greatsteven
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giovedì 13 luglio 2017
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in vacanza a primavera, riflessioni su vecchiaia.
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YOUTH – LA GIOVINEZZA (IT/UK/FR/SVIZZ, 2015) diretto da PAOLO SORRENTINO. Interpretato da MICHAEL CAINE, HARVEY KEITEL, PAUL DANO, RACHEL WEISZ, JANE FONDA
Introdotto dal titolo che poi ricompare anche nel finale, è la storia dell’amicizia fra due uomini anziani, alla soglia degli ottant’anni: l’ex compositore e maestro d’orchestra Fred Ballinger e il regista cinematografica ancora in attività Mick Boyle. Amici di vecchissima data, alloggiano nello stesso albergo svizzero alle pendici delle Alpi, trascorrendo pigre giornate fra saune, massaggi e passeggiate fra i sentieri montuosi. Fred ha composto brani da lui stesso denominati "canzoni semplici", ha diretto l’orchestra di Venezia, è vedovo della moglie Melanie, cantante lirica per cui scrisse pezzi musicali destinati espressamente a lei, rifiuta di lavorare per la Regina d’Inghilterra che gli invia all’hotel un corrispondente giornalistico, è restio a buttare giù una sua autobiografia per conto di una società editoriale francese e, assistito dalla paziente e delusa figlia Lina, ha ormai un concetto della musica che lo inquadra come pensionato senza più illusioni né ambizioni da coltivare.
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YOUTH – LA GIOVINEZZA (IT/UK/FR/SVIZZ, 2015) diretto da PAOLO SORRENTINO. Interpretato da MICHAEL CAINE, HARVEY KEITEL, PAUL DANO, RACHEL WEISZ, JANE FONDA
Introdotto dal titolo che poi ricompare anche nel finale, è la storia dell’amicizia fra due uomini anziani, alla soglia degli ottant’anni: l’ex compositore e maestro d’orchestra Fred Ballinger e il regista cinematografica ancora in attività Mick Boyle. Amici di vecchissima data, alloggiano nello stesso albergo svizzero alle pendici delle Alpi, trascorrendo pigre giornate fra saune, massaggi e passeggiate fra i sentieri montuosi. Fred ha composto brani da lui stesso denominati "canzoni semplici", ha diretto l’orchestra di Venezia, è vedovo della moglie Melanie, cantante lirica per cui scrisse pezzi musicali destinati espressamente a lei, rifiuta di lavorare per la Regina d’Inghilterra che gli invia all’hotel un corrispondente giornalistico, è restio a buttare giù una sua autobiografia per conto di una società editoriale francese e, assistito dalla paziente e delusa figlia Lina, ha ormai un concetto della musica che lo inquadra come pensionato senza più illusioni né ambizioni da coltivare. Mick ha diretto venti film, di cui undici con protagonista la diva coetanea Brenda Morel, è ritenuto un cineasta di venerabile talento ormai però in fase calante, intende realizzare con la sua ultima opera cinematografica il suo testamento morale e intellettuale, ha un figlio, Julian, con cui non va d’accordo e che tradisce Lina (la figlia del suo migliore amico) per accoppiarsi con una becera popstar, Paloma Faith, che lui stesso reputa eccellente sotto le lenzuola. In comune hanno poco o niente, ma l’età avanzata e i rimpianti di una gioventù sprecata e forse non pienamente esperita li fanno divergere sulle scelte di vita, sui motivi che le hanno animate e sui moti istintivi che li hanno condotti a scegliere l’arte come strumento d’espressione interiore. Loro compagno di chiacchierate e passeggiate è l’attore-sceneggiatore Jimmy Tree, quarantenne, ricordato solo per un personaggio, Mr. Q, un robot provvisto di pesante armatura con cui sfondò al botteghino, e da lui ritenuto un lavoro di caratura inferiore rispetto ad altri film da lui interpretati e sceneggiati. Mick è alla ricerca, insieme ai suoi cinque giovani sceneggiatori, idealisti inconsapevoli e focosi combattenti di principio, di un finale per il suo film-testamento, mentre Fred magari non è così recalcitrante all’idea di tornare sul palcoscenico e muovere di nuovo le mani davanti ad un gruppo di orchestrali, un violino solista e una soprano d’eccezione… Dopo This Must Be The Place (2011) e La grande bellezza (2013), il premio Oscar di casa nostra rispolvera il discorso del perché dell’arte, e realizza una profondissima analisi che bissa le due precedenti, per come affronta il tema con caparbietà, lucidità, rigore stilistico e apertura mentale. Mette in campo due protagonisti egualmente sconfitti e compassati per certi versi, ma che rimangono comunque con parole importanti da dire e comunicare alla vita, che in fondo è l’unico elemento a remargli contro, mentre tutti coloro che li circondano li ammirano, li vedono come artisti con un bagaglio culturale ancora non esaurito, e pronto a scaturire sottoforma di fotogrammi od opere sinfoniche da eseguire davanti ad un pubblico strabiliato per tanta bravura. Due mondi a confronto, due velleità artistiche che differiscono significativamente fra loro, due modus operandi