sergio dal maso
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sabato 26 settembre 2015
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nel passato o nel futuro
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"Questo è quello che si vede da giovani: si vede tutto vicinissimo; quello è il futuro... e questo è quello che si vede da vecchi: si vede tutto lontanissimo; quello è il passato" Mick Boyle
Durante la lavorazione il titolo provvisorio del nuovo film di Paolo Sorrentino era In the future, nel futuro. Forse sarebbe stato più appropriato.
Non tanto perché i protagonisti di Youth - La giovinezza sono tutti anziani.
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"Questo è quello che si vede da giovani: si vede tutto vicinissimo; quello è il futuro... e questo è quello che si vede da vecchi: si vede tutto lontanissimo; quello è il passato" Mick Boyle
Durante la lavorazione il titolo provvisorio del nuovo film di Paolo Sorrentino era In the future, nel futuro. Forse sarebbe stato più appropriato.
Non tanto perché i protagonisti di Youth - La giovinezza sono tutti anziani. Il tema principale, la cornice che racchiude i visionari e immaginifici quadri che il maestro napoletano dipinge con i suoi tormentati personaggi e le loro storie, è l’inesorabile passare del tempo, con il passato che progressivamente sovrasta le aspettative nel futuro. Con la vecchiaia la speranza e la vitalità cedono alla disillusione, i desideri ai rimpianti e ai ricordi, i corpi logorati si abbruttiscono. E’ ancora possibile desiderare di vivere il futuro?
Youth si svolge quasi interamente in un albergo-resort di lusso nella quiete delle Alpi svizzere dove gli agiati e anziani ospiti vanno a riposare e rigenerarsi. Si ritrovano due vecchi amici.
Fred Balinger è un famoso direttore d’orchestra, oramai ritirato dalle scene. Si è rassegnato all’apatia e si lascia vivere, tanto che rifiuta persino di dirigere un concerto per la Regina d’Inghilterra. Mick Boyle, invece, è un importante regista, tenace e per nulla intenzionato a ritirarsi prima di aver girato il suo film-testamento. Il primo è accompagnato dalla figlia, il secondo soggiorna con un gruppo di giovani sceneggiatori con cui sta cercando l’ispirazione per il finale del suo film. Attorno ai due protagonisti ruota una serie di personaggi stravaganti e bizzarri, tra gli altri: un giovane attore in crisi perché non riesce a liberarsi dai ruoli hollywoodiani che lo hanno reso famoso, un asceta buddista in attesa della levitazione, un Maradona imbolsito e asmatico il cui corpo deforme è contrapposto alla bellezza ammaliante di una splendida Miss Universo.
Come i personaggi de La grande bellezza, di cui Youth per molti aspetti è la continuazione, anche questi rappresentano amaramente e malinconica-mente la decadenza e la crisi di chi vive il presente senza chiedere nulla al futuro. Con una differenza sostanziale. Mentre nel primo i vari personaggi, tanto esuberanti quanto sgradevoli, a partire da Jep Gambardella, erano di fatto dei falliti, sedicenti artisti e mondani frustrati, in Youth Fred e Mick sono degli artisti veri, hanno conosciuto e assaporato la bellezza dell’arte, vissuto una vita piena e creativa. Lo stesso Maradona è stato un’icona dello sport e della sua rappresentazione artistica.
Non c’è via di fuga neanche per loro. Il disincanto della vecchiaia conduce inevitabilmente alla crisi, alla difficile scelta se vivere ancorati al passato o trovare la forza di desiderare e immaginare un futuro.
Come sempre, però, le tematiche e le chiavi di lettura che i film di Sorrentino offrono sono molteplici: dal disagio esistenziale alla solitudine nella società odierna, dal rapporto generazionale tra genitori e figli all’arte e alla bellezza come possibilità di riscatto.
Nel microcosmo umano dell’albergo svizzero si alternano storie allegoriche e personaggi iconici, solo apparentemente slegati tra loro, in una struttura narrativa che procede per quadri filmici esteticamente stupefacenti.
Le immagini sontuose e ricercate, spesso visionarie e oniriche, sono associate a musiche avvolgenti e dialoghi brillanti, forse un po’ didascalici e aforistici, ma sempre suggestivi. Sorrentino sembra inseguire costantemente la perfezione estetica. Nell’uso geometrico della macchina da presa e dei carrelli è capace di virtuosismi incredibili e unici, tanto che le splendide immagini dei suoi film si riconoscono subito.
Se La grande bellezza era stato visto come la riproposizione attualizzata de La Dolce Vita felliniana, Youth non poteva che essere accostato a 8 e mezzo. In parte c’è del vero, i film del cineasta napoletano però hanno una poetica e una scrittura assolutamente personali.
Riguardo agli attori, l’interpretazione dei due protagonisti è semplicemente straordinaria: Micheal Caine e Harvey Keitel, due miti assoluti del cinema mondiale, danno vita a due personaggi intensi e malinconici. Fred e Mick hanno aspettative diverse rispetto al loro futuro, e questo dividerà le loro strade.
L’impossibilità di realizzare il suo film-culto, nel tentativo di ritrovare la giovi-nezza artistica, costituirà per Mick un trauma insuperabile.
Al contrario, Fred, accettando di ripren-dere in mano le bacchette e di dirigere il concerto tante volte rifiutato, sembra dirci che anche da vecchi si può continuare a vivere il presente, guardando al futuro senza rimpianti.
