Sotto forma di poema, di canto visivo, le voci di alcuni immigrati raccontano la loro esperienza a Calais, confinati nella più grande baraccopoli d'Europa, definita la "giungla" in quanto luogo in cui l'individuo, privato di ogni dignità umana, vive in uno stato di abbrutimento, il suo corpo interdetto. Nel fermo spaziale del tempo sospeso di Calais il corpo migrante si sparge e svanisce. Solo la sua voce, carne che canta, dice il dolore senza posa.