agli antipodi che collimano, pur facendosi da contraltare o probabilmente proprio per questa ragione, creando un gigantesco, soave ed etereo paragone che spinge a rilevanti riflessioni. Il loro controcanto è dall’altra parte del proscenio: i giovani. Lina (una Weisz in piena forma e, malgrado la recitazione sostenuta, molto raggiante) fronteggia un trauma sentimentale considerevole e che tutto sommato non merita, considerandosi un portento a letto, e riesce a cogliere ancora nell’apatico (così si esprime lei) padre un barlume di vivacità e creatività, spingendolo a rimettersi in gioco e in discussione finché non ne uscirà un esito tutt’altro che trascurabile; Jimmy Tree (Dano, laconico e prodigioso, che si prende in giro comparendo anche vestito da Adolf Hitler, una mattina, nel tentativo di individuare fra i clienti occasionali dell’albergo qualche degna comparsa per un progetto) capisce che i suoi spettatori lo ammirano esclusivamente per un ruolo da far impazzire il box office, ma in un negozio di souvenir rumorosi una bambina ammette di aver apprezzato un suo film sul rapporto padre-figlio, esaminato con vigore e ambiguità, riempiendogli il cuore di gioia. Ma Sorrentino è bravissimo a schivare la trappola della retorica e del moralismo, mettendo al bando ogni vizio di forma sentimentalista, e non dà un giudizio favorevole ai vecchi o ai giovani, ma comprende le motivazioni di entrambi i gruppi esprimendo il suo unico giudizio sulla necessità di rendere straordinaria la propria esistenza come un’opera d’arte. Un’opera che si costruisce con gli anni, col passare del tempo, con interesse e impegno profusi in reciproco equilibrio, rischiando spesso di andare incontro a contrasti feroci e ridimensionamenti spaventosi, ma sempre mantenendo saldo al comando il gusto di praticare l’arte per l’arte, un piacere autoreferenziale che può condurre a due estremi opposti. Esemplare è, in tal senso, il suicidio di Mick nel sottofinale, il che porta lo sconfortato e accorato amico Fred a tornare a Venezia portando dei fiori per la moglie defunta e a fare una gloriosa ricomparsa a teatro e dirigere l’orchestra italiana, nei modi e nelle strutture che l’emissario britannico al servizio di Her Majesty gli aveva richiesto. Con un ruolo che non tocca neanche i dieci minuti sullo schermo, Fonda regala al pubblico un autoritratto inquieto e sofferto, con la sua attrice disillusa, arcigna e cinica, ma in fondo anche realista, che respinge la parte di protagonista nella pellicola del suo scopritore Mick, che le replica ricordandole di averla scoperta lui e di averla sottratta al meccanismo distruggente dello star system hollywoodiano, sicché lei controbatte di esserci stata benissimo e che lui ha sprecato il suo talento rincorrendo fantasie fatue e speranze vane. Numerosi pezzi di bravura, un andamento che fa della lentezza un punto di forza, nessun frammento d’immagine o spezzone di dialogo posto dove non servisse, una recitazione dei comprimari sobria e funzionale, una fotografia (Luca Bigazzi) che ritrae con parsimonia i verdi paesaggi alpini, una scenografia (Ludovica Ferrario) asciutta e comprensiva di un ambiente che accoglie a braccia aperte i suoi caratteri e, infine, le musiche originali di David Lang che scandiscono, fra motivi classici e spaccature dirompenti delle più recenti avanguardie musicofile, il ritmo di una narrazione che procede sulle note di un pentagramma che racchiude tutta l’esistenza, grazie alla rappresentazione di quello che aspira a diventare il migliore brano di un regista non ancora cinquantenne, che finora ha dato ottime prove del suo talento immenso e ha centrato il bersaglio superando davvero sé stesso. Sorrentino è una promessa che farà ancora parlare molto di sé, soprattutto dopo il fatto che, ad ogni fuoriuscita nuova, fa scoprire alla critica un frammento della propria personalità artistica che stupisce per freschezza e originalità.
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peer gynt
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domenica 9 agosto 2020
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un pretenzioso contenitore di banali aforismi
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Forse Sorrentino si crede il Thomas Mann del cinema, visto che riunisce un paio di protagonisti a parlare di arte e vita nello stesso luogo di quel romanzo (il Berghotel Sanatorium Schatzalp). Ma ancora una volta dimostra invece di essere un cineasta (tecnicamente bravo, non si discute) che vende "arte". Sa che c'è chi la compra e lui la vende, da buon affarista. Sa curare come pochi fotografia e colonna sonora, ci mette dentro attori internazionali che sono un pezzo di storia del cinema (Caine, Keitel, Fonda) e che reciterebbero bene anche l'elenco del telefono. E fin qui il tutto potrebbe anche starci. Poi, però, Sorrentino ci mette dentro anche del puro e genuino "Sorrentino touch", e qui casca l'asino.