Senza più grandi passioni e smodati desideri, forse, ma ripartendo dalle canzoni semplici e dalla grande bellezza delle piccole cose.
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alex2044
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giovedì 21 maggio 2015
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commovente , profondo e spiritoso : grazie paolo !
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Un incipit musicale spiazzante poi il film incomincia a levitare e non si ferma più fino alla fine . Un film bellissimo commovente e spiritoso che parla della vita e della morte e del tempo che passa con tutti i nostri dubbi ed i nostri perchè. La fantasia è seminata piene mani . Le immagini sono di una bellezza abbagliante e poi i paesaggi , i personaggi , le battute intelligenti e profonde . Certo gli attori contano e sono fenomenali , naturalmente Michael Caine , ma Harvey Keitel , Paul Dano ( idea : con quella faccia un " po' così " alter ego di Sorrentino in qualche futuro film ? ), Rachel Weisz non sono da meno e Jane Fonda nel suo cameo è perfetta : che coraggio accettare di farsi truccare per sembrare più vecchia .
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Un incipit musicale spiazzante poi il film incomincia a levitare e non si ferma più fino alla fine . Un film bellissimo commovente e spiritoso che parla della vita e della morte e del tempo che passa con tutti i nostri dubbi ed i nostri perchè. La fantasia è seminata piene mani . Le immagini sono di una bellezza abbagliante e poi i paesaggi , i personaggi , le battute intelligenti e profonde . Certo gli attori contano e sono fenomenali , naturalmente Michael Caine , ma Harvey Keitel , Paul Dano ( idea : con quella faccia un " po' così " alter ego di Sorrentino in qualche futuro film ? ), Rachel Weisz non sono da meno e Jane Fonda nel suo cameo è perfetta : che coraggio accettare di farsi truccare per sembrare più vecchia . I comprimari tutti , perfino l'esagerato e claudicante falso Maradona, con l'aggiunta di una Miss Mondo intelligentissima sono azzeccatissimi. Ma il merito di tutto ciò è suo ,tutto suo, di Paolo Sorrentino un regista di livello mondiale , alieno ad ogni forma di provincialismo .Uno che rischia e butta sempre il cuore ed anche la mente oltre l'ostacolo e vince sempre le suo scommesse . Ogni paragone con il passato è fuorviante . Nel nostro cinema aver avuto un passato fenomenale non ci vieta dal poter avere un presente altrettanto importante . Non nego e non mi vergogno di dire che all fine del film ero commosso e che mi sono alzato quando , i titoli di coda , accompagnati da una colonna sonora vivace , moderna ma anche importante e colta sono finiti e si sono accese le luci . Il film era finito purtroppo .Fuori pioveva ma il mio vecchio cuore di appassionato di cinema era molto contento . Grazie Paolo Sorrentino , alla prossima !
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carlosantoni
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mercoledì 20 maggio 2015
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la gioventù. ovvero: la “grande bellezza” perduta
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Sorrentino si riconosce lontano un miglio, mi vien da dire come Caravaggio o Bernini o Beethoven. La sua estetica può disturbare anche parecchio (spesso mi disturba) o piacere moltissimo, in ogni caso se ne riconosce facilmente la cifra. Così è anche in “Youth – La giovinezza”, anche se francamente non capisco perché non abbia intitolato il suo film “Oldness – La vecchiaia”, visto che è di vecchiaia che parla, e non di gioventù. Il suo film è una ricognizione dolente e compassata sul senso della vecchiaia; al tempo stesso un manifesto di prorompente vitalità.
Lo stile di Sorrentino: fotografia splendida, e una mdp che si muove lentissimamente, avvicinandosi al soggetto come un cobra al topo che vuole divorare, avvolgendolo con ipnotizzanti movimenti rotatori, centrando ossessivamente primi piani, primissimi piani, necessari per rivelare impietosamente la natura delle cose, la sofferenza, l’incertezza.
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Sorrentino si riconosce lontano un miglio, mi vien da dire come Caravaggio o Bernini o Beethoven. La sua estetica può disturbare anche parecchio (spesso mi disturba) o piacere moltissimo, in ogni caso se ne riconosce facilmente la cifra. Così è anche in “Youth – La giovinezza”, anche se francamente non capisco perché non abbia intitolato il suo film “Oldness – La vecchiaia”, visto che è di vecchiaia che parla, e non di gioventù. Il suo film è una ricognizione dolente e compassata sul senso della vecchiaia; al tempo stesso un manifesto di prorompente vitalità.
Lo stile di Sorrentino: fotografia splendida, e una mdp che si muove lentissimamente, avvicinandosi al soggetto come un cobra al topo che vuole divorare, avvolgendolo con ipnotizzanti movimenti rotatori, centrando ossessivamente primi piani, primissimi piani, necessari per rivelare impietosamente la natura delle cose, la sofferenza, l’incertezza. E poi effetti che definire pirotecnici è poco: di un barocco stratosferico, colori e movimenti che esplodono davanti allo spettatore in una serie di invenzioni fantasmagoriche, a metà strada fra il pop e il decisamente kitsch, come nella strepitosissima sequenza della giovane cantante “brava a letto”, fidanzata del figlio di Mick: sequenza che parte come uno straordinario videoclip e termina come un sulfureo prodotto onirico. E poi il commento sonoro, così caldo, così coinvolgente!
