Stranamente Sorrentini viene avvicinato a Fellini. Ad una osservazione superficiale potrebbe anche apparire così. Eppure continuo a pensare che nel cinema di Sorrentino c'è molto, molto di più e di diverso.
Mentre La Roma della Grande Bellezza era un luogo molle, incrostato di significati e di odori, questo film è ambientato in una beauty farm nelle Alpi svizzere. E' un luogo quasi astratto, siderale, una perfetta macchina per riparare corpi e menti afflitte dal male di vivere o, il che è peggio, dal male di aver vissuto, o di non aver vissuto, perchè tanto a questo punto non fa poi differenza. Non è un albergo di lusso: nella sua perfezione è quasi una macchina, un sanatorio, un lager, il tavolo anatomico di uno spietato anatopatologo dello spirito. Il rimando che viene in mente (strano che nessuno l'abbia colto) è più alla Montagna Incantata di Mann. E non a caso certe scene del film, certi passaggi, certi dialoghi, rimandano direttamente al Visconti della Morte a Venezia. Perchè in fondo è questo di cui si tratta: di una lunga meditazione sulla vita nel momento in cui diventa sempre più corta, della giovinezza, nel momento in cui viene a mancare, delle passioni non certo sopite, ma dolorosamente interiorizzate nel momento in cui l'orologio biologico dice che il tempo è scaduto, e delle passioni stesse è consentito cogliere o il rimorso o il rimpianto. E questa è la vera crudeltà del film, perchè se la sceneggiatura è lieve, se i dialoghi sono intessuti di una bella ironia molto britannica, il confronto tra corpi giovani e levigati, anche quando inconsapevoli, e la devastazione che il tempo ha lasciato sugli altri corpi, questi si, purtroppo, anche troppo consapevoli, è di una cattiveria quasi insopportabile.
Sugli aspetti formali del film molto ci sarebbe da dire. Cominciamo da quelle che ritengo possono essere unanimemente condivisibili. Grandi, grandissimi interpreti, sia i due protagonisti maschili, sia la sorprendente Rachel Weisz. Grande anche il cameo di Jane Fonda. (Ma dietro ad un grande interprete c'è sempre la mano di un grande regista). Ci vuole una assoluta consapevolezza del mezzo per condurre lunghi monologhi con inquadratura fissa in primo piano. Altri autori, per molto meno, sarebbero stati massacrati dalla critica e dal pubblico. Eppure a Sorrentino viene sempre rimproverato l'opposto contrario, e cioè la rindondanza di immagine.
Una grande ammirazione anche per la fotografia, asciugata, sobria, ma che non rinuncia mai alla pienezza espressiva del mezzo.
E poi c'è lui, Sorrentino. Come dicevano altri, se a qualcuno Sorrentino non piace non c'è proprio mezzo per convicere del contrario. Il suo perfezionismo formale è spesso motivo di riserve. Io dico solo, sommessamente: se leggo un libro mi piace che sia scritto con un buon linguaggio, se ascolto un disco mi piace che il suono sia pulito e ricco di dinamica, se vedo un film apprezzo se lo sforzo compositivo dell'immagine è parte del processo artistico creativo. E le inquadrature di Sorrentino sono una vera festa per gli occhi. Forse giova ricordarlo: lo specifico cinematografico è appunto: narrazione attraverso le immagini.
Poi qualcuno si è rammaricato per la dura sorte riservato al film dai fratelli Cohen a Cannes. La loro cifra espressiva è talmente divergente da quella di Sorrentino che francamente avremmo dovuto stupirci del contrario.
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