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Forse Sorrentino si crede il Thomas Mann del cinema, visto che riunisce un paio di protagonisti a parlare di arte e vita nello stesso luogo di quel romanzo (il Berghotel Sanatorium Schatzalp). Ma ancora una volta dimostra invece di essere un cineasta (tecnicamente bravo, non si discute) che vende "arte". Sa che c'è chi la compra e lui la vende, da buon affarista. Sa curare come pochi fotografia e colonna sonora, ci mette dentro attori internazionali che sono un pezzo di storia del cinema (Caine, Keitel, Fonda) e che reciterebbero bene anche l'elenco del telefono. E fin qui il tutto potrebbe anche starci. Poi, però, Sorrentino ci mette dentro anche del puro e genuino "Sorrentino touch", e qui casca l'asino. Qui si rivela l'inconsistenza (a mio parere) di questo cinema. Facciamo soltanto un accenno a tre scene che il regista ha ritenuto di grande effetto e che a noi sono sembrate pretenziose e talvolta addirittura imbarazzanti: Michael Caine che dirige le mucche sparpagliate sul prato, Harvey Keitel che filosofeggia sulle due visioni (vicino e lontano) del cannocchiale panoramico, il mare d'erba pieno di tutte le attrici dirette da Keitel che ripetono come un mantra la propria miglior battuta. E' il solito Sorrentino, che fellineggia pallido e assorto (ma lasciamo stare una buona volta il povero Fellini: il suo stile sta bene solo nei suoi film, fuori dai quali diventa maniera), che crea macchiette grottesche e inutili (due su tutte: la grassissima parodia di Maradona col tatuaggio di Karl Marx e il bonzo che levita), che infarcisce il film di aforismi profondissimi (in realtà di una banalità sconcertante: eccone uno del regista interpretato da Keitel: "Sai, credo proprio di aver capito una cosa, Fred: le persone o sono belle o sono brutte, in mezzo ci sono solo i carini").
E poi ci sono quegli elementi ficcati dentro a forza senza un motivo reale, giustificato dalla storia, ma così, perché fa tanto "grande bellezza": anche qui due fra i tanti, Miss Universo che va in piscina nuda davanti ai due vecchi protagonisti ammirati, e la povera Venezia con i suoi ponti, canali, campanili e la tomba di Stravinskij.
Insomma, sembra buon cinema, ma non lo è.
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antonella_sensi
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giovedì 21 maggio 2015
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la vecchiaia non esiste
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Il nuovo lavoro di Paolo Sorrentino titolato Youth (Giovinezza) nei confronti della stessa identica proposta parte con un diniego e finisce con un assenso. Il compositore e direttore d'orchestra in pensione interpretato magistralmente dall'inossidabile Michael Caine, quando si trova in una clinica Svizzera di quelle che ti rigirano come un calzino, ultima spiaggia di derelitti di lusso fra cui molto facilmente ravvisabile c'è un clone ipertrofico di Maradona, viene contattato da un emissario della regina Elisabetta, affinchè diriga la sua più nota composizione durante una celebrazione per il compleanno di Filippo d'Edinburgo. Fred, così si chiama M.
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Il nuovo lavoro di Paolo Sorrentino titolato Youth (Giovinezza) nei confronti della stessa identica proposta parte con un diniego e finisce con un assenso. Il compositore e direttore d'orchestra in pensione interpretato magistralmente dall'inossidabile Michael Caine, quando si trova in una clinica Svizzera di quelle che ti rigirano come un calzino, ultima spiaggia di derelitti di lusso fra cui molto facilmente ravvisabile c'è un clone ipertrofico di Maradona, viene contattato da un emissario della regina Elisabetta, affinchè diriga la sua più nota composizione durante una celebrazione per il compleanno di Filippo d'Edinburgo. Fred, così si chiama M.Caine in questo film,oppone un netto rifiuto, senza addurre nessuna motivazione perchè l'apatia in cui versa non gliene concede possibilità.Il film scorre su un binario parallelo, ma a volte convergente con il restauro del corpo del vecchio musicista che va di pari passo con quello della sua anima per affermare che il concetto di vecchiaia non ha un'esistenza autonoma: si attesta solo in relazione alla giovinezza e soprattutto al modo in cui si accettano o rifiutano le emozioni la cui rilevanza caratterizza la prima parte della vita e il cui sopore caratterizza e differenzia l'ultima. Quindi vi si dice la vecchiaia è il risultato del granitico “No” alle emozioni che se invece verranno accolte non riuscirà ad attestarsi e la vita per quanto lunga sarà si rappresenterà attraverso una serie di giustapposizioni di età giovanili con il portato forte ed inevitabile delle emozioni senza le quali non siamo niente. Quando dopo tanti trattamenti e terapie il corpo dell'anziano Fred si rianima, comincia a comunicare gli umori dello spirito, non è più un'impenetrabile corazza e quindi permette alle emozioni di entrare, giustifica il fatto di non volere dirigere per la regina perchè le sue composizioni non potranno essere cantate dalla moglie che non c'è più. Ma quando dopo una serie di accadimenti, che legati dal fil rouge delle emozioni rendono questo bel film non frammentario, ma caledioscopico, il musicista lascia la clinica sano come un pesce e tornando alla vita dove lo aspetta una ritrovata gioventù, accetta di dirigere le sue "Canzoni Semplici" che troveranno nuova vita e futuro cantate dalla fresca voce di una giovane soprano al posto della moglie pietrificata dalla demenza. E' allora che Fred guardando al passato rappresentato dall'amico Mick morto suicida la cui amicizia lo accompagna per tutta la storia,lo vedrà vicino piuttosto che lontano come lo è per i vecchi che sono tali quando perdono la capacità e volontà di intervenire sugli eventi magari guardandoli dall'alto come il meditatore che finalmente riesce a levitare,e come vicino per i giovani è il futuro. ANTONELLA SENSI
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maurizio meres
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domenica 24 maggio 2015
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cinema d'autore
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Youth è il film dove due parole "rimpianti e sogni" vengono rappresentati in tutto il loro significato ,attraverso un racconto soffice ma molto profondo,pieno di significati umani fatti di lealtà e di sincerità interiore dove due uomini anziani Fred compositore annoiato dalla vita ,Nick regista ma con ancora la voglia di mettersi in gioco,due stati d'animo diversi che si specchiano in se stessi vedendo il passato in forme diverse ma con la consapevolezza che il tempo inesorabilmente trascorre,tra ricordi e rassegnazione dell'essere dove l'emozioni diventano il nettare della vita .
