"Questo è quello che si vede da giovani: si vede tutto vicinissimo; quello è il futuro... e questo è quello che si vede da vecchi: si vede tutto lontanissimo; quello è il passato" Mick Boyle
Durante la lavorazione il titolo provvisorio del nuovo film di Paolo Sorrentino era In the future, nel futuro. Forse sarebbe stato più appropriato.
Non tanto perché i protagonisti di Youth - La giovinezza sono tutti anziani. Il tema principale, la cornice che racchiude i visionari e immaginifici quadri che il maestro napoletano dipinge con i suoi tormentati personaggi e le loro storie, è l’inesorabile passare del tempo, con il passato che progressivamente sovrasta le aspettative nel futuro. Con la vecchiaia la speranza e la vitalità cedono alla disillusione, i desideri ai rimpianti e ai ricordi, i corpi logorati si abbruttiscono. E’ ancora possibile desiderare di vivere il futuro?
Youth si svolge quasi interamente in un albergo-resort di lusso nella quiete delle Alpi svizzere dove gli agiati e anziani ospiti vanno a riposare e rigenerarsi. Si ritrovano due vecchi amici.
Fred Balinger è un famoso direttore d’orchestra, oramai ritirato dalle scene. Si è rassegnato all’apatia e si lascia vivere, tanto che rifiuta persino di dirigere un concerto per la Regina d’Inghilterra. Mick Boyle, invece, è un importante regista, tenace e per nulla intenzionato a ritirarsi prima di aver girato il suo film-testamento. Il primo è accompagnato dalla figlia, il secondo soggiorna con un gruppo di giovani sceneggiatori con cui sta cercando l’ispirazione per il finale del suo film. Attorno ai due protagonisti ruota una serie di personaggi stravaganti e bizzarri, tra gli altri: un giovane attore in crisi perché non riesce a liberarsi dai ruoli hollywoodiani che lo hanno reso famoso, un asceta buddista in attesa della levitazione, un Maradona imbolsito e asmatico il cui corpo deforme è contrapposto alla bellezza ammaliante di una splendida Miss Universo.
Come i personaggi de La grande bellezza, di cui Youth per molti aspetti è la continuazione, anche questi rappresentano amaramente e malinconica-mente la decadenza e la crisi di chi vive il presente senza chiedere nulla al futuro. Con una differenza sostanziale. Mentre nel primo i vari personaggi, tanto esuberanti quanto sgradevoli, a partire da Jep Gambardella, erano di fatto dei falliti, sedicenti artisti e mondani frustrati, in Youth Fred e Mick sono degli artisti veri, hanno conosciuto e assaporato la bellezza dell’arte, vissuto una vita piena e creativa. Lo stesso Maradona è stato un’icona dello sport e della sua rappresentazione artistica.
Non c’è via di fuga neanche per loro. Il disincanto della vecchiaia conduce inevitabilmente alla crisi, alla difficile scelta se vivere ancorati al passato o trovare la forza di desiderare e immaginare un futuro.
Come sempre, però, le tematiche e le chiavi di lettura che i film di Sorrentino offrono sono molteplici: dal disagio esistenziale alla solitudine nella società odierna, dal rapporto generazionale tra genitori e figli all’arte e alla bellezza come possibilità di riscatto.
Nel microcosmo umano dell’albergo svizzero si alternano storie allegoriche e personaggi iconici, solo apparentemente slegati tra loro, in una struttura narrativa che procede per quadri filmici esteticamente stupefacenti.
Le immagini sontuose e ricercate, spesso visionarie e oniriche, sono associate a musiche avvolgenti e dialoghi brillanti, forse un po’ didascalici e aforistici, ma sempre suggestivi. Sorrentino sembra inseguire costantemente la perfezione estetica. Nell’uso geometrico della macchina da presa e dei carrelli è capace di virtuosismi incredibili e unici, tanto che le splendide immagini dei suoi film si riconoscono subito.
Se La grande bellezza era stato visto come la riproposizione attualizzata de La Dolce Vita felliniana, Youth non poteva che essere accostato a 8 e mezzo. In parte c’è del vero, i film del cineasta napoletano però hanno una poetica e una scrittura assolutamente personali.
Riguardo agli attori, l’interpretazione dei due protagonisti è semplicemente straordinaria: Micheal Caine e Harvey Keitel, due miti assoluti del cinema mondiale, danno vita a due personaggi intensi e malinconici. Fred e Mick hanno aspettative diverse rispetto al loro futuro, e questo dividerà le loro strade.
L’impossibilità di realizzare il suo film-culto, nel tentativo di ritrovare la giovi-nezza artistica, costituirà per Mick un trauma insuperabile.
Al contrario, Fred, accettando di ripren-dere in mano le bacchette e di dirigere il concerto tante volte rifiutato, sembra dirci che anche da vecchi si può continuare a vivere il presente, guardando al futuro senza rimpianti.
Senza più grandi passioni e smodati desideri, forse, ma ripartendo dalle canzoni semplici e dalla grande bellezza delle piccole cose.
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