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Je suis Ted

I diritti civili del cinema demenziale in Ted 2.
di Roy Menarini

In foto una scena del film.
Mark Wahlberg (Mark Robert Michael Wahlberg) (52 anni) 5 giugno 1971, Dorchester (Massachusetts - USA) - Gemelli. Interpreta John Bennett nel film di Seth MacFarlane Ted 2.

domenica 28 giugno 2015 - Approfondimenti

La gara verso la scorrettezza politica è ormai sfrenata. Si gioca ormai dagli anni Novanta, momento di picco assoluto dell'eufemismo e del perbenismo socioculturale clintoniano, che vide la reazione brutale e comica di autori come i fratelli Farrelly, seguiti poi negli anni successivi da Judd Apatow e il suo gruppo. Ma in Tv, nel frattempo, la medesima distruzione iconoclasta avveniva grazie ai Simpson e - più tardi - a South Park, ai Griffin, e alle creature di Seth MacFarlane.

Quando quest'ultimo si è inventato la geniale figura di un orsacchiotto che - invece di rimanere per sempre allo stadio infantile della propria magica esistenza - cresceva col suo amico/padrone e diventava un ubriacone nullafacente appassionato di droghe leggere, ha intuito il formidabile paradosso: Ted era la sorpresa sboccata e scorretta, ma il vero bersaglio era l'amico John, impegnato nel percorso contrario, cercare cioè di non crescere e rimanere allo stadio più puerile e disimpegnato dell'american way of life.

Nel secondo episodio, che cerca di giungere a vette di volgarità calcolata estrema quasi quanto quella di Sacha Baron Cohen, MacFarlane trova un nuovo, intelligente twist. Non vediamo più le vicende dell'orsetto con gli occhi di chi lo ha evocato, bensì seguiamo in prima persona la vita del sempre più disgraziato Ted, impelagato in una vita coniugale frustrante e rissosa, annoiato dal lavoro, drogato (in tutti i sensi) di cultura pop statunitense consumata senza spirito critico e con un atteggiamento da fandom esasperato.
Ma quando - per varie vicissitudini - il governo americano comincia a negargli lo statuto di persona per ricollocarlo a "cosa" o a "bene", egli deve dimostrare di non essere un oggetto bensì un essere umano. La battaglia giudiziaria narrata nella seconda parte del film - pur condita di violente scurrilità e dialoghi strepitosamente beceri - dice qualcosa di molto più serio del previsto sull'accesso giuridico e filosofico al concetto di persona. E quando poi Ted si ritrova al Comic-Con, in una specie di delirio "meta-pop" sul mondo della finzione, del giocattolo e della fan culture, tutto si salda, in una specie di chiamata alla cittadinanza e alla legittimità del mondo della fantasia e del personaggio - elemento già presente, in maniera certamente più teorica ed elaborata, in The Lego Movie e prima ancora nella serie di Toy Story.

Ancora più interessante il gioco sullo stereotipo. Ted non appare, per metafora, un esempio della battaglia di gay, afromaericani o migranti, visto che fin dall'inizio della lotta in tribunale questi esempi vengono esplicitamente branditi per trovare alleati nella giurisprudenza del passato. È il contrario: Ted deve provare di "meritarsi" quelle lotte civili, dimostrando la pura e semplice appartenenza all'umano consesso.
In buona sostanza, pur essendo francamente sproporzionato sbandierare Ted 2 come un grande film sui diritti civili mascherato da opera demenziale, sarebbe anche sbagliato liquidarlo come un sequel fiacco e ripetitivo. E se non tutte le gag funzionano, e talvolta il gusto di stupire diventa davvero discutibile, MacFarlane si conferma demiurgo interessante e capace, esattamente come i vari Farrelly, Apatow, Groening, Baron Cohen, Parker e Stone, e altri che in questi anni sono riusciti a riscrivere una cultura pop degna di questo nome.

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