Tanto tempo fa un uomo di nome Einstein disse "un uomo è vecchio quando i rimpianti in lui superano i sogni "secondo il mio parere questa è l'essenza del film.
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Youth è il film dove due parole "rimpianti e sogni" vengono rappresentati in tutto il loro significato ,attraverso un racconto soffice ma molto profondo,pieno di significati umani fatti di lealtà e di sincerità interiore dove due uomini anziani Fred compositore annoiato dalla vita ,Nick regista ma con ancora la voglia di mettersi in gioco,due stati d'animo diversi che si specchiano in se stessi vedendo il passato in forme diverse ma con la consapevolezza che il tempo inesorabilmente trascorre,tra ricordi e rassegnazione dell'essere dove l'emozioni diventano il nettare della vita .
Tanto tempo fa un uomo di nome Einstein disse "un uomo è vecchio quando i rimpianti in lui superano i sogni "secondo il mio parere questa è l'essenza del film.
Ambientazione unica nelle splendide Alpi Svizzere dove da lì si tocca il paradiso ,dialogato alla perfezione con un doppiaggio degno di essere giudicato uno dei migliori,scenografia che con la cornice della natura diventa superlativa, bellissima la scena quando Nick ritrova tutte le sue donne, un quadro vivente nei sogni di una vita,così come la sequenza dell'acqua alta a Venezia in un surreale di un altra dimensione.
Fotografia che coglie ogni attimo di stupore e malinconia ,tutto scorre in un susseguirsi di sorprese che il regista regala allo spettatore con un finale in crescendo con delle musiche splendide e con l'atmosfere che Sorrentino maestro in questo solo sa dare ,immensa la soprano Sumi Jo.
Cast di prim'ordine ,Caine con Keitel sono gli eccezionali mattatori ,due grandi figure del cinema mondiale,bellissima e accattivante l'interpretazione di Paul Dano ,breve ma significativa in quel momento della storia la Fonda. Da rimanere senza fiato quando appare Miss Universo bellezza statuaria ,risvegliando per un attimo nei personaggi la passione.
Grazie a Sorrentino per l'ennesimo capolavoro che gli amanti del cinema d'autore sapranno apprezzare e giudicare nella giusta dimensione se vogliamo anche personale in quanto ogni essere umano può essere rappresentato e confrontarsi in questo film.
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angelo umana
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martedì 26 maggio 2015
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la prostata è una cosa seria!
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Io sono un istrione e la genialità è nata insieme a me … cantava Aznavour, e lo può ben dire anche Sorrentino. Ha regalato alla giovinezza (Youth) un film su due vecchi, Michael Caine e Harvey Keitel, esilarante e irresistibile in molti tratti, onirico e lugubre in altri, solenne ed elegante come il grande albergo sulle Alpi svizzere – Wiesen si chiama il villaggio e ci passa il trenino dei Ghiacciai – dove i due s’incontrano durante un mese da vent’anni. Si interrogano su cosa succeda ai ricordi col tempo, su ciò che si vede da vecchi, tutto molto lontano e rimpicciolito, mentre da giovani è tutto molto vicino, a portata di mano, ma anche su quante gocce di pipì hanno fatto quel giorno, se più o meno di quattro.
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Io sono un istrione e la genialità è nata insieme a me … cantava Aznavour, e lo può ben dire anche Sorrentino. Ha regalato alla giovinezza (Youth) un film su due vecchi, Michael Caine e Harvey Keitel, esilarante e irresistibile in molti tratti, onirico e lugubre in altri, solenne ed elegante come il grande albergo sulle Alpi svizzere – Wiesen si chiama il villaggio e ci passa il trenino dei Ghiacciai – dove i due s’incontrano durante un mese da vent’anni. Si interrogano su cosa succeda ai ricordi col tempo, su ciò che si vede da vecchi, tutto molto lontano e rimpicciolito, mentre da giovani è tutto molto vicino, a portata di mano, ma anche su quante gocce di pipì hanno fatto quel giorno, se più o meno di quattro. In fondo l’albergo ha più l’aria di una casa di riposo per anziani, Marco Travaglio la descrive così: l'hotel per super-ricchi immerso nelle Alpi diventa una friggitoria e un bollitore di carni flaccide, tette cadenti, trippe sballonzolanti, peni avvizziti ormai pronti per la dipartita ... .