Ma ancora sto parlando di ingredienti, piuttosto che della pietanza. E la pietanza che con somma maestria ci scodella Sorrentino, è ciò che siamo quando si è vecchi, con la percezione progressivamente affievolita non solo del desiderio e delle passioni, ma anche con una considerazione della realtà che è tanto apatica quanto imprecisa. Molto opportunamente, all’interno di un fraseggio quasi sempre privo di senso e di spessore, insomma volutamente inutile, spiccano due considerazioni: la prima, fondamentale, da parte del giovane attore Jimmy Tree, il quale più o meno (ci) dice: “Il desiderio: inquinato, immorale… non importa, è pur sempre ciò che ci muove”. La seconda, da parte di Keitel-Mick, diretta a Caine-Fred: “Non è affatto vero che le passioni (nel cinema: ma vale per la vita) non contano, anzi sono l’unica vera risorsa che abbiamo.
Valgono così tanto che quando alla fine Mick si rende conto di non averne più, preferisce “renderla”, come avrebbe detto Alex di “Arancia meccanica”. Questo gesto estremo, peraltro, riesce finalmente a smuovere dalla lunghissima apatia Fred, il quale finalmente accetta di rinunciare alla sua propria inossidabile icona e si concede a dirigere il concerto tanto bramato dalla regina d’Inghilterra.
Su questo ordito essenziale si tessono importanti trame, quali il rapporto tra Fred e sua figlia (Rachel Weisz) e… tra Fred e sua moglie, la cui assenza totale finisce per suscitare alla fine una certa sorpresa.
Ancora una osservazione: c’è un contrappasso evidente tra la perfezione formale degli esterni (le bellissime visioni dei paesaggi alpini svizzeri, spesso connotati dal disvelarsi progressivo delle figure dei protagonisti emergenti oltre i dossi di pianori in pieno rigoglio primaverile) o delle simmetrie pacatissime e levigate degl’interni, e l’irruzione delle contraddizioni di natura esistenziale dei vari protagonisti: è qualcosa che segna la dinamica del film. Come se Sorrentino volesse metterci in guardia circa l’inattendibilità della… “grande bellezza” dell’apparenza.
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[+] la giovinezza, non la vecchiaia
(di angelo cerisara)
[ - ] la giovinezza, non la vecchiaia
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pepito1948
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mercoledì 3 giugno 2015
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sorrentino, maestro indiscusso dell'immagine
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Vecchiaia, solitudine, riflessioni esistenziali, difficoltà intergenerazionali si intersecano ed interagiscono nel rapporto tra due figure opposte ma contigue, a confronto tra loro e con il micro-mondo circostante nell’oasi accogliente di un centro di vacanza immerso nella natura delle Alpi svizzere.
Poche cose accomunano Fred e Mick, una lunga amicizia ed una gloria ancora intatta, qualche presunto problema di prostata, una memoria barcollante, antiche contese d’amore, l’essere entrambi direttori di qualcosa. Oltre ad un corpo ormai in pieno declino e la brevità della prospettiva di vita. Ma molte sono le distanze: l’uno abituato al rigore dello spartito, alle geometrie musicali ed alle loro regole, all’estetica severa dell’armonia, al volo magico della composizione anche quando assume la forma di una canzone semplice, alla libertà recintata della bacchetta di direttore d’orchestra, l’altro classico prodotto del mondo sregolato del cinema, le cui colonne portanti sono la fantasia, la creatività, la trasgressività, la sospensione in attesa di un finale all’altezza che chiuda il cerchio.
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Vecchiaia, solitudine, riflessioni esistenziali, difficoltà intergenerazionali si intersecano ed interagiscono nel rapporto tra due figure opposte ma contigue, a confronto tra loro e con il micro-mondo circostante nell’oasi accogliente di un centro di vacanza immerso nella natura delle Alpi svizzere.
Poche cose accomunano Fred e Mick, una lunga amicizia ed una gloria ancora intatta, qualche presunto problema di prostata, una memoria barcollante, antiche contese d’amore, l’essere entrambi direttori di qualcosa. Oltre ad un corpo ormai in pieno declino e la brevità della prospettiva di vita. Ma molte sono le distanze: l’uno abituato al rigore dello spartito, alle geometrie musicali ed alle loro regole, all’estetica severa dell’armonia, al volo magico della composizione anche quando assume la forma di una canzone semplice, alla libertà recintata della bacchetta di direttore d’orchestra, l’altro classico prodotto del mondo sregolato del cinema, le cui colonne portanti sono la fantasia, la creatività, la trasgressività, la sospensione in attesa di un finale all’altezza che chiuda il cerchio. Ognuno ha i suoi assistenti: una figlia che alterna la carezza alla frusta, o vari collaboratori che si sfidano per fornire l’idea risolutiva.
Ma non c’è una “risoluzione” nella vecchiaia, in cui tutto oscilla nel tempo e diviene lontano come attraverso un binocolo impugnato al contrario, anche la giovinezza, quella giovinezza in cui ai ragazzi che galleggiano leggeri nel tempo il presente appare come una nitida montagna innevata a portata di occhio e di mano. Annaspando nel degrado del corpo e sotto il carico di un vissuto ingombrante, diventa allora irrinunciabile la ricerca della bellezza perduta o svanita tra ricordi senza contorni, che si materializza magicamente come epifania della donna più bella del mondo che entra con la sua smagliante carnalità sinuosa nella piscina (prima citazione felliniana: Anita nella Fontana di Trevi).
