La La Land

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Un film di Damien Chazelle. Con Ryan Gosling, Emma Stone, J.K. Simmons, Finn Wittrock, Sandra Rosko.
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Titolo originale La La Land. Commedia, Ratings: Kids+13, durata 126 min. - USA 2016. - 01 Distribution uscita giovedì 26 gennaio 2017. MYMONETRO La La Land * * * - - valutazione media: 3,48 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un nuovo modo di fare musical alla vecchia maniera Valutazione 5 stelle su cinque

di GabryKeegan


Feedback: 3108 | altri commenti e recensioni di GabryKeegan
domenica 29 gennaio 2017

Già dalla scena iniziale si intuisce che siamo di fronte a qualcosa di particolare. La caotica Los Angeles si presenta subito come protagonista assoluta del lungometraggio, mentre la musica viene accompagnata più che da balli ordinati, da movimenti freestyle e capriole. Ecco “Another day of sun”. La città degli angeli quasi non conosce il brutto tempo, neanche a Natale. La luce la fa da padrona con tutte le sue sfumature. Finalmente torna la LA da sogno, che aveva affascinato il mondo nel dopoguerra e non quella fin troppo street delle serie tv degli ultimi decenni. È su questo sfondo che Mia e Sebastian si conoscono, si innamorano, ballano e cantano. Già, dimenticate la buffa scena dall’impacciato tasso erotico di Crazy, Stupid, Love dove Gosling imitava Patrick Swayze prendendo al volo la Stone nel suo soggiorno, sulle note di Dirty Dancing. Questa volta la signorina dai giganteschi occhi chiari e il ragazzotto dal sorriso abbozzato si son dati da fare tra coreografie, canzoni e magnifiche suonate di pianoforte. Ecco il secondo elemento che differenzia il musical moderno da quelli classici: i due protagonisti non sono ballerini e cantanti. Sono due fenomeni della recitazione sì - ogni espressione della Stone meriterebbe un Oscar personale – ma non sono di certo aggraziati nei movimenti come Ginger Rogers, Fred Astaire, Gene Kelly, non hanno la voce di Olivia Newton-John, Liza Minnelli o il talento danzante di John Travolta. Questo però non dà fastidio, anzi, questa “umanizzazione” dei fenomeni di Hollywood ci porta sul piano che il regista vuole rappresentare: il musical non come espressione fantastica e perfetta della vita, ma come modo diverso e dinamico di vedere il quotidiano. Se in quelli dei decenni precedenti le performance canore e danzanti ci sembravano esagerate e arrivavano come tentativo di dolce distrazione ad ogni tentativo di dialogo normale, qui sono messe al posto giusto. Insomma, tutti noi pensiamo che certi momenti della nostra vita avrebbero bisogno di un sottofondo musicale: Chazelle riesce a rappresentare perfettamente questo binomio mentale e lo fa con la magia del cinema abbinata a quella della musica, cioè quei luoghi eterei in cui non bisogna farsi troppe domande ma stare ad ascoltare ciò che suscita il momento. Le speranze cantate con le amiche, i sogni ballati sul pontile quando stai pensando da solo e i sentimenti che nascono con un breve tip-tap su una panchina in collina. È proprio lì, al Griffith Park che Mia e Sebastian si ritrovano sempre nei momenti decisivi, lì dove l’osservatorio astronomico lì fa volare in alto tra le stelle. D’altronde “City of stars” è la canzone che accompagna tutta la storia. Non a caso anche Parigi, la Ville Lumière, ha un ruolo in questa trama canterina. La città delle luci si mischia alla città degli angeli e delle stelle. I due luoghi dove gli artisti possono realizzarsi, ma dove nessuno sta mai bene fino in fondo - perché si sa che chi è appagato poi non sogna più - e ancora una volta la conferma che l’inseguimento dell’obiettivo crea quella eccitazione e quelle difficoltà che tengono vivi sentimenti, mani, piedi e voce mentre una volta raggiunto, tutto inizia a sgonfiarsi. Un filo conduttore malinconico in un luogo quasi irreale che Chazelle ha deciso di sottolineare girando spesso con la luce tra le sei e le sette di sera. Una storia con qualche goccio di ironia, un ampio uso di tecniche registiche che riportano ai tempi d’oro del cinema hollywoodiano, ma con la suoneria di un iPhone sempre pronta a interrompere i momenti migliori orchestrati dalle favolose musiche di Justin Hurwitz (autore di praticamente tutto ciò che sentite nel film, sì pure di quel motivetto ridondante che inizia con una serie di note che ricordano un misto tra Caruso e Il Padrino). Di questa visione non idilliaca ci aveva già dato segno nella sua prima opera, quel Whiplash di cui La La Land eredita – oltre al jazz e J.K. Simmons qui in veste di boss del pianista – le percussioni, i dettagli col montaggio veloce riempiti di sonorità singole, la determinazione e la volontà di realizzare i propri sogni a costo di perdere tutto il resto. Ecco ancora una volta la vena agrodolce. L’amore c’è ed è intenso, magico, fa ballare e fare cose stupide ma gli appartamenti sono troppo stretti per tenere ambizione-sentimenti-sogni-realtà tutti insieme. Seguire un sogno vuol dire sacrificio. Raggiungerlo vuol dire superare gli ostacoli, proprio come fanno i ballerini nella scena iniziale, in cui le macchine in teoria non permetterebbero di ballare. La realtà ci si mette di mezzo e obbliga a fare i salti mortali per realizzarsi. In Whiplash ci si spaccava le mani, qui si spaccano i cuori. Non sveliamo il finale, ma possiamo dire che se il musical è nato dalla crisi post anni ’30 per svagarsi e cercare di dimenticare i problemi, lo spettacolo questa volta è figlio dei tempi dove la realtà ha superato la fantasia e dove volare col pensiero ed evadere è quasi impossibile. Quest’opera è un manifesto per chi fa dell’arte la propria missione di vita - la canzone The Fools Who Dream di Mia all’audizione è qualcosa di sensazionale - e “semplicemente” un bellissimo film per chi è ormai rassegnato a una vita pragmatica. Eppure La La Land ci insegna che, nella buona e nella cattiva sorte, l’importante è fare delle scelte e decidere cosa sia meglio per noi anche se questo comporta delle rinunce. Tanto, in ogni caso, nessuno può impedirci di canticchiare, improvvisare due passi di danza e soprattutto immaginare cosa potrebbe succedere (o cosa sarebbe successo se...).

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