Ma è una casa di riposo dove vanno pure membra giovani e levigate, come quelle di una miss Universo stellare (nella locandina del film c’è un sedere in primo piano coi due che guardano estasiati), qualcosa di molto vicino a Dio, dice Keitel, e all’età dei due protagonisti un magnifico corpo di donna è destinatario della più pura celebrazione, che non può venir sporcata da “cattive” intenzioni. Keitel stesso paga una giovane prostituta che frequenta l’albergo, solo una volta … perché lo accompagni ad una passeggiata.
Caine è un ex direttore di concerti - abbastanza cacasenno come Jep Gambardella e come Geremia de’ Geremei di due precedenti film di Sorrentino - che di concerti non vuole più saperne, neanche per la regina d’Inghilterra. Keitel è un regista di cinema tuttora in attività, che però s’interroga sul senso del suo mestiere e a cui compaiono di colpo su un prato di montagna tutte le sue interpreti femminili: La vita va avanti anche senza questa stronzata del cinema. Eppure stava girando il suo L’ultimo giorno della vita, film a cui è arduo dare un finale e che non si concluderà per l’improvvisa defezione della perfida protagonista (la tv è il futuro!), Jane Fonda, e perché Keitel si butterà dalla terrazza dell’albergo, proprio come Monicelli (sarà un tributo anche questo, come quello della dedica del film che Sorrentino fa a Francesco Rosi). Geniacci che si interrogano sul fare cinema: Turturro, o Moretti, in Mia madre diceva, Basta cinema, fatemi uscire dalla finzione, ridatemi la realtà, mentre noi cinefili ci interroghiamo sul perché vederli: sogni, vite degli altri, “materiale di consumo” che suscita emozioni, e le emozioni sono tutto quello che abbiamo, lo dice Keitel.
Caine un concerto davanti alla regina lo dirigerà, in onore dell’amico che se ne è andato, ma la sua direzione è sciatta e molle, sembra una ginnastica lieve per anziani, migliore è quella che ha immaginato nei pascoli, solo e con le mucche, i muggiti e i campanacci. Riandrà a Venezia dove ha diretto per tanti anni, a rivedere la tomba di Stravinskij e a trovare la moglie in ospizio, quella per cui non aveva mai avuto abbastanza tempo per via delle sue necessarie sperimentazioni in materia sessuale con altre donne. Moltissime le comparse, più o meno significative o importanti, un numero ubriacante di presenze che Sorrentino è solito portare. Peccato: i 17 minuti di applausi alla proiezione pubblica di Cannes 2015 non sono bastati per alcuna statuetta.
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(di marezia)
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(di francescacesca)
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(di giank51)
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jayan
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domenica 31 maggio 2015
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il tempo che passa, la giovinezza e la vecchiaia
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Un film stupendo, molto filosofico e intenso, sulla vita e la morte, la giovinezza e la vecchiaia.
Fred, e Mick sono ottantenni in vacanza in un hotel a Wiesen, alle pendici delle montagne svizzere. Fred è un direttore d'orchestra che ha smesso di dirigere da quando è scomparsa la moglie, Mick è un regista che sta preparando il suo ultimo film, che non riuscirà a finire perché la sua interprete principale si rifiuterà di fare la parte.
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Un film stupendo, molto filosofico e intenso, sulla vita e la morte, la giovinezza e la vecchiaia.
Fred, e Mick sono ottantenni in vacanza in un hotel a Wiesen, alle pendici delle montagne svizzere. Fred è un direttore d'orchestra che ha smesso di dirigere da quando è scomparsa la moglie, Mick è un regista che sta preparando il suo ultimo film, che non riuscirà a finire perché la sua interprete principale si rifiuterà di fare la parte. La storia si sviluppa tutta in questo luogo, su questa montagna incantata, dove sia loro due, amici da una vita, che gli altri personaggi, riscoprono l'importanza del tempo, che una volta andato non si può recuperare. Anche se il titolo, "giovinezza", potrebbe trarre in inganno, è di fatto un film sulla "vecchiaia", su quando ci si accorge che la morte si avvicina inesorabilmente e non c'è tempo per fare ciò che vorremmo fare, allora ci si chiude nei ricordi - quindi giovinezza andata! Sorrentino ha detto in un'intervista che questo è un film sul tempo, e per rappresentarlo ci porta in un luogo che sembra al di fuori del tempo. Anche i personaggi giovani sembrano più un colorrario che l'essenza del film. Non mancano le figure da circo, come il mangiatore di fuoco e la donna che soffia e forma le bolle, ma sono meno importanti e il regista vi dedica meno tempo, rispetto a "La grande bellezza". E poi, tema ricorrente, è la ricerca della giovinezza, il superamento impossibile della vecchiaia.
