunti savi e presunti matti, le due protagoniste in fondo sanno che cosa vogliono, vogliono cose sacrosante (libertà, un po’ di felicità, l’amore di un figlio), e se sono ‘diverse’ perché prive di freni inibitori, sono felicemente ‘diverse’ soprattutto perché mettono a nudo il loro cuore senza difese, al di là di qualsiasi ipocrisia o perbenismo. E c’è chi è pronto ad approfittarsene, ma anche chi capisce. E dunque Beatrice e Donatella, a differenza di Thelma e Louise, forse ce la faranno. Virzì torna alle origini con un ambiente stratoscano, che però non ha nulla di strapaesano: un ambiente che è, come sempre nei suoi film, paradigma di un macrocosmo in cui albergano cattiveria e follia, ma anche, senza illusioni e senza retorica, spiragli di umanità, di tolleranza e di riscatto. Di qui un mix felice di commedia e dramma, di umano e troppo umano, magistralmente governato dal regista e dalle due bravissime attrici protagoniste.
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mauridal
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giovedì 9 giugno 2016
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un sorriso bipolare
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(Un sorriso bipolare, commento di mauridal).
Quando il cinema si è occupato della follia , e ha voluto raccontare storie di folli , di malati mentali o di disagio psichico ,allora per forza di cose la sensibilità del regista , la sua abilità nell'affrontare il tema, su una delle malattie più difficili e tante volte drammatiche per tutta la società, deve prevalere sul film .
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(Un sorriso bipolare, commento di mauridal).
Quando il cinema si è occupato della follia , e ha voluto raccontare storie di folli , di malati mentali o di disagio psichico ,allora per forza di cose la sensibilità del regista , la sua abilità nell'affrontare il tema, su una delle malattie più difficili e tante volte drammatiche per tutta la società, deve prevalere sul film .Sappiamo che un film esiste, ovvero è considerato spettacolo , in quanto opera godibile per un pubblico, spesso distratto , oppure a volte attratto dal cinema solo per allontanarsi dalla realtà , ma appena il tema che il film racconta si accosta ad una speciale verità, ovvero affronta problemi o diventa serio, allora è di grande importanza,la figura dell’autore e chi realizza il film. Dunque sceneggiatura e regia sono di fondamentale importanza per una opera di cinematografia che voglia aspirare ad essere ben ricordata e accettata da un pubblico attento e benevolente. Quando il regista è anche il co-autore della storia ( Francesca Archibugi è, l’altra sceneggiatrice,) come nel film La pazza gioia di Virzì ,allora possiamo indugiare per approfondire la motivazione del film e quindi la resa o la presa sul pubblico. Indubbiamente il tema è delicato e la follia al femminile poteva avere molte versioni ,la scelta di Virzì è stata originale , ovvero senza alcun riferimento al genere “follia a cinema” quindi niente Shining, niente Matti da slegare, niente Voli su nidi di cuculo , e in questo, una scelta coraggiosa nel personificare la delicata follia di Beatrice e la follia più disperata di Donatella, in una sintesi di follia femminile che potremmo dire bipolare dove c’è sia esaltazione con divertimento e gioia, come pure una tragica e maniacale rincorsa al baratro e alla distruzione. Questi aspetti sono stati abilmente sdoppiati nei due personaggi ben interpretati dalla Valeria Bruni Tedeschi e da Micaela Ramazzotti. Il personaggio di Beatrice è reso efficacemente in tutte le difficili sfumature di follia con quel pizzico di ironia che l’autore ha voluto rimarcare, rendendo complementare l’altro personaggio, laddove per chiarezza , le due protagoniste sono integrate in una unica narrazione della follia. Tuttavia Beatrice ha una forza in più , la sua è una follia coinvolgente, e in qualche modo inarrestabile, come i suoi discorsi e le sue finzioni , anche divertenti nella fragile sconclusione che portano con sé. Il tema è terribilmente tragico come attuale, troppi esempi di follie ,riempiono le cronache quotidiane, spesso tragedie al maschile con vittime al femminile. In questo racconto la visione al femminile delle follie è portata più verso le pazzerelle giocose che non altro, ma forse è il limite di questo buon film, che a parte la rimarcata ambientazione tosco -grossetana e viareggina , care al regista , funziona meglio con la coppia di brave attrici , la cui recitazione è davvero eccellente.( mauridal)
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giuliog02
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lunedì 27 giugno 2016
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l'ebbrezza della libertà riconquistata
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Davvero un buon film, esteticamente brillante. Una vicenda complessa, raccontata con molta sensibilità, humor e senso del limite. Recitazione straordinaria della Bruni Tedeschi e della Ramazzotti nell'interpretazione di due protagoniste caratterialmente e psicologicamente assai diverse. Due ore ben spese a seguire lo svolgimento di una commedia drammatica, che prende e tiene inchiodato sulla poltrona, senza pause. Eccellenti gli stacchi, molto ben descrtitte le problematiche psichiatriche e il lavoro di gruppo di coloro che seguono il tentativo di recupero delle due donne all'interno dell'unità di cura. Si nota la cura nei dettagli delle posture, degli atteggiamenti, dei comportamenti, dell'eloquio che derivano da un'eccellente consulenza specialistica.
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Davvero un buon film, esteticamente brillante. Una vicenda complessa, raccontata con molta sensibilità, humor e senso del limite. Recitazione straordinaria della Bruni Tedeschi e della Ramazzotti nell'interpretazione di due protagoniste caratterialmente e psicologicamente assai diverse. Due ore ben spese a seguire lo svolgimento di una commedia drammatica, che prende e tiene inchiodato sulla poltrona, senza pause. Eccellenti gli stacchi, molto ben descrtitte le problematiche psichiatriche e il lavoro di gruppo di coloro che seguono il tentativo di recupero delle due donne all'interno dell'unità di cura. Si nota la cura nei dettagli delle posture, degli atteggiamenti, dei comportamenti, dell'eloquio che derivano da un'eccellente consulenza specialistica. Film realistico in cui lo spettaore passa da momenti di attesa sul come va a finire una situazione a momenti di rilassamento o di sorriso o di contenuta ilarità, e ad altri in cui si ha la percezione critica di come possa essere difficile, atroce o distaccante la vita in determinate circostanze. Nel complesso una narrazione, dal pensiero positivo , di una vicenda in cui traspare una attenta scansione delle società e l'impegno di molti a porre rimedio alle storture o alle sfortune di alcuni. Il tutto intessuto con quadretti o avvenimenti umoristici gestiti con molto senso del limite. Scenografia e fotografia di ottimo livello. Film che merita di essere visto e meditato.
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