La paura dello sfilacciarsi della memoria, sia essa ricordo o sensazione inconscia, ci condiziona e ci amareggia, non solo perché è perdita, ma soprattutto perché è impossibilità di trasmettere ai nostri figli il patrimonio di esperienze vissute e quindi di annullarne ogni traccia (“il problema non è quello dei ricordi, quanto la sproporzione fra le cose che facciamo e quello che rimane”).
La comunicazione è lo strumento che tiene vivo lo scambio delle riflessioni e dà colori cangianti ai rispettivi vissuti, rianima o rivela antichi segreti, illumina di senso antichi tracciati. Gli sguardi dei due interlocutori si incrociano e si interrogano, si scavano e si sfidano, come sul silenzio di una coppia che sembra emotivamente inerte perché non c’è la parola tra loro; ma la comunicazione non può ridursi a parola, con la sua concettualità definita, la sua incapacità di esprimere e trasmettere i più sfuggenti refoli di irrazionalità; uno schiaffo ed un rapporto “folle” nella natura piena di suoni che non sono fonemi umani possono significare più di ogni scambio verbale.
Già, gli sguardi, spesso mostrano ma non rivelano: quello acquoso, incorniciato in occhiali angolari e seriosi sotto un cappello a falda abbassata e sopra una pesante giacca abbottonata (seconda citazione del Fellini come figura pubblica), circondato da una selva di rughe ondulate, sembra denotare imperturbabilità, immobilità, rassegnazione, ma sarà lui, il direttore d’orchestra in pensione, a chiudere il viaggio con un ritorno ai fasti passati che diventa “rinascita”. L’altro sguardo, incastonato in giovanili tondeggianti Ray Ban, vispo e in cerca di nuove idee, sprizza voglia di futuro e di nuovi stimoli, ma sarà lui, il regista acclamato, a dare un finale imprevisto e involutivo al suo travagliato film.
Attorno ai due si snoda l’esistenza di un’umanità dai marchi e dai destini diversi e che incarnano malinconia, leggerezza, fobie, superficialità, dubbio, trasformazione, insomma la summa della realtà umana in tutta la sua gamma di possibilità e multivettorialità: come il grande campione che fu, ormai sfatto e ossessionato dal suo piede sinistro ancora infallibile, la giovane escort indotta dalla madre a dare qualche attimo di vitalità a vecchi danarosi, l’attore famoso per le performance di robot, che sceglie di rappresentare il meglio anziché il noto peggio di un personaggio immortalato dalla Storia per la sua scelleratezza, i vecchi immobili nella sauna nebbiosa che non hanno nulla da comunicarsi se non la loro irrilevanza esistenziale (terza citazione da Fellini: la scena cupa nel bagno termale del Satyricon).
Alla fine del viaggio in questo pezzo di umanità ( e della rivisitazione critica del proprio mosaico interiore), Fred riapre la porta autoblindata del suo passato e si concede un bis di se stesso nella sua composizione più bella. E più semplice. Per dire che, se la vita è fiction secondo la definizione dell’amico Mick, forse non è così complicata come ci sembra. Forse è come una Canzone Semplice. Forse è come lo sfondo bianco su cui si staglia l’orchestra-umanità polistrumentale. Forse dipende solo da come la si interpreta.
Tutto questo ci rappresenta Sorrentino con la gigantesca potenza visiva delle sue immagini, supportato dall’estro compositivo del direttore della fotografia Luca Bigazzi. Non c’è nulla di vuotamente estetizzante (come in parte era accaduto nel finale della Grande bellezza), nulla di superfluo rispetto all’intento di fornire una descrizione di un’umanità sbandata, disorientata in perenne ricerca di una ricchezza di sé da accumulare o da utilizzare o da difendere, a seconda del contingente segmento di tempo. La critica sociale cede il passo alla comprensione, all’affettuosa, tenera vicinanza a chi come Giano si ponga il problema di conciliare le due visioni (passato e futuro) in una sintesi che, attraverso il gioco delle nascite e rinascite, dia senso compiuto alle proprie scelte.
Le immagini generano e veicolano il percorso emotivo molto più dei dialoghi, che peraltro coronano degnamente il contesto visivo: splendido il breve monologo sul desiderio dell’attore nei panni hitleriani, toccante la montante reprimenda tra lacrime a stento trattenute della figlia di Fred, che scorre tra devota ammirazione e sottili risentimenti. L’uso magistrale dei primi piani, il ricorso ad elementi simbolici e plurivalenti come l’acqua (la bellezza intrinseca delle luci riflesse nell’acqua alta di Venezia, la capacità perturbante nel sogno dell’affondamento, l’effetto deformante in piscina), lo stile raffinato e fantasmagorico, la temerarietà mai spigolosa nei passaggi repentini di registro tra dramma, ironia e visionarietà, fanno di Sorrentino il grande maestro della poetica del disagio esistenziale tramite la forza d’urto dell’Immagine, generatrice di un immaginario che non porta all’identificazione diretta nei personaggi ma ci fa pensare alla condizione di incompiutezza del genere umano, nel cui caos direttamente o nascosta tra le pieghe dell’apparentemente impercettibile puoi sempre trovare –a compensazione- la Bellezza nelle sue infinite forme.