In questo film Sorrentino supera se stesso, e Michael Caine è eccezionale come attore, ma anche gli altri, tra cui Rachel Weisz, un gioiello come sempre.
Sorrentino ci incanta ogni volta che dirige un film. Bravissimo! Un film da non perdere, e da vedere sul grande schermo, altrimenti si perdono i grandi paesaggi!
Avrebbe dovuto vincere a Cannes, ma non importa, sta diventando campione di incassi, e questo è ciò che conta: che la gente lo veda!
Grazie Paolo!
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no_data
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martedì 2 giugno 2015
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ma quando iniziamo a diventare vecchi ?
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Vedendo il film si fa strada sempre più la domanda “ma quando iniziamo a diventare vecchi”? Quando, come il direttore d’orchestra-Caine riusciamo a vivere senza progetti, anche se dicono di noi che siamo “apatici”? O quando, come il regista-Keitel, siamo ossessionati da quanto abbiamo fatto in passato, dalle donne che abbiamo diretto nei nostri film, tutte in un solo prato, e non abbiamo più un progetto? Quando, come il direttore d’orchestra-Caine, siamo sconvolti da una corpo nudo, o quando lo osserviamo distanti, come il regista- Keitel? Quando siamo sconvolti dalla nostra storia, vedendo chi sappiamo essere un attore ma annichiliti perché vestito come Hitler nella nostra sala della colazione e non quando, come una bambina, lo osserviamo divertiti, come se fosse una maschera? Ciascuno può dare risposte diverse.
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Vedendo il film si fa strada sempre più la domanda “ma quando iniziamo a diventare vecchi”? Quando, come il direttore d’orchestra-Caine riusciamo a vivere senza progetti, anche se dicono di noi che siamo “apatici”? O quando, come il regista-Keitel, siamo ossessionati da quanto abbiamo fatto in passato, dalle donne che abbiamo diretto nei nostri film, tutte in un solo prato, e non abbiamo più un progetto? Quando, come il direttore d’orchestra-Caine, siamo sconvolti da una corpo nudo, o quando lo osserviamo distanti, come il regista- Keitel? Quando siamo sconvolti dalla nostra storia, vedendo chi sappiamo essere un attore ma annichiliti perché vestito come Hitler nella nostra sala della colazione e non quando, come una bambina, lo osserviamo divertiti, come se fosse una maschera? Ciascuno può dare risposte diverse. E qui sta la grandezza del film di Sorrentino: lasciare, intelligentemente, spunti di riflessione, di discussione e di analisi. Sapendo che ciascuna risposta non è giusta né sbagliata: è la propria. E Sorrentino le suggerisce, senza giudicarle. Il film è anche di una rara perfezione cinematografica nelle sue componenti. La regia equilibrata, la sceneggiatura che riesce a dare ritmi fluidi nonostante i pochi luoghi nei quali si svolge e i pochi personaggi che ne fanno parte. La fotografia, che riesce a impressionare senza stupire. Le colonne sonore, sempre a sottolineare a volte timidi ricordi, come il bambino che inizia a suonare il violino su musica del direttore d’orchestra-Caine o la stessa musica rappresentata in modo glorioso dall’odiato (?) soprano. Non è certo un premio in più o in meno che fa la grandezza di un film. Per fortuna.
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p0vr0
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giovedì 4 giugno 2015
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un indulgente amore per sconfiggere il tempo
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Se è vero che la passione è dolce all'inizio e amara in fondo, mentre la virtù è amara all'inizio e dolce alla fine, allora il film di Paolo Sorrentino è pieno di virtù. Dopo un pò di tempo, quando il puzzle dei personaggi e delle situazioni (didascalici ? ripetitivi ? beh speriamo che siano sempre così) si ricompone nel nostro cerveletto, quello che gustiamo è un senso dolce di amore indulgente, amore per noi stessi, per chi ci circonda, per la nostra vita che ci frega, per il tempo che scorre inesorabile, per le malattie e la morte che prima o poi arriverà.
"Il re è nudo" dice il sovrano guardandosi allo specchio, e Paolo davanti allo specchio ci si è messo con l'onestà intellettuale a lui cara immaginando un corpo compromesso dall'età e un intelligenza straniata dalle troppe illusioni, o disillusioni.
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Se è vero che la passione è dolce all'inizio e amara in fondo, mentre la virtù è amara all'inizio e dolce alla fine, allora il film di Paolo Sorrentino è pieno di virtù. Dopo un pò di tempo, quando il puzzle dei personaggi e delle situazioni (didascalici ? ripetitivi ? beh speriamo che siano sempre così) si ricompone nel nostro cerveletto, quello che gustiamo è un senso dolce di amore indulgente, amore per noi stessi, per chi ci circonda, per la nostra vita che ci frega, per il tempo che scorre inesorabile, per le malattie e la morte che prima o poi arriverà.
"Il re è nudo" dice il sovrano guardandosi allo specchio, e Paolo davanti allo specchio ci si è messo con l'onestà intellettuale a lui cara immaginando un corpo compromesso dall'età e un intelligenza straniata dalle troppe illusioni, o disillusioni. Una paura da esorcizzare, in qualche modo, ponendosi domande e indagando su varie possibili situazioni, più o meno conosciute, che partono dalla gioventù (perchè comunque il tempo passa e si deve invecchiare) alla vecchiaia, e per ognuna cercando una chiave, un motivo per andare avanti e sconfiggere il tempo che passa.
La risposta sta nel talento di ognuno, che sia il palleggio funambolico del calciatore, o il levitare meditativo del monaco, o la vita sospesa tra cielo e terra dell'alpinista, o il rispetto per le piccole cose dell'attore famoso, ma questo talento va coltivato con infinito, profondo, indulgente amore fino alla fine. Allora il trascorre del tempo sarà sconfitto, perchè il corpo muore ma l'amore vive in eterno.
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dhany coraucci
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giovedì 11 giugno 2015
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sorrentino magnifico, piu' artista che regista
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Non sono un'estimatrice di Picasso ma quello che ha detto sulla giovinezza è talmente profondo e veritiero da farmi dimenticare ogni remora nei suoi confronti: “Ci si mette molto tempo per diventare giovani”. Che Sorrentino abbia pensato a Picasso mentre ideava il film non so, ma pare proprio che si sia ispirato a questa frase. E l'ha reinventata a modo suo, con quella profondità assorta e lungimirante che appartiene al linguaggio poetico più di ogni altra cosa. Ve lo devo proprio dire: io adoro Sorrentino, amo il suo modo di esprimersi, i suoi personaggi impregnati di amarezza, le sue storie sottili ma che spalancano mondi sconfinati da esplorare: perché ogni inquadratura, per me; ogni frase, ogni sguardo e ogni singola nota musicale che li accompagnano sono circondati di mistero e intensità e stimolano immensamente tutti i miei sensi nel tentativo di comprenderli, di condividerli o semplicemente di ascoltarli.
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Non sono un'estimatrice di Picasso ma quello che ha detto sulla giovinezza è talmente profondo e veritiero da farmi dimenticare ogni remora nei suoi confronti: “Ci si mette molto tempo per diventare giovani”. Che Sorrentino abbia pensato a Picasso mentre ideava il film non so, ma pare proprio che si sia ispirato a questa frase. E l'ha reinventata a modo suo, con quella profondità assorta e lungimirante che appartiene al linguaggio poetico più di ogni altra cosa. Ve lo devo proprio dire: io adoro Sorrentino, amo il suo modo di esprimersi, i suoi personaggi impregnati di amarezza, le sue storie sottili ma che spalancano mondi sconfinati da esplorare: perché ogni inquadratura, per me; ogni frase, ogni sguardo e ogni singola nota musicale che li accompagnano sono circondati di mistero e intensità e stimolano immensamente tutti i miei sensi nel tentativo di comprenderli, di condividerli o semplicemente di ascoltarli. Questo poi, per me, è il più bello di tutti i suoi film per innumerevoli ragioni. Dalle storie che hanno per protagonisti degli anziani ci si aspetta sempre un po' di saggezza e di verità, ma bisogna anche aver qualcosa da dire se non si vuole fare solo della retorica e Sorrentino che per me è più artista che regista, da dire ha molte cose. I due protagonisti ( Michael Caine e Harvey Keitel, il secondo più strepitoso del primo) sono due vecchi artisti che trascorrono le vacanze assieme nella quiete un po' soporifera e balsamica della Svizzera più lussuosa. Uno è apatico, l'altro è inquieto. Nelle loro abituali passeggiate si ritrovano i ricordi, i rimpianti, le passioni e le difficoltà di una vita che sta giungendo al termine. A volte sono divertenti e assomigliano a Walter Matthau e Jack Lemmon, ma più spesso sono segnati da una consapevolezza e da una fragilità che nemmeno il loro conclamato successo e tutta la loro agiatezza riescono a mitigare. Sono stati giovani, sono stati innovatori, mariti, amanti e infine padri. E' tutto lì, in quel soggiorno esclusivo in cui ogni ora è programmata e asettica; a volte ci sono dei vuoti di memoria o dei dubbi, a volte arriva un ospite inatteso, a volte si devono compiere delle scelte difficili o spiegare perché un tempo si sono dovute fare, a volte ci sono dei sogni e dei luoghi bui e lontani. Ecco, un film del genere, denso e raffinato e assorto, potrebbe anche non finire mai e il piacere di assistervi rimarrebbe immutato, almeno per me che sono affascinata da tanta poesia. Ha un cast di attori stranieri di altissimo livello, io apprezzo moltissimo questa scelta perché la malìa del film è espressa, grazie a loro, all'ennesima potenza. Anche Paul Dano per cui non ho mai avuto una gran simpatia, qui è bravissimo! (quello che dice sul desiderio fa venire i brividi). Lunghi primi piani impietosi alle due attrici (Rachel Weisz e Jane Fonda) che si esprimono in un intenso monologo sono tra le scene più belle del film. E poi, come sempre, c'è la musica preponderante: sommerge, fluttua, scompone. Generi diversissimi, coraggiosamente sofisticati e tra tutti un vecchio amore di cui io mi innamorai quasi trent'anni fa, Mark Kozelek (addirittura il suo nome è quarto nei titoli d'apertura, benché faccia solo una piccola apparizione) un musicista americano d'indole inglese, schivo e misterioso, molto “indipendent” ma con suo affezionatissimo seguito (vedi me); le sue ballate acustiche che fanno da colonna sonora a numerosissime inquadrature sono tutte meravigliose. E concluderei la mia “sviolinata” colma di gratitudine e di piacere con la scena nella quale Michael Caine dirige un concerto “bucolico” di campanacci e suoni della natura, uno splendore!