Come quella di una giovane massaggiatrice che non aspirerà mai a Miss Universo, ma sa vibrare di grazia e morbidezza grazie alla scoperta della propria femminilità tramite il contatto con il corpo benché avvizzito dei suoi clienti ed alla cosciente assimilazione del meglio che la realtà circostante ci offre ogni giorno.
Oltre ad un cast superbo, tra i protagonisti assoluti è la colonna sonora (“La musica non ha bisogno delle parole né delle esperienze. La musica c’è..”), emotivamente culminante nella splendida Simple Song di David Lang, nella travolgente interpretazione del soprano Sumi Jo.
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andrea giostra
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lunedì 15 giugno 2015
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non è un film per tutti!
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Prima di scrivere questa recensione ne ho lette diverse. Ho sentito diversi commenti di amici che amano il cinema e lo vivono con passione e competenza. E’ sulla base di queste prime valutazioni che mi sento di affermare che l’ultimo film di Paolo Sorrentino, Youth, non è un film per tutti. Nel senso che non tutti gli amanti del cinema, ovvero coloro che vanno al cinema per divertirsi e rilassarsi, riescono ad apprezzare questo film che a mio avviso è un vero capolavoro narrativo prima ancora che cinematografico. “Youth” aderisce perfettamente all’approccio culturale contemporaneo di matrice francese, che vede il cinema come il vero erede della filosofia quale arte del pensiero e della riflessione sul senso della vita, per migliorare la propria vita terrena, e per arrivare alla Saggezza frutto di sani principi quali l’Etica, la Moralità e l’Estetica.
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Prima di scrivere questa recensione ne ho lette diverse. Ho sentito diversi commenti di amici che amano il cinema e lo vivono con passione e competenza. E’ sulla base di queste prime valutazioni che mi sento di affermare che l’ultimo film di Paolo Sorrentino, Youth, non è un film per tutti. Nel senso che non tutti gli amanti del cinema, ovvero coloro che vanno al cinema per divertirsi e rilassarsi, riescono ad apprezzare questo film che a mio avviso è un vero capolavoro narrativo prima ancora che cinematografico. “Youth” aderisce perfettamente all’approccio culturale contemporaneo di matrice francese, che vede il cinema come il vero erede della filosofia quale arte del pensiero e della riflessione sul senso della vita, per migliorare la propria vita terrena, e per arrivare alla Saggezza frutto di sani principi quali l’Etica, la Moralità e l’Estetica.
Sorrentino in Youth maneggia con estrema maestria, eleganza e apparente leggerezza i grandi temi dell’uomo di ogni epoca: il senso della vita, il tempo, l’amore, la giovinezza, la vecchiaia, la fedeltà, il tradimento, il romanticismo, la passione, la bellezza, la cultura, la sensibilità, le arti quali espressione dell’animo umano, la speranza, il futuro, la fiducia, la disperazione, il significato del suicidio, la famiglia, l’amore filiale e l’amore dei figli verso i genitori, insomma tutti i concetti che dall’origine dell’uomo sono stati al centro della sua riflessione e del suo pensiero speculativo e filosofico.
Il film narra di due grandi artisti oramai anziani (impersonati dai magnifici Michael Caine e Harvey Keitel), amici da sempre, che sulla soglia degli ottanta anni decidono di passare nello stesso Resort di lusso svizzero, alle pendici delle Alpi, un periodo di vacanza e di riposo. Caine è un compositore di fama mondiale che ha abbandonato i teatri per la pensione; Keitel un grande regista hollywoodiano che sta lavorando al suo ultimo film testamento insieme ai suoi fidati collaboratori. Caine pensa che il modo migliore per abbandonare il successo e la grande notorietà, sia l’uscita di scena silenziosa e riservata. Keitel, invece, vuole uscire di scena con la sua ultima opera, un film testamento che dovrà entrare nella storia del cinema.
E’ dal confronto tra i due grandi artisti, Caine e Keitel, che Sorrentino ci parla dei grandi temi dell’uomo di ogni tempo. E’ da come Caine e Keitel osservano gli ospiti e il personale del Resort, e ne commentano le azioni, i discorsi, i silenzi, le posture, che ci fa entrare in un flusso di pensieri straordinariamente ricco e stimolante, come tanti aghi di medicina cinese che ci vengono infilati lentamente nel corpo e che, stimolando punti precisi del nostro cervello, scatenano emozioni e riflessioni che altrimenti mai avremmo fatto. Ed è a questo punto che il film di Sorrentino si inquadra come “cinema che prende il posto della filosofia”. Ed è per questo stesso motivo che Youth non è un film per tutti.
PS - Per concludere questa breve recensione, parafrasando Aristotele, potremmo dire che chi pensa che nel ventunesimo secolo per essere uomini e donne al passo coi tempi, colti e stimolati nel pensiero e nella riflessione, non sia necessario andare al cinema per vedere film come Youth, dà l’addio alla vita poiché tutte le altre arti al confronto appaiono solo come chiacchiere e vaniloqui.
“Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui”. Aristotele, Protreptico o Esortazione alla filosofia, 350 a.C..