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jaylee
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domenica 14 giugno 2015
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la vita vista da vicino
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In perfetto ossimoro col titolo (Giovinezza), la trama riguarda la permanenza in un lussuoso chalet svizzero di Fred, anziano compositore e direttore d’orchestra ormai in pensione, al quale viene richiesto di eseguire per l’ultima volta il suo pezzo più famoso Con lui, il suo amico regista, Mick alla scrittura del suo ultimo film, il suo testamento artistico, con il quale passa il suo tempo a disquisire di tutto, riflettendo sulle loro esperienze ora che si avvicina il crepuscolo.
In realtà, Youth è molto meno crepuscolare di quanto possa apparire, molti gli sprazzi leggeri (sempre amarognoli) che alleggeriscono il contesto e l’ambientazione, dominata dal bianco e dal grigio all’interno dello chalet, ma dal verde dei monti svizzeri al di fuori di questo (non è casuale, come rivelerà un medico quasi alla fine).
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In perfetto ossimoro col titolo (Giovinezza), la trama riguarda la permanenza in un lussuoso chalet svizzero di Fred, anziano compositore e direttore d’orchestra ormai in pensione, al quale viene richiesto di eseguire per l’ultima volta il suo pezzo più famoso Con lui, il suo amico regista, Mick alla scrittura del suo ultimo film, il suo testamento artistico, con il quale passa il suo tempo a disquisire di tutto, riflettendo sulle loro esperienze ora che si avvicina il crepuscolo.
In realtà, Youth è molto meno crepuscolare di quanto possa apparire, molti gli sprazzi leggeri (sempre amarognoli) che alleggeriscono il contesto e l’ambientazione, dominata dal bianco e dal grigio all’interno dello chalet, ma dal verde dei monti svizzeri al di fuori di questo (non è casuale, come rivelerà un medico quasi alla fine). In effetti, questo film appare più appartenente alle atmosfere rarefatte di un opera come Le Conseguenze Dell’amore (anche questo ambientato in Svizzera) piuttosto che ai barocchismi saturi de La Grande Bellezza o Il Divo, con tempi dilatati, scanditi da dialoghi che , in pieno stile sorrentiniano, appaiono spesso sospesi, integrati e definiti dalle immagini più che dalle parole.
Questa integrazione necessaria di parole ed immagini è forse la cifra stilistica più importante di Sorrentino, che in qualche modo lo assimila al più europeo dei grandi registi USA, ovvero Terence Malick: e senza le immagini, le parole diventano incomprensibili, e le immagini senza le parole, troppo ampie. Per fare un esempio musicale, un po’ come Comfortatbly Numb dei Pink Floyd o La Donna Cannone di De Gregori, perfette fusione di testi e note.
Cosa è la Giovinezza secondo Sorrentino? È la vita stessa. La Passione, il ruolo da protagonista nel tuo Grande Spettacolo. Il resto dell’esistenza è una mera comparsata, o la replica di uno spettacolo già visto fin troppe volte. Come ci dirà Mick, forse nel momento più emblematico (e occhio al finale… dove siamo noi?) : la Vita vista da vicino.
Detto questo, però, e purtoppo, per quanto sia apprezzabile come lo scostamento rispetto a La Grande Bellezza sia notevole e coraggioso, Youth appare fin troppo rarefatto. Molte scene e molti personaggi, a differenza dei suoi precedenti lavori, appaiono spuri e difficilmente collocabili nell’ottica del film: l’omaggio a Maradona, la massaggiatrice-danzatrice da Wii, l’attore che interpreta Hitler, o fin troppo prevedibili (la storia della figlia di Fred con lo scalatore, la giovane prostituta per “anziani”, lo spettacolo finale). Non che manchino scene davvero significative: oltre a quella che vede Miss Universo “trasfigurata” fare il bagno coi nostri due eroi (la locandina del film), bella quella dove Fred “scova” la musica in una mandria di placide vacche. La Musica (la Vita) è ovunque.
Bravi i protagonisti (più Harvey Keitel che Michael Caine), meno efficaci gli altri (Rachel Weisz in testa, ma anche Paul Dano sembra un po’ fuori forma), splendide le immagini. Attenzione anche alla breve, ma intensa apparizione di Jane Fonda, sboccata ma disincantata musa di Mick. Stavolta però, la musica (ed è paradossale vista la trama) è meno efficace di tante volte, meno emozionante.
Ci azzardiamo a dire che se Youth fosse uscito prima de La Grande Bellezza, sarebbe probabilmente passato inosservato. Un film minore nella cinematografia di Sorrentino: speriamo che, a differenza di Mick, non sia questo il Testamento artistico del regista napoletano. (www.versionekowalski.it)
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