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maopar
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domenica 24 maggio 2015
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full immersion in the beauty farm " sorrentino"
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LA GIOVINEZZA
Nell’esclusivo BEAUTY FARM di antica e collaudata esperienza, si cura non solo il corpo ma anche l’anima,
in un tutt’uno ben studiato da una regia fatta da medici e maestranze impeccabili, per cui tutto è curato
con protocolli noti, che i clienti habituè del posto riescono addirittura ad anticipare..
In questo contesto paradisiaco dove il tempo è diradato, Sorrentino da sfogo al suo più efficace metodo
Narrativo , il dialogo a confronto: generazioni, amicizie e vecchie glorie ….
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LA GIOVINEZZA
Nell’esclusivo BEAUTY FARM di antica e collaudata esperienza, si cura non solo il corpo ma anche l’anima,
in un tutt’uno ben studiato da una regia fatta da medici e maestranze impeccabili, per cui tutto è curato
con protocolli noti, che i clienti habituè del posto riescono addirittura ad anticipare..
In questo contesto paradisiaco dove il tempo è diradato, Sorrentino da sfogo al suo più efficace metodo
Narrativo , il dialogo a confronto: generazioni, amicizie e vecchie glorie ….
I personaggi prendono posto nella trama del film delineandosi con tratti caratteriali, riferendo sentimenti
molto comuni e veri , spingendo lo spettatore all’ identificarsi con qualcuno di loro.
Le riprese sono superbe , fino a distinguere i pori della pelle ,si va su e giù con le dita della
massaggiatrice che , con un sottofondo musicale stupendo , anche lo spettatore ne riceve i benefici
effetti …
Il corpi nudi, belli o brutti, immersi in acque cristalline, sospesi e leggeri cosi come si avvicendano i
dialoghi , tutto contornato da ambienti rilassanti ,paesaggi superbi ..
In questo perfetto contesto si analizza l‘individuo come creatura con la loro storia passata, anche di
grande notorietà ,che hanno dispensato bellezza in vari settori, Sport, Cinema , Musica. .ma si arriverà a
comprendere che siamo tutte” comparse” in questo universo…
Cosa realmente si cerca. .recuperare le energie….rimettersi in sesto dopo aver già profuso tanto ...
Ma si prendere coscienza che la giovinezza lascerà il corpo alla vecchiaia senza accorgersene
E senza che i check up segnalino alcun ché di anomalo… Solo la passione per le cose della vita
darà voglia di vivere , motivo di provare a ricominciare ogni giorno…
Dopo due ore intense, di musica speciale, paesaggi mozzafiato dialoghi superbi… storie coinvolgenti,
dovremmo essere K.O.
Invece ti scopri una serenità che non ti aspettavi…una sensazione di pace che durante il film non era
Percepibile, addirittura in alcuni momenti proprio il contrario…Ma Sorrentino è consapevole di questo
potere terapeutico che ha il suo film ?
A ogni spettatore , soddisfatto o deluso che sia, rimarrà nel suo subcosciente un benefico effetto …..
Dell’ esclusivo Beauty Farm
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michele
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giovedì 21 maggio 2015
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un altro cinema
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Indipendentemente da quello che possono dire le recensioni su questo film c’è un principio da tenere a mente: a chi non piace Sorrentino, non lo apprezzerà neanche questa volta. La matrice tecnica e soprattutto stilistica del suo cinema si rigenera anche in questa pellicola e ci mostra tutta la sua potenza, tutti i suoi pregi e anche i difetti. L’universo sorrentiniano è affascinante, si costruisce di una visionarietà stupefacente che da vita ad immagini dotate di una grande forza espressiva , immagini che costruiscono un mondo ibrido tra quello reale e quello del tutto surreale. In questo spazio tra la fantasia e il concreto, si genera il suo cinema e riesce a regalare dei momenti di grande intensità emotiva.
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Indipendentemente da quello che possono dire le recensioni su questo film c’è un principio da tenere a mente: a chi non piace Sorrentino, non lo apprezzerà neanche questa volta. La matrice tecnica e soprattutto stilistica del suo cinema si rigenera anche in questa pellicola e ci mostra tutta la sua potenza, tutti i suoi pregi e anche i difetti. L’universo sorrentiniano è affascinante, si costruisce di una visionarietà stupefacente che da vita ad immagini dotate di una grande forza espressiva , immagini che costruiscono un mondo ibrido tra quello reale e quello del tutto surreale. In questo spazio tra la fantasia e il concreto, si genera il suo cinema e riesce a regalare dei momenti di grande intensità emotiva. In ‘The Youth’ ci sono tutti questi aspetti, c’è quindi tutto Sorrentino. La prima parte è impeccabile, perfetta, a tratti il suo miglior cinema di sempre, personaggi eccellenti nell’interpretazione, ma soprattutto nella loro caratterizzazione, in particolar modo lo sono quelli collaterali che fanno da contorno ai due mostri sacri Caine e Keitel, vedi un magnifico Paul Dano, per non parlare d’invenzioni meravigliose con Maradona. Rispetto ai suoi lavori precedenti, ‘La grande bellezza’ in primis, c’è forse qui più linearità e razionalità, non manca la visionarietà naturalmente, ma si tratta di una visionarietà ben calibrata e attinente a quello che ci viene mostrato, il regista ci porta e ci guida con mano all’interno di un mondo semifantastico. Come quando s’impara ad andare in bicicletta però poi, a un certo punto, ci accorgiamo che non c’è più nessuno che ci guida e che ci si sostiene, ma pedaliamo da soli e Sorrentino dopo averci insegnato a capire il suo mondo, ci lascia completamente perderci all’interno di esso, in un vortice di meraviglia, ma anche confusionario, dove non tutto si lega perfettamente, dove non c'è possibilità di decifrazione neanche un libretto delle istruzioni. Si esce frastornati e confusi, sconvolti da tanta bellezza e pieni di dubbi, di domande, ma come difronte a un’opera d’arte quello che ti rimane dentro trascende molti interrogativi, conta l’emozione al primo impatto.
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sbreggio93
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sabato 23 maggio 2015
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l'eredità
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Youth - La giovinezza, come avrete letto in molte recensioni, è un film ambientato in un lussuoso hotel svizzero, dove due amici di una certa età passano le loro vacanze lontani dal mondo che li ha affaticati. Quello che posso dire io è che si tratta di un film che mi ha lasciato parecchi spunti di riflessione, sulla mia età (giovane), sull'amicizia, sull'egoismo e sulla bellezza.
Di sicuro i riferimenti ai grandi autori è presente, ho letto che più critici lo paragonano a 8½ di Fellini, ed è vero, non mancano nemmeno richiami letterari.
Mi chiedo a chi sia indirizzata quest'opera, se ad un giovane come me o ad una persona matura ed ormai anziana. La risposta che mi sono dato è che sono vere entrambe: è rivolto a me, in primis, perché parla del peso dell'eredità.
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Youth - La giovinezza, come avrete letto in molte recensioni, è un film ambientato in un lussuoso hotel svizzero, dove due amici di una certa età passano le loro vacanze lontani dal mondo che li ha affaticati. Quello che posso dire io è che si tratta di un film che mi ha lasciato parecchi spunti di riflessione, sulla mia età (giovane), sull'amicizia, sull'egoismo e sulla bellezza.
Di sicuro i riferimenti ai grandi autori è presente, ho letto che più critici lo paragonano a 8½ di Fellini, ed è vero, non mancano nemmeno richiami letterari.
Mi chiedo a chi sia indirizzata quest'opera, se ad un giovane come me o ad una persona matura ed ormai anziana. La risposta che mi sono dato è che sono vere entrambe: è rivolto a me, in primis, perché parla del peso dell'eredità. La frase sulla leggerezza (che vi invito a cogliere) riguarda anche questo: su come la gente viene ricordata, che sia una giovane star hollywoodiana o un vecchio maestro di musica classica. L'eredità è la chiave della Giovinezza, perché prevede due cose inscindibili: ci dev'essere chi è disposto a lasciarla e chi la riceve. E c'è uno sforzo immane che sottende questo processo, che certe volte porta a modesti risultati, per colpa di uno dei due personaggi coinvolti nello scambio.
Si parla anche di bellezza, che sia questa estetica, come la meravigliosa Miss Universo, o sensuale, come la massaggiatrice, o anche tenera e già sfiorita, come la escort dell'hotel. La belllezza è quella forza universale (appunto), che unisce e fa da collante tra una generazione e l'altra. È una responsabilità che deve essere inevitabilmente lasciata a chi può goderne e vedere così il futuro vicino, vivido: è nell'ordine naturale delle cose.
Ho deciso di dare questo voto perché credo che quando si parla di Sorrentino si parla di una delle eccellenze italiane, e per questo vada valorizzato, ma, al di là di questo, a me ha dato molto e lo devo ringraziare.
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giank51
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domenica 24 maggio 2015
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la montagna incantata di sorrentino.
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E' strano che nessuno abbia colto la citazione fondamente di questo film. "Youth" è la trasposizione cinematografica di un grande libro di Thomas Man: " Der Zauberberg".
Nel romanzo le vicende dei vari personaggi sono inserite nel famoso sanatorio di Davos in Svizzera: Il Berghof. All'epoca della vicenda narrata da Thomas Man si andava in Svizzera per curare la tubercolosi, nel film di Sorrentino nel grande albergo svizzero si cura la vecchiaia fisica e spirituale. Al posto dei due cugini tedeschi: Hans Castorp e Joachim nel film troviamo Michael Caine e Harvey Keitel ma in entrambi i casi si crea quel rapporto intenso attorno al quale ruotano le diverse figure sia del film che del libro.
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E' strano che nessuno abbia colto la citazione fondamente di questo film. "Youth" è la trasposizione cinematografica di un grande libro di Thomas Man: " Der Zauberberg".
Nel romanzo le vicende dei vari personaggi sono inserite nel famoso sanatorio di Davos in Svizzera: Il Berghof. All'epoca della vicenda narrata da Thomas Man si andava in Svizzera per curare la tubercolosi, nel film di Sorrentino nel grande albergo svizzero si cura la vecchiaia fisica e spirituale. Al posto dei due cugini tedeschi: Hans Castorp e Joachim nel film troviamo Michael Caine e Harvey Keitel ma in entrambi i casi si crea quel rapporto intenso attorno al quale ruotano le diverse figure sia del film che del libro.
Ma di cosa si parla nel film e nel romazo manniano? Si parla del tempo. Questo è il nucleo concettuale di entrambi. La "Montagna incantata" è considerato un romanzo iniziatico in quanto la vacanza determina un radicale cambiamento nel protagonista Hans Castorp; cambiamento che si verifica come coneguenza di una nuova comprensione del tempo.
Nel film il processo iniziatico è lievemente diverso nel senso che M. Caine più che riformulare una personele concezione del tempo approda invece alla consapevolezza della vacuità dell'esistenza. Vi siete chiesti il significato della presenza nel film del monaco buddista? Il monaco all'interno di un'albergo dove si manifesta la superficialità delle varie esperienze esistenziali (tradimenti, vuoti mentali, esibizionismi di vario tipo..) testimonia che a qualcosa d'altro devono servire le varie terapie alle quali si sottomette una sprovveduta umanità. Il monaco non è mai riuscito a levitare sino alla fine del film; egli levita dopo che M. Caine è arrivato alla sua verità: tutto è vanità (carriera, soldi, sesso etc..) l'uomo si salva negli affetti e nella capacità di vivere profondamente le emozioni. L'amico H. Keitel soccombe invece, si uccide perchè non ha completato la sua iniziazione ( è rimasto un uomo anziano inutilmente competitivo). Anche nel romanzo il protagonista abbandona alla fine il Berghof ma per andare a combattere nella Prima Guerra mondiale; nel film M. Caine lascia l'albergo ma è pronto a vivere autenticamente le sue emozioni.
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daniele fanin
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venerdì 12 giugno 2015
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youth: la meglio bellezza
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L’ultimo film di Sorrentino, di ritorno a Cannes dopo il successo planetario dell’Oscar per il Miglior Film Straniero (ma proprio la Croisette aveva snobbato il film che poi avrebbe trionfato all’Academy Award), potrebbe e dovrebbe piacere sia agli estimatori del regista e sceneggiatore napoletano, per l’usuale raffinatezza delle immagini e l’icasticità di alcune battute, che ai suoi detrattori, per l’inaspettata solidità e coerente sviluppo di una storia, abilità non sempre dimostrata in passato dal regista di La Grande Bellezza.
E si trova molta più bellezza in Youth che nel precedente film di Sorrentino, proprio per la sapiente miscela di immagini e narrativa, per la buona compattezza del linguaggio e della scrittura cinematografici, purtroppo latenti nella serie di quadretti calligrafici che era La Grande Bellezza.
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L’ultimo film di Sorrentino, di ritorno a Cannes dopo il successo planetario dell’Oscar per il Miglior Film Straniero (ma proprio la Croisette aveva snobbato il film che poi avrebbe trionfato all’Academy Award), potrebbe e dovrebbe piacere sia agli estimatori del regista e sceneggiatore napoletano, per l’usuale raffinatezza delle immagini e l’icasticità di alcune battute, che ai suoi detrattori, per l’inaspettata solidità e coerente sviluppo di una storia, abilità non sempre dimostrata in passato dal regista di La Grande Bellezza.
E si trova molta più bellezza in Youth che nel precedente film di Sorrentino, proprio per la sapiente miscela di immagini e narrativa, per la buona compattezza del linguaggio e della scrittura cinematografici, purtroppo latenti nella serie di quadretti calligrafici che era La Grande Bellezza.
In un albergo termale molto esclusivo sulle alpi svizzere confluiscono, come elefanti alla pozza d’acqua nella sera della savana, ospiti di tutte le età e le provenienze, ciascuno in cerca di qualcosa di diverso ma accomunati dalla mancanza di questo qualcosa. Volando con la lentezza e leggerezza di un aliante sopra le vicende di Fred, grande musicista e direttore d’orchestra a riposo alla ricerca di una dimensione umana oltreché musicale, e di Mick, famoso regista alla ricerca di un ultimo film che possa suggellare in maniera esemplare una carriera da sogno ma in lento ed inesorabile declino, il film ci conduce per mano, con maestria e toccante coinvolgimento, all’opposto esito di queste due ricerche, armonico in Fred, distonico in Mick.
Interessante nella scelta del titolo, che identifica la giovinezza con la ricerca e la crescita interiori più che con l’età biologica del corpo, Youth è strutturato su livelli decrescenti ma fortemente coesi ed integrati: un Protagonista (un misurato e convincente Michael Caine nel ruolo di Fred), un co-protagonista (l’inossidabile Hervey Keitel come Mick), due non-protagonisti (un’emotivamente coinvolta Rachel Wiesz nel ruolo della figlia di Fred ed un misurato ed accattivante Paul Dano nei panni dell’attore di successo californiano), cui fa da contorno un corifeo di personaggi delineati con poche ma precise pennellate cinematografiche da personaggi della commedia dell’arte: il campione di calcio oltre il tramonto, la massaggiatrice con poche cose da dire, la guida alpina, Miss Universo, l’emissario della regina, la star 100% made in Hollywood, cui Jane Fonda presta con ironia ma scarsa efficacia il proprio carisma, la composita miscela di giovani sceneggiatori, la coppia silenziosa.
La rischiosa strategia di mescolare una finta realtà (la regina, la vera pop start, il campione) alla vera finzione narrativa è risultata vincente: Youth con ogni probabilità non raccoglierà i premi ed il successo di La Grande Bellezza ma rappresenta sicuramente un passo in avanti molto deciso verso la piena maturità registica e di scrittura di Paolo Sorrentino.
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